Viaggio lungo la costa dell’Islanda Occidentale: terra di leggende
Puntando a nord-ovest dalla capitale Reykjavík, Alexander Howard disegna un itinerario immerso in storie di vichinghi, esploratori, maghi, troll e mostri. Seguitelo in questo itinerario lungo la costa dell’Islanda Occidentale.

Nel centro di Reykjavík c’è una casa degna d’attenzione. Si pensa sia stata costruita nell’871 in pietra e zolle erbose: le sue fondamenta (una serie di muri bassi con spazi vuoti dove c’erano le porte) e le buche dei focolari sono stati preservati nella mostra Reykjavík 871±2. Qui inizia il mio viaggio.
L’Islanda ha un ricca storia che risale a prima della sua colonizzazione: il primo esempio è il Landnámabók (Libro dell’Insediamento). Molto probabilmente, nel raccontare le vicende dei primi colonizzatori dell’isola fonde leggende tramandate oralmente a fatti storici registrati fedelmente. Ingólfur Arnarson, considerato il primo colono permanente in Islanda, lasciò la Norvegia dopo una faida finita nel sangue con i membri di un altro clan. Avvistando le coste dell’Islanda, Ingólfur ordinò che gli alti sostegni del suo seggio venissero buttati fuoribordo: si sarebbe stabilito là dove gli dèi avrebbero scelto di farli arrivare a riva. Quel sito divenne Reykjavík.
Quando il giorno dopo esco dalla città, le case lasciano il posto a campi sassosi, con il profilo delle montagne in lontananza. La strada si restringe, con pascoli sui due lati. Il cielo nuvoloso è di un profondo grigio islandese. Mentre il percorso verso nord segue sinuoso le curvature di fiordi e baie, d’improvviso si inabissa profondamente nella terra: il tunnel di Hvalfjörður è come un portale magico. All’interno dell’alone arancione della galleria, lascio che la mia mente vaghi, immaginandolo come un accesso alla storia dell’isola, a generazioni intere di islandesi e alle loro fatiche in quest’aspro paesaggio.

All’uscita dal tunnel, mi aspettano la parte ovest dell’isola e una saga. A Borgarnes, mi fermo al Centro Studi sulla Colonizzazione, un museo del folklore che racconta la scoperta dell’Islanda e la saga di Egil Skallagrímsson. Nato sull’isola da genitori immigrati, Egil crebbe immaginando se stesso come un poeta guerriero. Creò il suo primo poema a tre anni, uno sfoggio di rime, ma aveva una tendenza alla brutalità e arrivò a uccidere un altro ragazzo durante un gioco con la palla. Da vecchio, divenne oggetto di scherno da parte dei suoi servitori, ma riuscì comunque a fare un ultimo dispetto: sotterrò il suo tesoro fuori Borgarnes, in un luogo tuttora sconosciuto.
Dal museo vado a nord per Snæfellsnesvegur, una strada a corsia unica che attraversa campi fertili popolati qua e là da pecore. Il cartello indica fattorie il cui nome è ancora quello dei primi coloni. Guidando a ovest sulla penisola di Snæfellsnes, arrivo a Búðakirkja, la famosa chiesa nera. Nel 1703, la piccola comunità di Búðir cercava un sito dove erigere la propria chiesa. Secondo una leggenda locale una donna suggerì di far lanciare a un arciere bendato tre frecce, una delle quali con un nastro rosso. La chiesa sarebbe stata costruita là dove atterrava la freccia con il nastro. L’edificio sacro resistette cent’anni, ma nel 1816 fu smantellato: quello che si vede oggi fu ricostruito tale e quale nel 1987.
Continuo a ovest verso Arnarstapi, un piccolo paese di pescatori su una scogliera sul mare. Nella zona è ambientata una delle ultime saghe islandesi, Bárðar saga Snæfellsáss, che narra di Bárðr, mezzo uomo e mezzo troll, che divenne lo spirito guardiano della regione. Una breve camminata fa scoprire ponti di pietra e colonne di basalto, dove le sterne artiche sfrecciano in cielo, ma nessun troll.
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Nei pressi della punta più occidentale della penisola esco dalla strada vicino a Lóndrangar. Lontano compare una colonna di roccia vulcanica sagomata come una nave vichinga. Qui comincia la storia di Guðríður Þorbjarnardóttir. Nata in zona nell’XI secolo, Guðríður lasciò l’Islanda sulla scia delle esplorazioni di Eric il Rosso, il fondatore della prima colonia vichinga in Groenlandia. Lei andò ancora più a ovest, a Terranova, uno dei primi insediamenti del Nord America, dando alla luce Snorri Thorfinnsson, il primo europeo nato nel Nuovo Mondo. Quando l’insediamento americano venne abbandonato, Guðríður tornò in Islanda. In età matura si convertì al cristianesimo, andando persino in pellegrinaggio a Roma (dove forse incontrò il papa). Tornata sull’isola finì la sua vita come suora. Oggi è nota come Guðríður víðförla, ‘colei che viaggiò lontano’.
La strada curva a nord seguendo la penisola di Snæfellsnes e, mentre passo tra campi di lava e coni vulcanici, posso facilmente capire come abbiano eccitato l’immaginazione artistica per secoli: nella densa nebbia la voluta contorta di una roccia lavica poteva ben sembrare un troll. Jules Verne se ne lasciò ispirare nel suo Viaggio al centro della Terra del 1864: qui il suo eroe trovò l’entrata al mondo sotterraneo.

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A Hellissandur, mi fermo al museo marittimo, un po’ démodé, che evidenzia l’intimo rapporto con il mare di questa regione. Dirigendomi a est vedo il Kirkjufell, la montagna a forma di punta di freccia diventata famosa con Il trono di spade come un punto di riferimento visivo a nord della Barriera. A Grundarfjörður, oltrepasso un paesino di case colorate strette tra mare e montagna, poi un campo di lava detto Berserkjahraun: il nome viene da una saga in cui due possenti guerrieri berserker vennero uccisi dal loro capo perché uno dei due si era innamorato di sua figlia.
La storia del mio viaggio si avvia alla fine a Stykkishólmur, un paese di pescatori sullo sperone nord della penisola. Noleggio un kayak per uscire in quel mare che è stato al mio fianco per tutto il viaggio in auto fin qui. Lanciandomi tra le onde basse, scopro perché la cittadina divenne un importante centro di commerci. Protetta dall’isola di Landey a ovest e da un fiordo profondo a est, permette un sicuro accesso all’oceano. Mentre i pulcinella di mare tuffano tra le onde, trovo il relitto arrugginito di una nave sulla riva di un’isola brulla. È di qualche decennio fa ma il suo nome, Thorgeir, viene da Thorgeir Ljosvetningagodi, un capo clan del X secolo che si convertì al cristianesimo ma riuscì a mantenere molte tradizioni pagane. Una decisione che evitò all’Islanda un conflitto religioso dai potenziali esiti disastrosi.
Mentre torno pagaiando al porto, penso al lungo passato islandese, ai racconti sull’esplorazione di terre nuove, al brivido che ancora dà una storia ben raccontata.