Albania on the road

Redazione Lonely Planet
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La costa adriatica dell’Albania attrae numerosi viaggiatori con le sue acque cristalline e alcune spiagge che hanno saputo scampare al turismo di massa. Un viaggio in auto è però il modo migliore per assaporare il lato selvaggio della costa, con scenari montani di grande suggestione, fiere città ottomane, baie deserte e incontri con la gente, famosa per la sua ospitalità e generosità. 

Un viaggio on the road è però il modo migliore per assaporare il lato selvaggio dell’Albania ©everst
Un viaggio on the road è però il modo migliore per assaporare il lato selvaggio dell’Albania ©everst
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Il mio viaggio inizia al confine con la Grecia, a Konispol, da dove con un breve tragitto raggiungo Butrinto, un’antica città situata su una penisola boscosa circondata da una laguna. All’ombra di querce e frassini, i resti solenni dei palazzi costruiti da greci, romani e bizantini invitano alla meditazione, che potrete proseguire sdraiati sulla spiaggia di Ksamil, a dieci minuti di macchina. 

A nord di Ksamil si estende la ‘riviera’ albanese. La strada segue i contorni rocciosi della costa, a tratti con un abbandono letale. Va detto a tal proposito che le strade albanesi sono fra le più pericolose d’Europa, con i cigli disseminati di lapidi in ricordo delle vittime. Noto che più di una lapide reca, con macabra ironia, i segni di una collisione. Se vi fidate a levare gli occhi dalla strada, vedrete castelli diroccati in cima alle rupi, monasteri ortodossi a guardia delle maree, villaggi di etnia greca, come Himara, e la sorpresa più grande, un misterioso rifugio antiatomico della Guerra Fredda. 

La spiaggia di Ksamil  ©Andrew Angelov
La spiaggia di Ksamil ©Andrew Angelov

Rischio calcolato e distruzione reciproca assicurata sono concetti che iniziano ad avere un senso quando affronto il passo di Llogara, il gran finale della riviera, dove la strada sale a zigzag lungo un pendio a picco sul mare mentre il traffico in senso opposto mi viene incontro a rotta di collo. Superato il passo, la guida si fa più calma attraverso verdi vallate fino alla storica Berat, sopravvissuta ai bulldozer dell’era comunista. La sera in cui arrivo sta diluviando, le stradine lastricate si sono trasformate in torrenti. La pioggia rimbomba sulla cupola di una moschea ottomana, in cui il custode mi fa entrare con una pesante chiave di ferro. Quella sera ceno con kebab d’agnello e bevo una tazza di denso caffè turco. Qui, e in altri luoghi dell’Albania, ci si sente spesso più vicini al Bosforo che all’Adriatico. 

Ma Berat è lontana anche da Tirana. Arrivando da sud lungo strade congestionate, la capitale appare in tutto il suo cemento brutalista, irta di palazzoni distribuiti lungo griglie ordinate. Rimane però il posto migliore per tastare il polso della nazione e capirne il recente passato. I murales di Piazza Skanderbeg offrono un assaggio dell’era comunista, quando l’Albania era uno stato-pària ai ferri corti con l’Occidente, il blocco orientale, la Iugoslavia, e praticamente chiunque altro dopo la rottura con la Cina, suo unico alleato. Curiosa è la Piramide, un edificio nato come mausoleo per l’ex dittatore Enver Hoxha, il feroce leader che trasformò l’Albania nel primo stato ateo del mondo, vietò la barba, fece giustiziare i suoi ministri, e che aveva un debole per il comico inglese Norman Wisdom. 

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La strada per il passo di Llogara ©Andrew Angelov
La strada per il passo di Llogara ©Andrew Angelov

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Dopo un paio di giorni a Tirana, la cosa più saggia da fare è tornare verso l’Adriatico. Lascio l’autostrada prendendo l’uscita per Durazzo, collegata all’Italia da traghetti, con ampie spiagge sabbiose su cui si affacciano pizzerie e caffè. Il legame con l’Italia è ulteriormente sottolineato dalla tozza torre veneziana e dall’anfiteatro romano, dove trascorro ore piacevoli osservando i gatti randagi prendere il sole dove un tempo combattevano i gladiatori. 

Come si sa, l’Albania è al centro di spinte culturali contrastanti, patria di musulmani e cristiani, schiacciata tra mondi diversi –slavo, latino ed ellenico – contesa nei secoli dagli eserciti di Roma, Istanbul, Sarajevo e Atene. La figura chiave dell’identità albanese è Skanderbeg, un nobile vissuto nel XV secolo che combatté gli ottomani e il cui mitico castello si erge a Croia, pochi chilometri a nord di Durazzo. Vi faccio tappa per scalare le sue torri possenti, in cima alle quali la bandiera con l’aquila bicefala sventola nella brezza marina. Metà Albania sembra distendersi sotto i suoi bastioni. 

Da qui la pianura costiera si srotola verso nord in direzione del lago di Scutari, un mare interno che segna il confine settentrionale con il Montenegro. Le sue sponde sono perfette per rigenerarsi dopo settimane di strada. Trascorro una pigra mattinata nuotando nell’acqua bassa tra i canneti, un pomeriggio sonnecchiando su un’amaca in riva al lago e una sera ascoltando la chiamata alla preghiera, mentre il sole infonde nelle acque la sua luce dorata. 

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Il lago di Scutari © Irina Papoyan
Il lago di Scutari © Irina Papoyan

Scutari sarebbe la perfetta tappa finale di un viaggio in Albania se non fosse per il richiamo dei Monti Maledetti, i più alti dei Balcani, le cui vette scintillanti s’innalzano al crocevia tra Albania, Kosovo e Montenegro. Molti viaggiatori le visitano in autobus a causa delle pessime condizioni della strada, che da Scutari sale zigzagando fino al borgo montano di Theth. Se siete in pace con il creatore (e assicurati), potete avventurarvi con i vostri mezzi, contornando e superando boschi ombrosi, spingendovi più in alto delle aquile, finché non raggiungete l’apice dei passi e le orecchie si stappano. 

Theth, in sé, è diventato un centro rinomato per l’escursionismo, ma la campagna circostante offre ancora uno scorcio di un’Europa rurale che non c’è più: fattorie, prati pullulanti di farfalle, sentieri calpestati da pastori e greggi, il tutto racchiuso in un anfiteatro di montagne carsiche. Fu solo nel secolo scorso che questo angolo nascosto del continente venne raggiunto da ogni genere di strada, e solo di recente l’asfalto ha iniziato ad avanzare scavalcando i passi. Ma, almeno per ora, non c’è posto migliore per terminare il mio viaggio. 

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