La geopolitica in una guida, così le guerre ridisegnano la mappa dei viaggi
La notte in cui gli aerei dell’Arabia Saudita hanno bombardato le postazioni dei ribelli sciiti, lo Yemen è sparito dal nostro orizzonte di viaggiatori. Le antiche abitazioni a torre, edifici di pietra e fango alti fino a otto piani, i palazzi di sultani, le moschee e i villaggi appollaiati sulla cima delle montagne sono diventati un ricordo. E pensare che per molti anni la bellezza millenaria di Sana’a, la stessa che aveva incantato Pasolini, era stata un sogno concreto.

Nel 1992 quando la casa editrice Edt portò in Italia le guide della Lonely Planet, lo Yemen era il titolo più venduto. Più della Tunisia e di Bali, più del Guatemala e del Nepal. Una decina di anni dopo, l’instabilità politica e i rischi per la sicurezza lo avevano già reso invisibile. Resisteva in una guida che abbracciava anche l’Oman e gli Emirati Arabi Uniti. Oggi neanche quello: la guerra che da tre anni devasta il paese lo ha mandato definitivamente fuori catalogo.

La guida dello Yemen non è l’unica a essere sparita dagli scaffali. Altre sono uscite dai nostri radar a causa di guerre e tensioni politiche. Il destino di una guida, il suo percorso dentro e fuori le librerie, è lo specchio di quello che accade nel mondo e il catalogo di Lonely Planet, la bibbia dei viaggiatori fai-da-te, è il punto di vista perfetto per raccontarlo. Non solo perché in Italia ogni tre guide acquistate una è Lonely, ma anche perché i loro autori, oltre trecento, sono sempre i primi a segnalare destinazioni non battute dal turismo abituale.
La Siria, una delle più amate dagli italiani, in venticinque anni era stata per ben nove volte nella Top 25, come il Perù o l’Australia. Nel 2008 uscì per l’ultima volta insieme al Libano. L’Egitto ha resistito fino al 2012, due anni in più della Tunisia. Fino al 2005 c’era anche il Pakistan. “Il Medio Oriente è sempre stato il posto più vicino per sentirsi lontani e quindi per anni Libano, Siria e Giordania, hanno fatto numeri da capogiro”, racconta Angelo Pittro, direttore Lonely Planet Italia. “Città come Istanbul vendevano quanto Parigi, adesso pochissimo. E paesi non direttamente interessati dagli ultimi conflitti, come il Libano, sono scivolati lontano dai nostri occhi. Il prossimo anno pubblicheremo una guida su Beirut, siamo convinti che sia arrivato il momento di tornare”. Rientrerà in catalogo anche la Tunisia, aggiornata l’ultima volta nel 2010.

I Balcani, rinati dalla cenere degli anni Novanta, sono arrivati sui nostri scaffali un pezzo alla volta. Prima sono state pubblicate le guide della Slovenia e della Croazia, poi quella del Montenegro e infine Belgrado e la Serbia, prima edizione 2017. Nel 2019 sarà la volta dell’Albania, per più di cinquant’anni un buco nero sulla cartina dell’Europa.
Anche l’Afghanistan, la terra in cui la storia della Lonely Planet ebbe inizio, aveva tentato di affacciarsi al mondo. Negli anni sessanta e settanta era una tappa irrinunciabile lungo il sentiero degli hippy. Ragazzi di ogni nazionalità si incontravano nelle guesthouse di Herat, contrattavano il prezzo dell’hashish e ripartivano per Kabul. Donne biondissime camminavano a piedi scalzi nei mercati della capitale, mangiavano torta di mele ai tavoli del ristorante Khyber, in Piazza Pushtunistan, andavano nella valle di Bamiyan per ammirare i monumenti buddisti non ancora ridotti in macerie dai talebani e infine ripartivano sui loro furgoni Volkswagen per raggiungere Katmandu, in Nepal.
Chi non partiva poteva sognare di farlo, sfogliando la prima guida in assoluto della Lonely Planet, “Across Asia on the cheap”, scritta da Tony e Maureen Wheeler di ritorno dalla loro luna di miele e pubblicata nel 1973, appena cinque anni prima che l’instabilità prendesse possesso del paese. In Italia quella guida non fece in tempo ad arrivare – oggi, con una introduzione di Lorenzo Jovanotti, è disponibile gratuitamente sul sito. “Dopo l’insediamento di Hamid Karzai iniziammo a sperare in una stabilizzazione del Paese e nel 2008 il nostro catalogo iniziava con l’A di Afghanistan”. Fu la prima e ultima volta: la guida da allora non è più stata aggiornata. “Pubblicarla era un messaggio di speranza – ricorda Pittro - perché, al di là delle guerre, per noi vale sempre la filosofia di Wheeler: incentivare i viaggi è il modo più diretto per portare denaro ai paesi in difficoltà”.
In America Latina la Colombia è una new entry, mentre il Venezuela, che per anni aveva attirato viaggiatori italiani, dopo la morte di Chavez è uscito dal catalogo. Il Nepal è stato costretto a farlo nel 2015: il terremoto aveva ridotto in macerie tutto, anche le informazioni raccolte dagli autori. A ottobre tornerà in libreria. Non poteva mancare: il tetto del mondo è il luogo perfetto per allargare il nostro orizzonte di viaggiatori. Da lassù tutto è possibile, anche sognare di rivedere un giorno le valli dell’Afghanistan e le torri dello Yemen.
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Diritti Riservati Rep, la Repubblica
Stefania Parmeggiani è una giornalista di Repubblica. Suoi reportage sono stati pubblicati su Carta e sulla rivista spagnola El Diagonal. Nel 2008 è stata tra i fondatori di Repubblica Parma, dal 2011 vive a Roma e lavora nella redazione Cultura dove si occupa principalmente di editoria, narrazioni crossmediali e cultura digitale. Nel 2007 ha vinto il concorso giornalistico della fondazione Formenton; nel 2015 ha pubblicato “La notte di Silvia” per Castelvecchi.