La Casa delle Foglie, il museo del Sigurimi a Tirana
Nonostante le tensioni e le difficoltà non siano del tutto esaurite, l’Albania è un paese democratico e in fase di sviluppo che punta molto sul turismo. Tra le principali attrazioni, oltre alle belle spiagge affacciate sulle acque turchesi della costa, c’è la capitale Tirana: una città viva e dinamica, con le variopinte facciate dei palazzi volute da Edi Rama – sindaco della città dal 2000 al 2011 e attuale Primo Ministro, apprezzato da molti e discusso da altri – e una spiccata propensione per l’arte contemporanea. E dal 2017 tra i musei da visitare c’è anche il suggestivo Shtëpia e Gjetheve, la Casa delle Foglie.
Ma non è sempre stato così. Tra il 1943 e il 1991 – anno in cui ci furono le prime elezioni libere dopo la morte del dittatore Enver Hoxha nel 1985, che sancirono la fine del comunismo nel Paese balcanico – in Albania fu attivo il Sigurimi, o più precisamente la Drejtoria e Sigurimit të Shtetit (Direzione della sicurezza di stato): una polizia segreta addetta al controllo e all’ascolto di tutto quanto avvenisse nel Paese. L’obiettivo era combattere la criminalità ma soprattutto monitorare, intercettare e reprimere qualsiasi attività che potesse minare il rigido regime comunista di stampo stalinista e anti-revisionista guidato da Hoxha e dal Politburo, l’Ufficio Politico del Partito del Lavoro d'Albania, che avrebbe portato la nazione all’isolamento internazionale anche all’interno del blocco sovietico e poi alla profonda crisi economica e sociale degli anni ’90.
Da clinica a museo, con un buio passato
La palazzina in Rruga Dëshmorët e 4 Shkurtit, di fronte alla cattedrale ortodossa e a due passi dall’ampia piazza dedicata all’eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg – che, chiusa al traffico e decorata da aiuole e giochi d’acqua, è il più eloquente simbolo del rinnovamento urbanistico e sociale della città – fu costruita nel 1931 come clinica di ostetricia e ginecologia, voluta e diretta dal medico Jani Basho.
Tra il 1943 e il 1944 ospitò il quartier generale della Gestapo, che la usò anche per arresti e interrogatori. Quando i tedeschi lasciarono la città, l’edificio fu adibito a sede del Sigurimi. Inizialmente un centro organizzativo, ha mantenuto pure la triste fama (mai dichiarata ufficialmente) di luogo per interrogatori, torture e uccisioni: sarebbero state oltre 5.000 le esecuzioni politiche durante il regime di Hoxha, in gran parte di politici e religiosi ma anche di cittadini considerati eversivi, filo-sovietici o in contatto con organizzazioni straniere.
Poi, dal 1955, fu trasformato in un centro scientifico e tecnico per metter su una capillare ed efficace attività di spionaggio e controllo fisico e psicologico basata su microspie, pedinamenti, materiale fotografico, intercettazioni e su un complesso sistema di propaganda per indurre gli stessi cittadini a delazioni e denunce.
Dal maggio 2017 la Casa delle Foglie – così denominata per le piante rampicanti che ne coprivano le facciate quasi mimetizzandole, ma anche a ricordare il fruscio degli incartamenti, le notizie bisbigliate, il rumore lieve di qualcuno che spia tra i boschi – è diventata un museo. Voluto dal governo albanese, porta anche delle firme italiane: quelle di Elisabetta Terragni – dello studio DRAW Design Research Architecture Writing – che ne ha immaginato il progetto espositivo, e di Daniele Ledda dello studio xycomm, autore della comunicazione visuale.
Le pareti hanno orecchie
Insospettabile proprio come durante il regime, all’interno della placida palazzina che ospita il Museo dei Servizi Segreti albanesi si dipana un inquietante percorso che illustra in maniera suggestiva le attività di sorveglianza, repressione e propaganda del regime, riuscendo a trasmettere al visitatore non solo informazioni a molti sconosciute, ma anche una sensazione opprimente di costante controllo.
Nelle 31 sale – divise in nove settori su due piani – sono esposti dossier che dimostrano le attività del Sigurimi, gli accordi con gli stati alleati per la formazione delle spie e le apparecchiature adoperate, talvolta costruite ad hoc: registratori, mini-telecamere, videoproiettori, microfoni, cuffie, ricetrasmittenti, amplificatori, binocoli, sistemi per la trascrizione delle intercettazioni e così via, con tanto di dettagliate istruzioni per l’uso. Un ruolo importante lo ebbero anche i cosiddetti “microfoni viventi”, vale a dire gli agenti e i collaboratori del regime reclutati scientificamente, organizzati in un preciso ordine gerarchico e ribattezzati con bizzarri nomi in codice.
Altri settori espongono foto, registrazioni, atti e testimonianze dei principali processi politici e delle loro vittime e le intercettazioni di cittadini stranieri e diplomatici, considerati un temibile “nemico esterno”.
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Gli aspetti forse più toccanti del museo sono quelli che mostrano quanto anche la vita privata dei comuni cittadini fosse permeata da quest’incessante attività di sorveglianza: la ricostruzione di un tipico salotto casalingo degli anni ’70 – in cui, attraverso la presenza di cimici o la “soffiata” da parte di un parente o un amico, conversazioni ritenute sconvenienti o perfino l’ascolto di determinate canzoni potevano portare all’incriminazione come “nemico della patria” – rende efficacemente l’annullamento di ogni privacy. Naturalmente, anche i controlli degli apparecchi telefonici e della posta personale rientravano tra gli strumenti di ascolto. Le stanze del settore numero sette riecheggiano delle voci catturate dalle intercettazioni telefoniche, mentre l’ottavo ospita il Panopticon – Panakustikon con le ricostruzioni dei laboratori del Sigurimi: tradotto letteralmente come “il posto da cui puoi vedere e udire ogni cosa”, rimanda anche alla “prigione ideale” teorizzata nell’Ottocento dal filosofo utilitarista Jeremy Bentham, in opposizione all’utopia della “società perfetta” incarnata dagli ideali comunisti.
Il settore finale, intitolato Passato Imperfetto, sembra unire le testimonianze dell’epoca – scritte e registrate, da ascoltare attraverso apparecchi telefonici alle pareti – a uno scenario da futuro distopico, sulla scia di citazioni come quella di Hannah Arendt: “Padroneggiare il passato è possibile solo nella misura in cui si racconta ciò che è accaduto”.
Ma la portata emotiva – tutt’altro che confortevole – della visita alla Casa delle Foglie sta soprattutto nel realismo con cui è concepita: perfino i servizi igienici sono “a tema”, e delle scritte sulle pareti di alcune stanze ricordano che qualcuno è in ascolto di tutto ciò che accade al loro interno. Naturalmente si tratta di finzione scenica. O forse no?
Visitare il museo
La Casa delle Foglie è aperta per le visite tutti i giorni dalle 9 alle 19, da maggio a settembre. Da ottobre ad aprile, i giorni e gli orari di apertura possono variare. Il biglietto d’ingresso – al prezzo di 700 lek albanesi, pari a circa 6 euro – si può acquistare nella biglietteria situata all’ingresso del parco che circonda il palazzo, e il materiale esplicativo delle diverse sale è anche in inglese.
In alcune giornate dell’anno – per esempio il 29 settembre, Giornata Nazionale del Patrimonio Culturale – e l’ultima domenica di ogni mese (con eccezione di giugno, luglio e agosto) l’ingresso è gratuito.
Non è possibile scattare foto all’interno del Museo.