Il Grand Tour della Corsica in auto
In questo itinerario on the road alla scoperta della Corsica, Rory Goulding segue strade che si snodano lungo paesaggi incontaminati, su di un circuito di litorali dai colori accesi e remoti borghi collinari. Ogni curva lo ripaga con magnifici panorami.
Su una spiaggia a sud di Ajaccio, una decina di mucche sta prendendo il sole. O così sembra. Altrimenti, cosa ci farebbero dei bovini sulla Plage de Mare e Sole? La Corsica sorge di fronte alla Costa Azzurra, dalla quale la separano circa 170 chilometri di mare blu, ma la sua costa ha ben poco da spartire con gli hotel colossali e i condomini che colonizzano quel litorale. La maggior parte di essa è ancora selvaggia o, almeno, come i bovini, selvatica.
E proprio come il territorio (e le mucche), anche la rete stradale lo è. La Corsica è l’unica regione della Francia metropolitana priva di autostrade. A parte, infatti, un breve tratto di tangenziale vicino all’aeroporto di Bastia, sul versante est, l’aspro territorio dell’isola scoraggia qualsiasi tentativo di imporre un ordine.
Compreso il mio. Avevo pensato di fare il giro della costa, ma ho scoperto che ci sono dei luoghi nell’interno che non voglio perdermi. Purtroppo, devo anche rinunciare al promontorio nord-orientale di Cap Corse, che punta un dito accusatore verso Genova, l’invisa potenza cui l’isola appartenne in passato.
Voltate le spalle al piccolo capoluogo, Ajaccio, lasciando le mucche ai loro svaghi balneari, ho un primo assaggio della bellezza della costa lungo la D155. Per buona parte della storia dell’isola, gli abitanti hanno scelto di vivere non sul litorale ma nell’interno, lontani dalle grinfie di potenze straniere e raid saraceni che facevano schiavi interi villaggi. Ma anche vivere in cima alle colline non aiutò la gente di Sartène nel 1583. Mi fermo sulla piazza principale per una pizza guarnita con fettine di figatellu, la salsiccia locale, e rifletto sullo strano debito che il moderno turismo corso paga al suo passato per gli scenari da cartolina, fatti di borghi arroccati sulle alture e torri di guardia genovesi in cima a promontori spettacolari.
La strada verso sud in direzione di Bonifacio attraversa una macchia mediterranea che cerca di sopravvivere sulle rocce rosate. Il porto all’altro capo di questo nastro d’asfalto pressoché deserto vanta la cittadella più imponente dell’isola. La città vecchia di Bonifacio occupa un lembo di terra unito al resto della Corsica da un istmo largo meno di 180 m, con case costruite fiduciosamente fin sull’orlo di alte scogliere. Ad appena 16 km più a sud, la Sardegna è una sagoma sfumata sull’orizzonte, ma, a meno di imbarcarmi sul traghetto, il mio viaggio deve riprendere la via del nord.
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Andando verso Porto-Vecchio, incontro una rarità assoluta per quest’isola: una lunga strada rettilinea. Adagiata su una baia, la cittadina è una sorta di versione corsa di Saint-Tropez (ma molto più sobria), con spiagge un po’ per tutti i gusti. Sugli arenili di Palombaggia e della vicina Tamaricciu, i pini marittimi e le rocce formano un giardino di sculture naturale, e i riflessi del sole esaltano il contrasto fra il turchese dei bassi fondali sabbiosi e il blu zaffiro più al largo. Lungo questa costa incantevole, i bar e i ristoranti più frequentati sono le paillottes, baracche sulla spiaggia con tetti di canne o paglia.
Oggi i corsi vivono per lo più nei pressi della costa, e attraversando i paesi montani capita spesso di vedere casolari con finestre sbarrate, che si riempiono solo a Pasqua e a Natale, quando le famiglie fanno ritorno per qualche settimana al borgo natio. Il tragitto lungo la dorsale montuosa fino a Zonza è il mio primo assaggio del cuore segreto dell’isola. Nel sito preistorico di Cucuruzzu, m’incammino su un sentiero che s’inoltra nella foresta tra massi ricoperti di muschio e raggiungo un forte isolato in cima a un poggio, risalente a più di 3000 anni fa. In fondo a una strada dissestata che porta al Plateau de Coscione, più simile alle Highlands scozzesi che ai paesaggi mediterranei, un branco di maiali selvatici scambia la mia auto per un grattatoio.
Si potrebbe proseguire nell’interno per raggiungere la tappa seguente, Corte, ma scopro che ripiegando per un breve tratto verso la costa risparmio un’ora, calcolando anche i tornanti sotto il Col de Bavella. All’altezza di questo valico, il mio percorso in auto incrocia l’impegnativo GR20 dei camminatori, che scende da un sentiero lungo una cresta frastagliata.
Le tre tappe seguenti raccontano un capitolo di storia poco noto al di fuori della Corsica, ma che all’epoca catturò l’immaginazione dell’Europa liberale. Nel 1755, una rivolta contro Genova portò alla proclamazione della repubblica corsa. I ribelli riuscirono a mantenere il controllo di buona parte dell’isola, finché i genovesi la vendettero alla Francia nel 1769, appena in tempo perché un certo Napoleone Bonaparte nascesse suddito francese. Corte, con la sua cittadella in cima a un colle, era la capitale della repubblica, mentre i genovesi si tenevano strette le roccaforti sul mare, come Calvi. Per poter disporre anch’essi di un porto, i corsi ne costruirono uno sulla Île-Rousse (isola rossa).
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Il tragitto da Corte a Calvi, passando per L’Île-Rousse, attraversa la regione della Balagne. La Corsica viene spesso definita una ‘montagna nel mare’, e di rado l’isola lascia intervalli tra questi due estremi. Qui, però, c’è un po’ di spazio a disposizione dei contadini, per cui questo tratto del mio viaggio attraversa una delle zone più fertili dell’isola, famosa per le olive, le castagne, i fichi e altri alberi da frutto. Dei cartelli segnalano una ‘Strada Vinaghjola’, che si snoda pigramente tra una decina di aziende vinicole.
La parentesi rurale non dura a lungo. Un’ora a sud di Calvi, supero il Col de Palmarella per scoprire un panorama dai colori primari, con rocce rosse che affiorano dal manto boscoso dei monti, protesi nel mare azzurro. La strada segue un tracciato che ricorda lo scarabocchio di un bambino in collera e, passando tra i Calanques de Piana, rallento, non solo per prudenza, ma per riuscire a distinguere le forme che si delineano nelle rocce: qui un foro quasi impercettibile che disegna un cuore azzurro cielo, là la testa di un cane perennemente all’erta.
Fermandomi per l’ennesima volta in uno slargo per godere di una vista migliore, scorgo un gruppo di capre sulle rocce sopra di me. Si sfidano un po’ a cornate, poi saltellano via verso scenari montani che neanche la più impavida delle strade corse può raggiungere.