Che cos’è la Thainess?
La gentilezza fa parte dell’essere thailandesi? Il pad thai (il piatto thai oggi più conosciuto nel mondo)… è davvero thai? E il wai (il saluto tradizionale a mani giunte davanti al petto) appartiene all’identità thailandese? A Bangkok c’è un museo interattivo che cerca di decodificare che cos’è la Thainess, sfidando stereotipi e preconcetti. Un invito a guardare oltre la superficie delle cose, per capire un po’ più a fondo il “popolo del sorriso”.

Decoding Thainess è un viaggio alla scoperta della cultura e dell’identità del popolo thailandese, proposto dal Museum Siam. Il motto di questo museo interattivo è “Gioca + Impara = เพลิน” (phloen), una parola che in lingua thailandese significa “divertirsi, godersi l’esperienza, lasciarsi piacevolmente coinvolgere”. Ed è proprio così, con questo spirito di scoperta e un’irrefrenabile curiosità, che mi addentro nelle sale multimediali di questo luogo, alla ricerca di una risposta alla domanda: “che cos’è la Thainess?”.
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Una prima crepa nella certezza di conoscere realmente la Thailandia – in fondo negli anni ci ho passato diverso tempo – arriva non appena entrata. Salendo lungo le ampie scalinate dell’edificio in cui si trova il museo, la sensazione è quella di fare un viaggio a ritroso nel tipico stile architettonico thailandese. Salvo poi scoprire che l’architetto che l’ha progettato era un italiano, Mario Tamagno, che a inizio del XX secolo ha lavorato in Thailandia su diversi progetti pubblici (questo edificio, per esempio, era la sede del Ministero del Commercio durante il regno di Rama VI) e residenze reali, contribuendo alla creazione di uno stile neoclassico europeo mescolato a elementi locali. Com’è che si dice? Bene… ma non benissimo.

Fin dalle prime sale, la sensazione è quella di essere Alice nel paese delle meraviglie. Ci sono cassetti da aprire per tuffarsi nella storia della Thailandia e scoprire, per esempio, perché è stata inserita una striscia blu nel centro della bandiera thailandese oppure cosa ha rappresentato l’elefante bianco nella storia del paese. Ci sono pulsanti che attivano installazioni luminose, scritte che compaiono sui muri, vetrine illuminate che si accendono e si spengono, scatole con dentro giochi, vestiti da indossare, libri di scuola da sfogliare, riti propiziatori da provare. E ancora: scaffali con sopra una serie di oggetti d’uso quotidiano come i sacchetti di plastica con manici annessi per portarsi in motorino un bel caffè freddo o una zuppa bollente, unguenti e oli essenziali, contenitori di erbe balsamiche da annusare, e anche quel cilindro metallico portamonete con ai lati i strisce di biglietti arrotolati, usato dai bigliettai negli autobus sgangherati che ancora girano per Bangkok.

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Ma mano che la visita prosegue, le domande aumentano mentre le risposte, da bianco a nero diventano sfumature di grigio fino ad arrivare a un cortocircuito. Nella sala dedicata alla cucina thailandese si trova una grande tavola interattiva. Prendendo dalle pareti un piatto e appoggiandolo sul tavolo, grazie a un QR code viene proiettata la storia della ricetta selezionata. Così si scopre che piatti come il tom yum kung (zuppa di gamberi piccante), il som tum (insalata di papaya) e l’amatissimo pad thai non sono autenticamente thailandesi, o almeno non nel senso più stretto del termine. Si tratta infatti del risultato di secoli di scambi e influenze cinesi, laotiane, indiane e anche europee. E così anche i tuk-tuk che, tutt’altro che essere nati in Thailandia, sono una derivazione locale dell’auto-risciò giapponese, a sua volta ispirato all’Ape Piaggio italiana.
Quando nasce la Thainess
La Thainess, come concetto, nasce in concomitanza con la formazione dell’odierna Thailandia. Prima, infatti, durante i periodi Daravati, Sukhothai, Ayutthaya e nei primi anni del Regno di Rattanakosin, le popolazioni che oggi compongono la Thailandia erano divise in base alla propria etnia d’appartenenza, alla lingua e alla fedeltà nei confronti di autorità locali. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sotto il regno di Rama V inizia a prendere forma un’idea, ancora acerba, di identità nazionale. È l’epoca del colonialismo europeo nel sudest asiatico e l’idea di una nazione unita nasce proprio per contrastare le influenze esterne e mantenere indipendente quello che allora ancora si chiamava Regno del Siam.
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Nel 1939 il colonnello Plaek Phibunsongkhram cambia il nome del paese da Regno di Siam a Thailandia, e introduce i tre pilastri di quella che poi sarà il primo nucleo della Thainess: nazione, religione e re. In quegli anni, infatti, il governo cercava di costruire una nuova identità unitaria per un paese formato da diverse etnie e tradizioni locali molto forti. È stato proprio in questo contesto che nacque uno di quelli che oggi consideriamo un simbolo della Thailandia: il pad thai. Pensato per rappresentare l’orgoglio nazionale, era semplice, economico e facile da preparare, e in breve tempo gli stessi thailandesi cominciarono a riconoscersi in questo gusto e in questo nome – che significa proprio “saltato alla maniera thai”.

Negli anni Ottanta del Novecento la Thainess si trasforma in una sorta di soft power culturale e viene usata come mezzo di promozione internazionale per favorire il turismo, l’arte, e la diffusione all’estero delle tradizioni thailandesi. La Thainess inizia così ad assumere una dimensione più culturale e simbolica che politica. Oggi la Thainess è un concetto multiforme e ancora ambivalente perché, se da una parte è motivo d’orgoglio e celebra la cultura, le tradizioni, l’ospitalità e i simboli nazionali di questo paese, dall’altra in alcuni casi può rappresentare un terreno di conflitto culturale e politico, soprattutto quando viene usata per limitare la libertà di espressione o per marginalizzare le minoranze.

Arrivati alla fine del percorso espositivo si capisce un po’ di più perché rispondere alla domanda che cos’è la Thainess è tutt’altro che facile. La Thainess, infatti, è un concetto che muta nel tempo e ogni definizione ha una sorta di data di scadenza. Quello che si intendeva con Thainess cinquant’anni fa non è quello che si intende oggi, e lo stesso molto probabilmente accadrà tra altri cinquant’anni. Questo perché la Thainess è qualcosa di dinamico, uno specchio eclettico e diversificato dei tempi che cambiano. E vedere tra i visitatori del museo curiose scolaresche locali di età diversa che guardavano con attenzione – e a tratti anche con stupore – oggetti e spiegazioni, fa capire che interrogarsi sul significato di Thainess è un processo aperto e vivo.

Alla fine di queste 14 sale su cos’è o cosa non è la Thainess si esce con decisamente meno certezze rispetto a quando si è entrati, ma con la consapevolezza che per capire qualcosa è necessario andare oltre la sua superficie. Bisogna farsi domande, più che cercare definizioni, osservare i dettagli e ascoltare le persone perché sono le loro storie insieme alle pieghe del loro quotidiano a raccontare l’anima di una cultura.