Cinque degli alberi che vivono più a lungo e dove trovarli in natura
Quando si viaggia, spesso si cercano i luoghi senza tempo: paesaggi che sembrano immobili, custodi silenziosi di storie antiche. Ma pochi elementi raccontano il passare dei secoli con la stessa potenza degli alberi. Alcuni esemplari hanno assistito a civiltà che nascevano e cadevano, ad animali estinti, a climi mutati. In questo articolo vi portiamo alla scoperta di cinque alberi straordinari per longevità e fascino, incontrati in habitat diversi del pianeta: dalla savana africana alle foreste montane degli Stati Uniti, fino all’entroterra australiano. L’acacia a ombrello, il maestoso ginkgo, l’antico ulivo, il resistente pino dai coni setolosi e la rarissima wollemia ci ricordano che la natura sa essere tanto resiliente quanto sorprendente. Se amate i viaggi che uniscono meraviglia e contemplazione, lasciatevi guidare da questi giganti verdi, testimoni viventi del tempo.

Il Pino dai coni setolosi: alcuni spuntarono più di 5000 anni fa
È curioso che la specie di pianta vivente più antica abiti uno dei paesaggi meno ospitali al mondo: una zona subalpina esposta e dal suolo povero dell’Ovest statunitense, che si estende su montagne remote di California, Nevada e Utah. In questo ambiente battuto dai venti e sottoposto a neve e sole impietosi, il pino dai coni setolosi dell’Ovest cresce di regola isolato, senza temere la concorrenza di nessun’altra specie – e libero da organismi nocivi e malattie che prosperano ad altitudini inferiori – per molti millenni.
Nelle White Mountains californiane, per esempio, esistono ‘bristlecone pines’ i cui semi germinarono intorno ai 4000-5000 anni fa, più o meno quando in Egitto vennero costruite le piramidi di Giza: una longevità incredibile, a cui in effetti si riferisce il suo nome botanico Pinus longaeva.
I molti tronchi del pino clonale dello Utah, Pando possono rivendicare il titolo di organismo vivente più vecchio della Terra, ma il ‘Matusalemme’ della California orientale è il vincitore tra quelli nati da un solo pollone. Queste origini preistoriche giustificano il suo aspetto disordinato: il Pinus longaeva non è un albero bello. Il suo tronco contorto e spesso privo di corteccia, levigato dal vento, mostra rami morti a causa di fulmini o altri eventi (il clima arido impedisce che marciscano). Ma quest’aspetto sgraziato ha il suo fascino e anche un grande valore ecologico. Non solo dona un tocco di verde a un paesaggio desolato e i suoi semi nutrono la popolazione delle passeriformi nocciolaie di Clark, ma il suo legno invecchiato è un caveau nascosto di storia naturale. Gli anelli di crescita annuale del suo tronco ci dicono la sua età, ma anche i cambiamenti ambientali avvenuti, dalla siccità al fuoco, nonché le fluttuazioni della temperatura e delle precipitazioni. Incrociando gli anelli di pini viventi e morti, gli scienziati sono stati in grado di mappare i cambiamenti climatici risalendo per ben 8000 anni.
Dove vederlo
Ci sono alberi vecchi, ci sono alberi antichi e poi c’è il ‘Great Basin bristlecone pine’. Alcuni dei venerabili Pinus longaeva trovati sulle alte montagne di California, Nevada e Utah sono lì da quattro millenni e l’esemplare della contea di Inyo, nelle White Mountains californiane, noto come ‘Methuselah’ (Matusalemme) si pensa sia l’albero non clonale più antico del mondo, facendo registrare la sorprendente età di 4855 anni.
Per garantire la sicurezza di questo prezioso cimelio naturale, la sua esatta collocazione è tenuta segreta, ma ci sono molti pini dai coni setolosi ultramillenari facili da osservare nel vasto Great Basin National Park, che occupa un bacino naturale tra la Sierra Nevada e i Monti Wasatch. Con un’auto a noleggio ci si arriva facilmente; seguite la Rte 93 da Las Vegas, o la Interstate 15 e la Rte 50 da Salt Lake City. Per vedere i ‘matusalemme’ senza dovervi trasformare in cercatori (d’oro) a tempo pieno, dirigete i vostri scarponi da trekking verso Wheeler Peak Grove, nel Great Basin National Park. Il Bristlecone Trail lungo 4,5 km inizia alla fine della Wheeler Peak Scenic Drive, la strada panoramica che si diparte dalla Hwy 488 tra Baker e le Lehman Caves.

L’Acacia a ombrello, un’icona della savana africana
Se la savana è l’icona dell’Africa, l’acacia ne è l’emblema ed è forse l’albero più simbolico dell’intero continente. Nell’ampia distesa erbosa delle sue celebri riserve e dei parchi nazionali – dal Serengeti e dal Masai Mara a est al Kalahari e al a sud – la chioma dell’acacia, caratteristica e facilmente riconoscibile, si erge solitaria, radicata nel terreno arroventato dal sole, offrendo rifugio a una fauna variegata (dagli elefanti alle formiche).
Esistono molte specie di acacia originarie dell’Africa, ma una delle più diffuse è la Vachellia tortilis, l’acacia a ombrello; in effetti, sono pochi i paesi africani in cui non sia presente in natura, ovvero quelli del bacino del fiume Congo, nell’Africa centrale tropicale. Come suggerisce il nome, l’acacia a ombrello è caratterizzata da una chioma leggermente a cupola, a volte piatta in cima, e da aguzze spine aghiformi che corrono a coppie lungo i suoi rami. Oltre a disegnare un’attraente silhouette nel paesaggio, l’acacia a ombrello ha un’importanza ambientale senza pari. Le sue reti di radici contribuiscono a stabilizzare il terreno instabile e spesso sabbioso in cui l’albero prospera, diminuendo l’erosione, mentre i noduli che fissano l’azoto all’apice delle radici aggiungono preziose sostanze nutritive al terreno, come accade spesso tra le piante della famiglia delle Fabaceae (leguminose).
In superficie, il suo fogliame e i suoi baccelli forniscono cibo ai mammiferi in visita: è noto che il collo allungato della giraffa può raggiungere le chiome aeree dell’acacia, ma la sua lingua allungata e le sue labbra ispessite le permettono anche di staccare le foglie dalle spine. Incredibilmente, le acacie si sono evolute per combattere questo fenomeno, rilasciando tannini sgradevoli nelle foglie quando vengono sgranocchiate dagli erbivori affamati.
Dove vederla
Albero simbolo delle pianure africane, l’acacia evoca immagini di elefanti, zebre e giraffe che vi trovano riparo, o della sua chioma che si staglia contro il sole al tramonto mentre la savana si anima dei suoni della notte. Questi alberi adattati alla siccità crescono in modo prodigioso in quasi tutti i paesi africani e nelle zone tropicali di tutto il mondo, compresa l’Australia, dove si trovano due terzi delle specie di acacia del mondo.
Ma se dovessimo scegliere un luogo solo per ammirare le maestose sagome di antiche acacie dis - seminate nelle praterie, sarebbe il parco nazionale interconnesso del Serengeti in Tanzania e del Masai Mara in Kenya. Durante l’annuale migrazione della fauna selvatica dal Serengeti al Masai Mara, sono garantite splendide foto di mandrie in movimento e di acacie a forma di ombrello sotto l’infuocato sole africano velato dalla polvere. I safari al Masai Mara sono facilmente organizzabili a Nairobi e quelli al Serengeti a Dar e Salaam. In entrambi i casi, ci vorrà quasi un giorno per raggiungere le riserve e altrettanto per ritornare. I viaggi economici prevedono generalmente pittoreschi soggiorni in tenda, mentre quelli più costosi offrono sistemazioni confortevoli in campi tendati semipermanenti o lodge di caccia.
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L’Ulivo, che si fa sempre più contorto con l’età
Immaginate le storie che potrebbe raccontarci un albero di ulivo che ha duemila o più anni. In Grecia potrebbe esser stato testimone delle conquiste di Alessandro Magno, in Italia della caduta dell’impero romano. E quegli stessi alberi – contorti, con tronchi spessi e segnati dal tempo – sono ancora oggi un elemento suggestivo del paesaggio battuto dalle intemperie delle regioni europee meridionali.
Venerato sin dall’antichità, nella regione mediterranea l’ulivo svolge un ruolo significativo, sia culturalmente che economicamente. La coltivazione dell’Olea europaea continua a essere un importante settore del comparto agricolo. Si utilizza da sempre il legno d’ulivo per costruire utensili e olive e olio sono prodotti d’esportazione in tutto il mondo. Molti olivicoltori gestiscono in famiglia e secondo tecniche antiche tutto il processo della raccolta (intorno a ottobre-novembre), spesso a mano, con l’aiuto di scale in legno e rastrelli: in questo modo tramandano un rapporto con l’albero d’ulivo che esiste da millenni.
In Grecia gli ulivi si vedono ovunque: spesso crescono su terrazzamenti e le loro foglie verde argento riflettono il caldo sole mediterraneo. Gli ulivi cominciano a dare olive a partire dal quinto anno e aumentano via via la produzione. Associato ad Atena, la dea della sapienza, l’ulivo incarna la mitologia greca: proprio Atena, patrona di Atene, avrebbe fatto dono ai suoi cittadini dell’ulivo, conferendogli lo status di albero sacro, simbolo di pace e prosperità.
Effigiati in testi antichi, dipinti e immortalati in simbologie religiose – furono ritrovati persino nella tomba del faraone egizio Tutankhamon – i rami d’ulivo venivano anche intrecciati nelle corone che cingevano il capo dei vincitori dei Giochi olimpici greci, come simbolo di valore e armonia.
Dove vederlo
Nessun albero rappresenta meglio il bacino del Mediterraneo. In effetti è quasi impossibile non vedere questi alberi argentei se si viaggia dalla Penisola Iberica all’Italia, alle coste greche e turche, fin alla Palestina. In quasi ogni viaggio per le campagne della sponda nord del Mediterraneo vedrete i tronchi contorti e le corone argentee degli ulivi punteggiare il paesaggio; da ottobre a febbraio potrete osservare anche il raccolto di questo frutto che ha fatto, e fa ancora, la fortuna di questa regione.
L’olivastro, Olea sylvestris, è parte della macchia mediterranea soprattutto nel profondo sud della Spagna, ma uno dei luoghi più suggestivi dove ammirare uliveti ben tenuti di Olea europaea è l’isola greca di Lesbo, dove il suolo nutrito di minerali eruttati da un vulcano da tempo spento fa crescere più di 11 milioni di ulivi. Basta guidare per una strada di campagna e li si nota, ma noi raccomandiamo di arrivare fino ad Agia Paraskevi, dove camminando tra ulivi centenari potrete raggiungere a Klopedi le rovine del santuario di Apollo del VI secolo a.C.

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Il Ginkgo, lo splendido albero che vive per millenni
Collocare questo albero così amato e stravagante in Asia significa datarlo a un’epoca particolare e più recente, poiché nei millenni passati, il ginkgo (o ginco) si estendeva su un regno intercontinentale molto più ampio rispetto alle foreste montuose della Cina in cui cresce spontaneamente oggi. In effetti, il ginkgo è uno degli alberi viventi più antichi della Terra, con specie correlate che risalgono all’era giurassica.
Le foglie fossili risalenti all’Eocene, che durò fino a 34 milioni di anni fa, sono notevolmente simili a quelle dell’unica specie sopravvissuta, il Ginkgo biloba: e che foglie! Il termine biloba – a due lobi – indica la peculiare forma anatomica, esclusiva di questo albero e della delicata felce capelvenere, Adiantum (da cui il nome comune spesso usato per il ginkgo, albero capelvenere).
Le foglie, ricche di proprietà antiossidanti, vengono utilizzate per fare un estratto medicinale che aiuta a rinforzare la memoria, ma è in autunno che esibiscono la loro qualità più spettacolare. Sebbene sia un gimnosperma, e sia quindi più strettamente imparentato con le conifere, la colorazione autunnale del ginkgo rivaleggia con quella delle latifoglie, illuminandosi da cima a fondo di un giallo ricco e brillante, prima che le sue foglie cadano a terra.
Esemplari millenari di Ginkgo biloba dimostrano che questa non è solo una specie dalla lunghissima storia. I Kew Gardens di Londra vantano uno dei più antichi ginkgo conosciuti nel Regno Unito, piantato a metà del XVIII secolo, ma ci sono esemplari in Cina che si pensa abbiano più di 3000 anni. Studi recenti hanno attribuito questa longevità a sostanze chimiche – presenti sia in esemplari molto vecchi sia in quelli giovani – che preserverebbero la loro vitalità naturale.
Dove vederlo
Se si osservano da lontano gli eleganti ginkgo di Cina, Giappone e Corea nel loro abito autunnale giallo, viene da chiedersi perché al di fuori dell’Est asiatico non ne se piantino di più, di questi alberi primordiali e straordinari. Una tale bellezza non può non avere un difetto, comunque; chi pianta alberi femminili deve rassegnarsi alla fragranza pungente del suo frutto simile a una prugna, che evoca vividamente l’odore del vomito.
Nella tradizione cinese, ad ogni modo, il ginkgo è un simbolo di resilienza, guarigione e longevità, e li si trova per le strade delle città e nei giardini dei templi. Il colossale esemplare di 1400 anni nel tempio di Shengshui a Rongcheng, nella provincia dello Shāndōng, ogni autunno ricopre di foglie giallastre il giardino del tempio, scatenando sui social media un turbinio di foto e video con droni. Rongcheng si trova sulla punta di una penisola che si estende nel Mare Giallo a sud-est di Pechino; ci si arriva in treno da Yantai o Qingdao, le città più vicine con aeroporti e stazioni ferroviarie, poi si prosegue in taxi fino al Tempio di Shengshui. Nello Shāndōng ci sono esemplari ancora più memora - bili: sul Monte Wufeng nella città di Jinan e nel tempio di Dinglin a Rizhao, sulla costa orientale a sud di Qingdao
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Wollemia, il ‘fossile vivente’ australiano estremamente raro
Nel settembre del 1994, durante un’esplorazione del bush, la guardia forestale David Noble si calò a corda doppia in una gola del Wollemi National Park, una foresta pluviale a soli 150 km da Sydney. Per puro caso notò un gruppo di alberi maturi con uno strano aspetto. L’avvistamento della Wollemia nobilis fu la scoperta botanica del secolo perché si pensava che questa pianta si fosse estinta due milioni di anni fa. Con buona pace di chi pensa che non ci sia più nulla da esplorare su questa terra!
Soprannominata ‘il fossile vivente’, la wollemia doveva essere diffusa ovunque all’epoca dei dinosauri ed è come un filo diretto che ci collega al mondo naturale preistorico. Molte delle sue caratteristiche sono uniche: a differenza delle conifere che conosciamo oggi, le quali hanno foglie simili ad aghi, questo ‘falso’ pino ha un fogliame verde scuro, simile a quello di una cicadina (una sorta di piccola palma, anch’essa di origini preistoriche).
Il confronto del ‘fossile’ wollemia con le conifere odierne getta luce sull’evoluzione della specie nel corso di milioni di anni. Nonostante il clamoroso ritorno sulla scena, nel suo habitat naturale la wollemia rimane una specie a rischio: attualmente solo un centinaio di esemplari cresce nel Wollemi National Park. Minacciata dai cambiamenti climatici e dalla distruzione del suo areale, per salvaguardarne il futuro la wollemia è stata propagata e coltivata nei giardini botanici di tutto il mondo. Inoltre, come polizza assicurativa per proteggere questa specie, dal 2019 l’Australia ha istituito dei siti di traslocazione, in cui più di 300 pini sono stati strategicamente collocati e piantati in località tenute segrete.
Dove vederlo
Anche se porta il nome di un parco nazionale nel New South Wales, l’esatta ubicazione della popolazione originale della Wollemia nobilis scoperta proprio qui è un segreto che rimane confinato agli ambiti scientifici. Il Wollemi National Park si trova a un paio d’ore di distanza da Sydney, guidando verso nord-o vest in direzione di Colo e Putty. Non ci sono mezzi di trasporto pubblici, ma una volta lì si può esplorare a piedi la zona e campeggiare. Vaste aree del parco hanno gole, paludi e canyon boscosi non toccati dall’uomo: per non correre rischi in questa natura selvaggia, rimanete sui sentieri e non fate campeggio libero. Molti percorsi prevedono arrampicate su roccia e discesa a corda doppia. Prima di partire per una camminata contattate l’ufficio dei ranger.
Per vedere una wollemia mentre siete nel New South Wales andate all’orto botanico di Sydney, allo zoo parco di Taronga, ai giardini botanici Mt Annan nella parte sud-occidentale di Sydney o a quelli di Mt Tomah, nel bel mezzo del Blue Mountains National Park. L’orto botanico di Sydney è in centro città, affacciato sul porto e sulla Sydney Opera House, mentre per arrivare ai giardini botanici di Mt Tomah nelle Blue Mountains ci vogliono due ore d’auto da Sydney (nessun mezzo di trasporto pubblico). In entrambi l’ingresso è libero.