Turchia, sto arrivando! Un viaggio in bicicletta dal Belgio alla Turchia
Emily Chappell è stata la prima donna a completare l’edizione del 2016 della Transcontinental Race, un viaggio in bicicletta dal Belgio alla Turchia. Qui ci spiega come sopravvivere – e divertirsi – in una corsa in autonomia attraverso l’Europa.

Non voglio che la Transcontinental finisca, il che è strano considerato che la gara è durata quasi due settimane, durante le quali ho coperto una distanza di quasi 4000 chilometri, pedalando dalle stradine lastricate della campagna belga alla costa ventosa della Turchia.
Raramente ho dormito più di quattro ore (molti altri partecipanti dormono anche meno), e dopo qualche giorno di lotta il mio corpo si è adattato a questo nuovo e logorante regime. Quando sono arrivata sulle Alpi, la stanchezza e la riluttanza che mi avevano spinta a domandarmi, mentre attraversavo la tranquilla campagna francese, come avrei fatto a continuare quando l’unica cosa che volevo era fermarmi, sono svanite.
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I miei piedi non pulsavano più e la mia schiena indolenzita era di nuovo sciolta. Ed ecco che la mattina del quarto giorno mi ritrovo a pedalare lungo la strada per Grindelwald, con la tranquilla distesa grigia del lago di Thun alla mia destra e una serie di dirupi e ripidi prati alpini alla mia sinistra, mentre le montagne si alzano direttamente dall’acqua. Le quattro ore di sonno in un ostello di Friburgo e una colazione di caffè e torta a Thun hanno fatto il loro lavoro e pedalo di buona lena, godendomi l’inspiegabile sensazione di forza nelle mie gambe, cantando a squarciagola ballate melodiche. Sospetto che il pendolare svizzero mi stesse seguendo da un pezzo prima che sentissi il rumore della sua ruota. Quando scopro che non sono sola smetto immediatamente di cantare, lui mi supera con un gesto di saluto e io proseguo a un ritmo più tranquillo, pensando ai passi di montagna che devo scalare quel giorno. La strada si impenna verso l’alto e mi ritrovo sulle Alpi.

La Transcontinental incoraggia a essere autonomi: i partecipanti devono solo passare per quattro checkpoint sparsi in modo irregolare per l’Europa (cambiano ogni anno), per il resto si è liberi. Tuttavia, oltre a collocare i punti di controllo in luoghi difficili da raggiungere tra le catene montuose, gli organizzatori hanno stabilito che i partecipanti devono raggiungere ciascuno di essi (o partire da) attraverso un percorso prestabilito, che comprende immancabilmente alcune delle salite più difficili della regione.
Quindi, ricevuto il timbro al secondo checkpoint, lascio Grindelwald passando per un singletrack serpeggiante – chiuso alle auto a eccezione degli autopostali gialli, con il loro ‘corno a tre suoni’ che li annuncia ai tornanti – mentre salgo sempre più su. L’erba appena spuntata dalla neve brilla di piccoli fiori e le campane delle placide mucche marroni mi fanno la serenata. Sopra di me le rocce grigio scure dell’Eiger e i suoi fratelli si mescolano alle nuvole che iniziano ad addensarsi. Il Grosse Scheidegg è il primo dei quattro passi di quella giornata. In cima al passo del Grimsel trovo altri due partecipanti in un caffè e chiacchieriamo allegramente mentre divoriamo minestra, pasta e caffè, le nostre papille gustative elettrizzate dalla fame, se non dalla qualità delle vivande, senza sentirci in colpa quando paghiamo un conto di €35.
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Le nuvole sono basse sul passo della Furka, quindi non indugio; giù ad Andermatt guardo malinconicamente altri concorrenti fermarsi in un hotel. Io sono ancora in forze e mi sembra troppo presto. Molte ore e un altro passo più tardi, tiro fuori la mia bivy bag, mi sdraio su una pila di foglie appassite e sprofondo in un meritato oblio.
Due giorni – e innumerevoli montagne – dopo, attraverso la piatta pianura del nord Italia sotto un’alba rosata e all’ora di andare a dormire sono già in alto, sul grande promontorio carsico che sovrasta la costa croata, seguendo sentieri sterrati in un paesaggio mediterraneo arroventato dal sole, molto diverso dal prato alpino in cui mi sono svegliata la mattina. Sono riuscita ad affittare una stanza in un minuscolo villaggio poco prima che facesse buio e me ne rallegro quando, la notte, un tuono e la pioggia battente mi svegliano.
Sono nei Balcani – una delle mie regioni preferite da attraversare in bici. Attraverso felicemente i verdi campi dell’entroterra croato, lontani dal traffico turistico della strada costiera. E mi intrufolo in Montenegro grazie a una strada di montagna non asfaltata, attraversando il confine senza essere vista, deliziata al pensiero che nessuno (tranne le legioni di spettatori invisibili che mi seguono con il tracker online) sa dove mi trovo.
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Quella notte dormo male, svegliata dalla pioggia che batte sulla mia bivy bag. E mentre faccio colazione con pane raffermo e cioccolata spalmabile fuori da un bar chiuso a Pluzine, sui social vedo le immagini dei corridori che mi precedono rannicchiati e tremanti al checkpoint 4, dopo essere stati sorpresi da una tempesta sul massiccio del Durmitor.
Con me il tempo è stato più clemente. La giornata si rischiara mentre esco dalla gola del Piva su una strada tranquilla e le nuvole lasciano le grigie pendici delle montagne come per magia. Non sapevo dell’esistenza del Durmitor fino a quando non ho pianificato di attraversarlo e ora rimango colpita dalla sua bellezza. Rocce bianco-grigiastre spuntano intorno a me dall’erba fitta in strane formazioni geometriche. Qua e là, increspature e spirali spettacolari mostrano il punto in cui le montagne sono state modellate da forze molto più grandi e lente della mia misera pedalata.
Mi piacerebbe fermarmi e stare a guardare. Ma mi aspettano al prossimo checkpoint e ho ancora mille chilometri di strada fino alla Turchia. Quindi continuo a pedalare.