Sicilia, viaggio d'entroterra tra Monti Iblei e Madonie
Non di solo mare vive la Sicilia, e basta volgere appena lo sguardo dalla costa e girare le spalle agli scintillii mediterranei che l'abbracciano da tutti i lati per rendersene conto. È come scostare un velo, impercettibile, leggerissimo, intriso del profumo di terra riarsa e di zagare al tramonto, et voilà! È subito un altro mondo, un altro luogo, un'altra anima. Apertamente e innegabilmente sicula, certo, e come potrebbe essere altrimenti in quest'isola femminile e misteriosa, complessa e stratificata, che ammalia anche soltanto con il ricordo dei suoi aromi? Ma è anche montana, rupestre, misterica: una terra di canyon e città ipogee, di Madonne guerriere e tradizioni legate agli antichi culti della terra, di vecchi mestieri e nuovi sguardi per riabitare paesi e territori. Una terra da scoprire in punta di piedi, con rispetto, lasciandosi alle spalle stereotipi di “sicilianità classica” e concedendosi così il gusto inedito e dolcissimo di aprirsi alla meraviglia inaspettata.

Madonie, un mondo montano nel cuore della Sicilia
Pensi alla Sicilia e pensi al mare: ma siamo nella regione più grande d’Italia, un triangolo di ondulazioni che ha ammaliato l’essere umano fin da tempi immemori, sussurrandogli all’orecchio il desiderio di restare, e appena si danno le spalle all’abbraccio blu del Mediterraneo ci si trova immersi in panorami che sanno di pietra e di arbusti, di città bianche che occhieggiano di lucine accese sul far della sera mentre avanza l’ombra della campagna riarsa ed ipnotica, di leggende antiche e storie modernissime.
Prendiamo le Madonie, ad esempio, in provincia di Palermo: un paesaggio così montano che a tratti l’immaginazione scantona e fa pensare di essere altrove, sull’Appennino abruzzese magari, o sulle alture del Carso. Massiccio montuoso e parco regionale che dà il suo meglio quando vi ci si immerge lungo i numerosi sentieri che transitano tra questi boschi e che conducono alla scoperta di minuscoli e suggestivi paesi orlati di ginestre in fiore, le Madonie sono un susseguirsi di borghi in bilico sullo scorrere frenetico del tempo, che oggi rinascono grazie ai propri abitanti, alla valorizzazione dell’artigianato e del folklore, alla tutela del territorio e delle sue peculiarità.

Madonie di borghi
Petralia Sottana – porta d’accesso al Parco delle Madonie e paese Bandiera Arancione nonché adorabile piccolo accrocco di case pietrose raccolte come un nido sull’orlo del pendio, a guardare la morbidezza color dell’oro dei campi spigati in basso e nebbiosi picchi calcarei in alto – si può visitare seguendo un unicum in Europa: il Sentiero Geologico Urbano, che conduce alla scoperta dei fossili presenti nelle pietre usate per i selciati o gli edifici, e che con la “scusa” della storia geologica porta il visitatore a perdersi nei meandri del paese e a scoprire le sue botteghe e le realtà artigiane che ancora lo tengono vivo.
Come Antonio Casserà, magliaio, che a suon di telai e creazioni 100% hand made ridefinisce il simbolismo della coppola, sottraendola all’immaginario mafioso per restituirle dignità e radici. Oppure come Mirco Inguaggiato, giovane liutaio e maestro del legno che ha scelto di restare a lavorare a Petralia Sottana e che aggancia le sue creazioni alla tradizione musicale e folkloristica del territorio madonita, come il Ballo della Cordella. O ancora, realtà come il Giardino Museo A Gisa, oasi rurale a pochi passi dal paese, dove oltre ad assaporare l’ospitalità del giovane Dario Scelfo e della sua famiglia è possibile anche curiosare nella collezione privata di antichi mestieri, dalla tessitura alla vendemmia, dalla trebbiatura alla cesteria.

E che dire poi del paese di Gangi? Solo arrivarci è un’esperienza che ha qualcosa di epico: sarà che se ne sta in trono sul colle in una ciotola dorata di campi, monti e prati rigogliosi. Sarà che qui si sente il vento giungere da lontano, pettinare le colture e arricciarsi contro le case color ocra in un turbinio di profumi.
Sarà che qui più che altrove pare di sentire il tempo che gocciola anziché scorrere, lento e gentile, dando modo ai visitatori di carpirne i dettagli: la bottega artigiana di Fabrizio Fazio, mastro tamburaio che recupera e valorizza l’arte della costruzione e del suono dei tamburi, oppure la Fontana del Leone in Piazza Duomo (dedicata al prefetto “di ferro” Cesare Mori e alla sua lotta contro la mafia). E ancora, il suggestivo Palazzo Buongiorno dagli interni affrescati, lo stemma comunale raffigurante il Minotauro con una fonte a testimonianza della presunta origine cretese del paese oppure la cripta della Chiesa di San Nicolò, un unicum di grande valore etnografico in quanto ospita tuttora 64 corpi mummificati di ecclesiastici gangitani perfettamente conservati (il biglietto d’accesso alla cripta comprende anche la salita alla torre campanaria, e si può acquistare all’ingresso del duomo).
Oggi Gangi è inserito nel circuito dei Borghi più Belli d’Italia, e grazie a un decennale lavoro di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale del territorio attira turisti e soprattutto nuovi residenti, andando in controtendenza con il trend di spopolamento che caratterizza altre aree interne della regione.

Iscriviti alla nostra newsletter! Per te ogni settimana consigli di viaggio, offerte speciali, storie dal mondo e il 30% di sconto sul tuo primo ordine.
Leggi anche:
La capitale italiana della cultura 2025 sarà Agrigento, in Sicilia
Madonie di montagne
Visitare le Madonie significa quindi scegliere consciamente di andare a scoprire una Sicilia inedita, fatta di picchi e di montagne. E mica montagne da poco! Eccezion fatta per l’Etna, il complesso madonita conta le vette più alte della Sicilia – come il Pizzo Carbonara (1979 mt), il Pizzo Antenna Grande (1977 mt) e il Monte San Salvatore (1912 mt) – e anche le più antiche: questi monti fanno parte infatti delle prime terre emerse dell’isola e ne portano dentro di sé i segni geologici e geomorfologici, al punto da essere annoverati come UNESCO Global Geopark. Non solo: in un territorio tendenzialmente piccolo, pari a soltanto il 2% della superficie siciliana, crescono oltre 2600 varietà di piante, tra cui centinaia di endemismi unici al mondo.
Sono terre alte di aquile che tornano a nidificare, queste, di orridi dalla vegetazione ancora vergine e di paesaggi calcarei che sbiancano nel sole. Ma sono anche terre di màrcati (l’equivalente madonita delle malghe) in cui strenui pastori e mandriani producono ancora i formaggi del territorio, come la ricotta o la provola delle Madonie, presidio Slow Food dal gusto intenso.

E, soprattutto, sono terre di sentieri e di esperienze immersive al 100%. Alcuni esempi? Dalle Madonie passano tracciati di trekking a lunga percorrenza italiani ed europei, come la Via Francigena Normanna (che collega Palermo a Messina, snodandosi tra Madonie, Nebrodi e Peloritani) oppure la Via dei Frati (trekking montano che in otto tappe collega Caltanissetta a Cefalù, snodandosi per gran parte proprio nel Parco delle Madonie). Ma è anche possibile affidarsi a realtà locali che hanno fatto della valorizzazione turistica sostenibile dell’area madonita la propria bandiera, come il piccolo e attivissimo Madonie Travel Service, e organizzare tour ed esperienze locals sul territorio, dalla visita ai màrcati con degustazione di formaggi alla transumanza con gli asinelli, dalla Via dei Borghi Madoniti che in tre giorni conduce da Petralia Sottana a Gangi passando da Geraci Siculo. Trovandosi a scoprire anche, grazie all’accompagnamento di chi abita e vive il territorio ogni giorno, la stratificazione di simboli, tradizioni e antichi saperi che rende tanto magico questo entroterra.

Monti Iblei tra roccia, cave e tardo barocco
Dopo aver assaporato il nord alpestre della Sicilia, è tempo di spostarsi verso l’estremo sud dell’isola, in provincia di Ragusa: qui il paesaggio muta radicalmente, da aspro e montano si fa lunare e ipnotico. Sono i Monti Iblei: se ne stanno sull’angolino più meridionale della Trinacria che si protende come una polena verso le sagome sfumate di Malta e di Gozo, e custodiscono nelle proprie pietre calcaree e dirupate alcuni dei paesaggi e dei borghi più spettacolari del territorio, veri e propri gioielli che affondano le radici architettoniche e culturali nella strenua volontà delle genti iblee di rispondere con la bellezza alla tragedia, cioè il violento terremoto che nel 1693 sconquassò tutta l’area causando migliaia di morti e radendo al suolo interi paesi e città.
La zona risorse dalle macerie come una fenice dalle ceneri, piegata nell’animo ma non sconfitta, e il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti, UNESCO compresa, che nel 2002 l’ha eletto patrimonio dell’umanità: è il tardo barocco siciliano della Val di Noto, culmine e ultima fioritura del barocco europeo che qui esplose in un florilegio di intarsi, di decorazioni e di strutture urbanistiche ricostruite con l’idea di trasformare le città in gioielli, e che si sposa con il candore perlaceo e color miele della pietra locale, elevandola a simbolo di straripante bellezza.
Ma sempre con un occhio pragmatico: questo stile nasce infatti per essere pronto ad affrontare nuove scosse telluriche, e infatti non prevede torri campanarie e le facciate – altissime e svettanti, per compensare la mancanza di campanile e provare comunque a toccare il cielo: da qui il nome di “facciate torri” – non più diritte, ma con porzioni alternate concave e convesse per avere più punti d’appoggio sul terreno.

Grotte e città ipogee
Terre di roccia, ecco cosa sono i Monti Iblei, che non s’elevano ma s’inabissano, allungati sull’orlo dell’isola e solcati da profonde “cave”, cioè canyon impervi che fin dall’antichità hanno offerto alle popolazioni locali casa, riparo e protezione. Le testimonianze ci sono ancora e basta allungare l’occhio per trovarle, accoccolate nello sviluppo moderno delle città e dei paesi.
La celeberrima Modica, ad esempio: antico capoluogo di contea e cuore pulsante dell’area – la cui economia a cavallo del XVI secolo fu legata alla fornitura di cibo in via esclusiva con il ricco ordine del Cavalieri di Malta e poi influenzata direttamente dalla presenza degli spagnoli (tanto per dirne una: il cioccolato a cui la città lega oggi il suo nome, in Italia e nel mondo, è un retaggio commerciale di epoca spagnola, che permise l’arrivo proprio su questo territorio dei primi carichi del nuovo, pregiato prodotto) – nella sua parte più antica le abitazioni sono la diretta estensione di grotte abitate o comunque utilizzate fin dall’epoca preistorica. Ne sono state censite più di settecento, molte delle quali “inglobate” nelle nuove costruzioni al punto da essere quasi dimenticate. Un po’ com’è capitato alla cappella rupestre di San Nicolò Inferiore, scoperta soltanto nel 1987 per puro caso da un ragazzino che cercava di recuperare il proprio pallone da calcio: risalente al XI o XII secolo, è affrescata con raffigurazioni in stile bizantino in area ragusana, e accoglie quattro tombe e una camera sotterranea. Dal 1996 la chiesetta è gestita da volontari dell’associazione di promozione turistica.
Ma prendiamo anche Scicli, gioiellino candido poggiato sull’orlo degli Iblei e noto soprattutto perché vi sono state girati molti spezzoni de “Il commissario Montalbano”: ma è un peccato che lo si associ solo alla fiction, si può dire? Soprattutto perché Scicli incarna l’ipnosi ammaliante di questo entroterra siculo ancora non così pronto a voltare le spalle al mare, ed è ben altro e ben di più che un set cinematografico.
È paese di leggende, simboli e tradizioni: come quella della Madonna delle Milizie, il cui simulacro è custodito nella chiesa di Sant’Ignazio e il cui simbolismo rimanda all’anno Mille, quando durante una battaglia tra arabi e normanni la gente del posto si riunì a pregare per la vittoria cristiana e dal cielo – dice la leggenda – arrivò una Madonna a cavallo, così luminosa che abbagliò i nemici e ne decretò la sconfitta. Ancora oggi, l’ultimo sabato di maggio a Scicli si tiene una rappresentazione simbolica della battaglia a cui partecipa tutto il paese.

Una magia, dicevamo: sarà la luce, color dello zafferano all’alba e al tramonto, che pennella i palazzi del centro storico? Saranno le onde pietrose che s’infrangono alle spalle della cittadina, facendoti immaginare che il paese finisca lì quando invece dietro, infilato nelle pareti della cava, se ne sta aggrappato il quartiere moderno di Chiafura e pure quello più antico, antichissimo, ipogeo anch’esso, composto da grotte che occhieggiano dalla parete rocciosa e che sono state abitate fino agli anni Sessanta? Chissà.

Di sensi, di aromi, di artigianato
È un rincorrersi di suggestioni, il territorio ibleo, che ha poco a che fare con il turismo e molto con il viaggio: interiore e sensoriale prima di tutto, perché qui sono i sensi a comandare.
Il caldo bianco e implacabile che inverdisce le fronde degli imponenti carrubi e arroventa i muretti a secco attorno al Castello di Donnafugata, immobile dimora ottocentesca dalle origini ancorate un po’ alla storia e un po’ alla leggenda.
Il profumo delle erbe aromatiche, come quelle coltivate ormai da vent’anni da Gli Aromi, azienda agricola ma soprattutto luogo di immersione di gusto, di olfatto, di sapori che prova a mixare l’agricoltura con la cultura, la terra con l’eleganza.
I sapori della cucina tradizionale siciliana che s’intrecciano con le numerose nuove proposte gourmet e rivisitazione del classico in ottica contemporanea: non solo arancini e pasta alla Norma, dunque, ma anche proposte di carni di coniglio abbinate alle scaglie di carrubato (il cioccolato al carrubo), ravioli hand made ripieni di melanzane ed erbe aromatiche, e via dicendo.

E ancora, il garrire delle rondini che s’inseguono nei cieli tersi sopra Ragusa e Ragusa Ibla: una città con due città dentro, una nuova e una vecchia, appollaiate come gufi sulla sommità delle cave che corrugano il paesaggio circostante e spariscono poi in lunghe ombre violacee nel cuore della terra. Che poi, alla fin fine, è proprio da qui che arriva il nome di questo entroterra: Ibla è un’antica dea sicana connessa alle simbologie della fertilità e della Dea Madre, e la città antica – anch’essa ricostruita dopo il terremoto – ha scelto questo nome per distinguersi dalla parte più recente e più alta, dimora eletta dei nuovi ricchi che cercavano di ridefinire la scala sociale anche grazie alla posizione urbana.
Oggi di quella rivalità rimane traccia soltanto nelle chiacchiere e nell’orgoglio dei cittadini, e chi capita a Ragusa non può perdere l’occasione di immergersi nelle strade di Ragusa Ibla, di ammirare lo splendido Duomo di San Giorgio – patrono che si contende la fama con San Giovanni, a sua volta patrono di Ragusa nuova – e godersi la rilassata raffinatezza del centro storico, con le sue viuzze cariche di fiori e di botteghe artigiane. Un esempio su tutti? Le ceramiche smaltate secondo la tradizione caltagironese, che riprendono elementi simbolici del folklore siciliano, come i vasi a forma di “testa di moro” o le pigne scaccia sfortuna.