Cinque esperienze gastronomiche da fare in Giappone

Redazione Lonely Planet
10 minuti di lettura

Un viaggio in Giappone è anche un’esperienza gastronomica unica: dalla haute cuisine kaiseki in un ristorante elegante di Kyōto al miglior rāmen di sempre in una bancarella di Fukuoka, il cibo in Giappone è straordinario. Se impazzite per la cucina tradizionale giapponese, non volete limitarvi alle nozioni di base sul sushi e volete vivere l'esperienza di cosa mangiano i giapponesi, seguiteci in questo viaggio nipponico tra i veri piatti tipici del paese. La scelta è eccezionale anche per quel che riguarda le bevande: divertitevi ad assaggiare i sakè locali, le birre artigianali e un universo di tè differenti.

Fermatevi negli yatai  di Fukuoka  ©Thitinun Lerdkijsakul/Shutterstock
Fermatevi negli yatai di Fukuoka ©Thitinun Lerdkijsakul/Shutterstock
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Divorare Hakata rāmen a Fukuoka

Di tutti i cibi per cui è famosa Fukuoka, niente è paragonabile al suo rāmen. Negli ultimi tempi, il Kyūshū sta vivendo una sorta di rinascimento gastronomico, ma Fukuoka è da sempre sinonimo di noodles incredibili, assolutamente uno dei migliori piatti giapponesi. Si possono mangiare in tutti i modi, ma il più tradizionale è il tonkotsu, un brodo bianco di osso di maiale ricco di sapori umami, che viene spesso chiamato ‘stile Hakata’. Anche i noodles sono diversi da quelli che si trovano altrove: di solito sono sottili e dritti, mentre qui sono spessi, gommosi e arricciati. Esistono centinaia, forse migliaia, di locali di rāmen a Fukuoka, ma sono tre grandi catene a dividersi il favore degli abitanti, quasi come squadre di baseball: Ippūdō, Ichiran e Ikkōsha. Quest’ultima è relativamente nuova, ma è rapidamente diventata una catena internazionale, con ristoranti in tutta l’Asia. Ichiran si distingue per la presenza di curiosi tavoli ‘privati’, perfetti per chi viaggia da solo e vuole solo entrare, mangiare uno o due ciotole di rāmen e andarsene. Molto frequentati dagli impiegati che lavorano dalle 9 alle 17, i suoi ristoranti possono avere file fuori dalla porta durante gli orari di punta.

Per seguire le abitudini locali, dimenticatevi del galateo occidentale e sorseggiate rumorosamente dalla vostra ciotola, in modo da far capire al proprietario che vi state godendo il pasto. Lasciate anche stare le diete povere di sodio: è considerato scortese avanzare il brodo nella ciotola (viene servito con un cucchiaio appositamente per questo!) Se proprio non riuscite a mangiare cibi così salati, non preoccupatevi troppo: sarete perdonati, purché concludiate il pasto con un cenno di apprezzamento e (idealmente) con un caloroso Gochi- sōsamadeshita! (Era delizioso!).

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Sebbene si possano trovare anche in altre parti del Giappone, se menzionate Fukuoka a qualcuno che la conosce, vi parlerà di sicuro degli yatai. Queste grandi bancarelle si possono trovare lungo alcune strade e viali e sono particolarmente frequentate dagli amanti della movida notturna, che si fermano agli yatai per mangiare qualcosa prima di tornare a casa dopo una serata di festa. Le bancarelle possono essere lussuose o piuttosto malandate, ma la qualità del cibo è sempre alta. Troverete oden (spiedini di carne e verdure bolliti in un brodo saporito), rāmen, yakitori (spiedini alla griglia), tempura, udon, okonomiyaki (omelette salata con cavolo e verdure) tako-yaki (polpette di polpo fritte) e così via. Il cibo è delizioso e l’esperienza è simile a quella di mangiare a tavoli in comune: sarete seduti con persone sconosciute e, inevitabilmente, finirete per farvi degli amici. Qualcuno, magari il proprietario, vi chiederà da dove venite, mentre qualcun altro insisterà per farvi provare una prelibatezza.

Tenete a mente che, per quanto vi stiate divertendo, avete un tempo limitato per il pasto, quindi cercate di non occupare per ore un posto a sedere facendo perdere altri clienti al proprietario. Mangiate, fate due parole, conoscete un po’ di gente e poi spostatevi a un’altra bancarella, per non rischiare di sentirvi dire, in maniera non troppo velata, “Ecco il conto. Vi auguro un buon proseguimento di serata... altrove.”

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Alcune botti  della Marukin, la più grande fabbrica di soia di Shōdo-shima   ©rayints/Shutterstock
Alcune botti della Marukin, la più grande fabbrica di soia di Shōdo-shima ©rayints/Shutterstock

Salsa di soia e gelato a Shōdo-shima

La produzione di salsa di soia a Shōdo-shima risale a secoli fa. La fabbrica migliore da visitare è la Yama-Roku Shōyu, dove potete vedere le gigantesche botti di criptomeria in cui la salsa viene fatta fermentare per un periodo che va dai due ai quattro anni. Le botti più antiche e più grandi da 6000 litri risalgono alla fondazione della fabbrica, avvenuta circa 150 anni fa. Nei fine settimana il cortile anteriore si trasforma in una chaya (casa da tè) dove si possono assaggiare le varie salse in piatti come riso e uova, maiale stufato e budino di latte. La fabbrica più grande è Marukin sulla strada principale tra Kusakabe e Sakate. Il suo museo, all’interno di un magazzino buio con travi in legno, ha didascalie in inglese e vi spiegherà come viene prodotta la salsa, una pietanza giapponese che vi sorprenderà.

Nel negozio di souvenir è possibile assaggiare il gustoso gelato alla salsa di soia, Vicino a Marukin, Morikuni è l’unico produttore di sakè di Shōdo-shima. Assaggiate le sue premiate bevande in un edificio in legno di 80 anni splendidamente ristrutturato, che è anche un grazioso caffè in cui assaggiare eccellenti prodotti da forno.

Il museo della birra Sapporo  ©Richie Chan/Shutterstock
Il museo della birra Sapporo ©Richie Chan/Shutterstock
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Il Museo della Birra Sapporo e un piatto di jingisukan

Non chiedetevi soltanto cosa potete mangiare in Giappone, ma anche che cosa potete bere! Pare che a introdurre la birra in Giappone siano stati i mercanti olandesi nel XVII secolo, ma prima dell’arrivo della Marina americana, nel 1854, la bevanda era praticamente sconosciuta. Con l’apertura del Giappone al commercio estero, le birre importate divennero disponibili, in quantità limitata, soprattutto nelle aree di insediamento straniere. Con la Restaurazione Meiji, tuttavia, i giapponesi viaggiarono all’estero per apprendere nuove competenze e portarle in patria. Nel 1876, Seibei Nakagawa, birraio di formazione tedesca, fu scelto come primo mastro birraio per una nuova impresa nel nord del Giappone, la Birra Kaitakushi (Pioniera), fondata dalla Commissione per lo sviluppo dello Hokkaidō, un’agenzia governativa incaricata di proteggere la frontiera settentrionale e di promuovere lo sviluppo economico dello Hokkaidō. Privatizzata nel 1886, la Birra Kaitakushi divenne la Birra Sapporo.

Il Museo della Birra Sapporo, da non perdere per chi ama la birra, si trova in un grazioso edificio in mattoni ricoperto di edera, 1,5 km a est della stazione JR Sapporo. Non è necessario fare la visita guidata, perché le spiegazioni in inglese sono ottime. A fine visita trovate la sala di degustazione (birre da ¥200 a ¥300) dove è possibile provare la Sapporo Black Label, la Sapporo Classic (che si trova solo nello Hokkaidō) e la birra Kaitakushi, una ricreazione della ricetta originale. Visitato il museo, potete gustare le pinte di Sapporo con la specialità locale di carne di montone alla griglia, il jingisukan (Gengis Khan): ci sono tre ristoranti dove si può mangiare, il più vivace dei quali è Gengis Khan Hall.

Questo piatto a base di carne di montone grigliata è un simbolo non ufficiale dello Hokkaidō, retaggio delle iniziative di pastorizia che ebbero vita breve sull’isola. Si può gustare in tutto lo Hokkaidō, anche se a Susukino si trova un ristorante di jingisukan praticamente a ogni angolo. Da accompagnare con abbondanti quantità di birra, prende il nome dalla forma convessa della piastra in ghisa su cui viene grigliata, che si dice ricordi l’elmo del leggendario condottiero mongolo Gengis Khan. La carne viene grigliata sulla parte convessa, permettendo ai succhi di scorrere lungo i lati fino alle cipolle e ai porri che sfrigolano sull’orlo.

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Conoscere i sakè a Imayotsukasa, a Niigata

La Prefettura di Hyōgo potrebbe vincere la gara del sakè in termini di volume, ma la Prefettura di Niigata è in cima alle classifiche per il maggior numero di produttori, dal momento che ospita 90 dei circa 1000 produttori di sakè del Giappone. Niigata è dunque il luogo ideale per imparare qualcosa sul sakè, o nihonshu, come viene più comunemente chiamata la tradizionale bevanda giapponese.

Il luogo più adatto per farlo è la fabbrica di sakè Imayotsukasa, dove le visite guidate in lingua inglese nei giorni feriali offrono una panoramica su come viene prodotto il sakè, dagli ingredienti principali (acqua, riso, lievito e kōji – un fungo) alle fasi principali del processo di produzione. Lungo il percorso, si raccolgono informazioni che renderanno più interessante il successivo assaggio di sakè: ad esempio come i diversi sakè siano classificati in base a quanto il riso è stato sbiancato e se è stato aggiunto etanolo al mix. Come spiega la guida durante il tour di 30-40 minuti del piccolo stabilimento, una parola chiave è junmai, che identifica il sakè fatto solo con riso, acqua, kōji e lievito. Poi si fa attenzione alle parole che seguono: se è solo junmai, significa che il riso ha un tasso di sbiancatura fino al 60% (cioè è stato rimosso fino al 40%), quindi oltre al centro amidaceo del chicco, nel liquido fermentato si avranno anche alcune delle proteine e dei grassi della parte esterna del chicco. Con il junmai ginjō, il tasso di sbiancatura sarà tra il 50% e il 60%, con il sakè risultante che diventa un po’ meno forte. Poi c’è il junmai dai- ginjō, che ha un tasso di sbiancatura del 50% o meno (non di rado il 35% ) e un gusto molto morbido. Qual è il migliore? È soggettivo, ma come spiega il tour il junmai dai- ginjō costa di più perché richiede più riso per essere prodotto.

Sembra complicato (soprattutto se si aggiungono tutti le qualità non junmai), ma capirete meglio durante la degustazione successiva al tour, in cui per ¥1000 è possibile assaggiare una dozzina di sakè dell’Imayotsukasa di diverse categorie junmai.

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Il mercato del pesce a Makishi, a Okinawa ©PixHound/Shutterstock
Il mercato del pesce a Makishi, a Okinawa ©PixHound/Shutterstock

La cucina di Okinawa dalle bancarelle di Naha

In tutto il mondo, la dieta tradizionale di Okinawa (ricca di alimenti vegetali integrati da un po’ di pesce) ha fama di garantire longevità, ma i giapponesi vengono a Okinawa-hontō per i tacos e la pizza. Oggi la cucina di Okinawa accoglie influenze da Cina, Sud-est asiatico, Polinesia, Nord America e Giappone continentale, oltre a offrire ingredienti e piatti locali.

Per assistere all’asta dei tonni al mercato del pesce di Iyumachi, arrivate presto (intorno alle 6 del mattino). Tra scali turistici e container, Iyumachi è una versione in miniatura del mercato del pesce di Tsukiji a Tōkyō. Sarete accolti dall’odore di fumo proveniente da una bancarella di yaki-imo (patate dolci arrostite). All’interno, il mercato profuma di acqua di mare fresca. Data la vicinanza alle zone di pesca – di tonno rosso, pinna gialla, obeso e alalunga, a seconda della stagione – qui il tonno è solitamente fresco, non congelato. Per colazione, prendete del sashimi o del pesce grigliato o fritto in uno dei chioschi.

Chi si sveglia tardi invece può andare da Kame Kame (dalle 10.30), ristorante di noodles vecchio stile, in un edificio rosa. Gli okinawa-soba sono noodles di grano spessi, qui serviti in brodo di bonito. Nel resto del Giappone, l’artemisia aromatizza quasi esclusivamente i dolci, ma a Okinawa è usata in tutti i tipi di piatti: al Kame Kame potete aggiungerne a volontà alla vostra zuppa di noodles. Poi, su uno dei grandi tavoli da picnic in legno, condite a piacere con pasta di peperoni rossi, zenzero rosso sottaceto e kōrēgusu (salsa di peperoni a base di awamori).

Poi, passate dal mercato di Makishi, appena fuori dalla turistica Kokusai-dōri (via Internazionale). Una generazione fa, qui si facevano gli acquisti quotidiani, ma ora la gente del posto ci va soprattutto per comprare un pesce speciale per una festa. Nel 2023 il mercato si è trasferito, ma la maggior parte dei vecchi venditori c’è ancora e offre frutti di mare, sottaceti e alghe al primo piano. Al secondo piano del mercato, dove si trovano i ristoranti, cercate Ayumi, un piccolo negozio che vende solo i classici sata andagi, ciambelle di Okinawa leggermente dolci.

Sotto i portici circostanti, mentre i vecchi negozianti vanno in pensione e chiudono i loro negozi di verdura e abbigliamento, i giovani aprono caffè e boutique alla moda, mantenendo la vivacità della zona. Ci sono molti posti dove provare le specialità di Okinawa, come il tamago onigiri di maiale e il taco rice. Provate Pork Tamago Onigiri per il primo e Aka Tombo per il secondo. C’è anche un bar con distributore automatico di awamori, Gurumaw, dove per ¥200 potete riempire un bicchiere di plastica con l’awamori desiderato. Nel tardo pomeriggio, i locali di senbero (soprattutto a est del mercato) iniziano ad accendere le loro lanterne di carta: per ¥1000 vi serviranno due drink e un contorno, oppure tre drink. Avventuratevi in Ukishima-dōri, nota per le boutique di moda, per tacos con tortillas di mais blu fatte a mano e per sour da ¥500 preparati con succo fresco da Yafuso Chicken, che durante il giorno gestisce un programma occupazionale.


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