Mangia, prega, balla: a Palermo il futuro è adesso

Abbiamo trascorso cinque giorni a Palermo a cavallo della sua festa patronale. A piedi, in bici e in scooter, abbiamo fatto slalom tra bancarelle colorate e nobili palazzi, provando alcune tra le tavole più interessanti e innovative della città, aggiungendo una breve incursione a Caltagirone. Ecco i nostri suggerimenti.

Il Molo Sant’Erasmo e il Monte Pellegrino sullo sfondo. Credits Borgia Group
Il Molo Sant’Erasmo e il Monte Pellegrino sullo sfondo. Credits Borgia Group
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Tra santi e peccatori (di gola)

Palermo ha un cuore grande come il Monte Pellegrino, un cuore che batte forte e qualche volta esplode, come uno stadio nella finale di Champions. Accade il 14 luglio, il giorno in cui capita di tutto: c’è il Festino di Santa Rosalia, la Santuzza, patrona con licenza di salvare anime e città (dalla peste, ad esempio: nel 1.624, 400 anni fa +1). Più che una festa, è un rito collettivo a metà strada tra una processione e un rave party, con la fede che si mischia al folklore e la folla che si comporta come al concerto dei Rolling Stones. Solo che qui, invece di Mick Jagger, c’è la reliquia della Santa e, insieme alle birrette, ci sono panelle, pollanche e babbaluci.

Stanotte Palermo non dorme, si va in strada, si segue il carro di Santa Rosalia che dalla Cattedrale attraversa Corso Vittorio per arrivare fino al mare. È la notte in cui la città si mostra così com’è: nobile e stropicciata, barocca e popolare, con un’energia che ti contagia anche se non vorresti, visto che la musica presto diventa frastuono e la folla si trasforma in un appiccicoso tsunami pronto a travolgerti. Ma anche ad abbracciarti.

Fuochi per Santa Rosalia. Credits Angelo Pittro
Fuochi per Santa Rosalia. Credits Angelo Pittro

Negli ultimi anni qui il turismo ha fatto boom, ma la città non si è venduta l’anima (non tutta, almeno). Anzi: Palermo si è rifatta il trucco, sì, ma ha tenuto i tatuaggi bene in vista sulla pelle. E questo lo si deve anche a una generazione di palermitani che ha messo via il “ce ne andiamo tutti” e ha iniziato a dire “restiamo” o “torniamo”, rimboccandosi le maniche. Ed ecco nascere bistrot e ristoranti, ostelli, gallerie e cantine. Palermo come laboratorio. Palermo come idea di città viva, creativa e decisa a sfatare gli stereotipi. A cominciare dal cibo, che qui non è un capitolo, ma l’intero romanzo. Fai un passo e ti ritrovi qualcosa che cuoce, qualcuno che vende frutta, verdura, spremute e cannoli, dai un morso, bevi un sorso e assaggi la storia. Ci sono la Vucciria, Ballarò, il Capo: mercati che sembrano jam session di rumori, odori e colori, spremute e sardine arrostite, tonni e pisci spata, dolci, tanti dolci. Street food ovunque, ristoranti spuntati come funghi sulla Via Maqueda. Ma, diciamolo: dove c’è tanto, non sempre tutto è buono. E la qualità, a furia di replicare lo stesso menù turistico, a volte barcolla.

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Il Bistrot Uovo di seppia. Credits Borgia Group
Il Bistrot Uovo di seppia. Credits Borgia Group

Poi arrivano loro: i Borgia, fratelli con testa da manager e cuore da osti che, dopo la laurea in Bocconi (Vittorio) e al Politecnico (Saverio), decidono di restituire qualcosa alla loro città. In dieci anni aprono tanti locali belli, ognuno con la sua personalità, puliti dentro e fuori, che sanno come cucinare un arancino, ma anche cos’è un parquet di legno sbiancato. Badano alla sostanza, ma conoscono il valore della forma e sanno declinare in modo informale il concetto di eleganza. Come il loro ultimo colpo: il Bistrot Uovo di Seppia, primavera 2025, a due passi da Ballarò. Si trova dentro la Locanda Santamarina (dormiteci, se potete), gioiellino liberty appena tirato a lucido. Il bistrot è sul roof top, dove lo chef Pino Cuttaia (due stelle Michelin, mica uno qualunque) mette in tavola tradizione e Instagram, tonno e design. Il posto giusto per rifocillarsi dopo un giro tra i Quattro Canti, la Cattedrale, Casa Professa, Palazzo dei Normanni e la Cappella Palatina (a proposito: grazie alla Fondazione Federico II per le dritte!). E il menù, vi chiederete? Tradizione e tradimento, bottarga e bellezza. Prendete nota: il tonno in conserva è Mediterraneo allo stato puro. Ma prima provate il cous cous ‘incucciato’ con latte di mandorla e bottarga (di tonno, s’intende): una poesia scritta in siciliano stretto ma con sottotitoli in milanese.

Tonno in conserva al Bistrot Uovo di seppia. Credits Angelo Pittro
Tonno in conserva al Bistrot Uovo di seppia. Credits Angelo Pittro
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Incuriositi dall’intraprendenza dei due fratelli, siamo andati lì, dove tutto è cominciato. Ci spostiamo nella zona del Teatro Politeama, dove Palermo mette in mostra la sua anima borghese, con viali ariosi e alberati, strade patinate e negozi sofisticati. Si trova qui Bioesserì, diventato il punto di riferimento di chi vuol mangiare bene, dalla prima colazione alla cena, in un locale pop, luminoso, con un arredo moderno e informale dove tutto, a cominciare dalla pizza, ha il sapore inconfondibile delle materie prime di ottima qualità.

Palermo, Palazzo dei Normanni. Credits Mike_O / Shutterstock
Palermo, Palazzo dei Normanni. Credits Mike_O / Shutterstock

Il mare c’è, ma non (sempre) si vede

Dopo la sosta gourmet, ci s’incammina di nuovo, questa volta verso la Kalsa, quartiere dove la storia mostra le crepe ma anche la luce che le attraversa. Come a Palazzo Chiaromonte-Steri, l’imponente ex tribunale dell’Inquisizione, oggi cuore simbolico del sistema museale universitario dove si intrecciano arte, storia e memoria accademica. È una tappa da non perdere per nessuna ragione, sia per i toccanti graffiti che i condannati hanno lasciato sulle pareti delle celle e sia per ammirare La Vucciria, il dipinto che ha reso Renato Guttuso famoso in tutto il mondo. Un quadro che, come ha scritto Leonardo Sciascia chiarisce una volta per tutte che “a Palermo un mercato è qualcosa di più di un mercato…è una visione, uno sogno e un miraggio”.

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Tenuta Valle delle Ferle. Credits Angelo Pittro
Tenuta Valle delle Ferle. Credits Angelo Pittro

Poco oltre, finalmente il mare che, in questa città, ama giocare a nascondino: c’è ma te lo devi andare a cercare, come le spiagge. Ma le cose, anche qui, stanno cambiando. Il Molo Trapezoidale ora ha fontane e passeggiate, Ostello Bello ha aperto una sede con bar e piscina, il Molo Sant’Erasmo è rinato e finalmente si mangia guardando il blu. Proprio qui, ci fermiamo per rifocillarci. Il ristorante si chiama come il molo, Molo Sant’Erasmo: tavoli vista mare sulla punta della banchina e, a pochi metri, la folla che aspetta l’arrivo del carro di Santa Rosalia e dei fuochi d’artificio. Noi restiamo seduti davanti a piatti di pesce buoni da far scarpetta e con un conto che non lascia sensi di colpa. Il vino non manca: bianco, rosso, con le bolle ma sempre fresco e siciliano. Intanto facciamo amicizia con una coppia che ha una bella storia da raccontare. Sono Claudia e Andrea, quarantenni, ingegneri, catanesi. Hanno ridato vita a una vigna a Caltagirone. Si chiama Tenuta Valle delle Ferle, dove producono Frappato e Cerasuolo di Vittoria di cui vantano un’ottima annata: il 2018, che ha appena vinto un premio internazionale. Il giorno dopo si festeggia il traguardo e noi cogliamo al volo l’occasione per attraversare l’isola verso Oriente. In due ore di macchina saliamo a 400 metri sul livello del mare. La cantina è sull’antica strada del vino, in cima alla collina. Si dorme tra i filari, nel bed & breakfast al piano di sopra, degustiamo Frappato sotto le stelle, rigorosamente biologico e brindiamo a chi investe da queste parti dove forse tutto è difficile, ma tutto è possibile. Al risveglio, passeggiamo nel centro di Caltagirone, tra mosaici e maioliche. Certo, questo è un altro viaggio, ma ci racconta la stessa storia, la stessa rinascita, fatta di vino e cucina, radici e visione, amore e passione.  

Angelo ha viaggiato con Fizz Comunicazione. I collaboratori di Lonely Planet non accettano gratuità in cambio di recensioni positive.

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