Terra del Fuoco: ai confini del mondo tra esploratori e biodiversità
Guardando l’orizzonte mentre si naviga controcorrente lungo il Canale di Beagle si intravedono tutte le sfumature di blu, comprese quelle più̀ profonde che, a loro volta, richiamano alla memoria quei maestosi abissi marini narrati dai cantastorie nordici. Siamo nella Terra del Fuoco, la punta meridionale di un continente lungo 7500 chilometri, divisa tra Argentina e Cile dal meridiano 68° 40' ovest di Greenwich e dalla linea di massima profondità dei canali Beagle e Moat. Respirare a pieni polmoni qui è facile tanto quanto immaginarsi stretti in una giacca di feltro, pronti a solcare i mari più̀ tempestosi in compagnia di Magellano, Willem Schouten o Robert Fitzroy. Siamo in quella che viene considerata la fine del mondo, a soli 1000 chilometri dall’Antartide.

La Terra del Fuoco è un dedalo di isole situato tra i paralleli 52° e 56° sud, alla stessa latitudine in cui, nell’emisfero nord, si trovano città come Londra, Amsterdam, Berlino o Copenaghen. La storia di questa parte del mondo è intrisa di avventura e colonialismo, esplorazioni scientifiche e illusioni legate alla corsa all’oro del XIX secolo, espansione turistica e salvaguardia della biodiversità. La Terra del Fuoco deve il suo nome ai numerosi falò visti dai primi navigatori europei giunti via mare. Tante sono le storie di questi esploratori lungo le rotte australi. Alcuni toponimi ricordano le loro imprese più famose: lo Stretto di Magellano, il Canale Drake, la Baia di Darwin, il Canale di Beagle, Capo Horn. Altri, invece, raccontano una storia che non c’è più, quella delle popolazioni native – tra cui i Selk’nam, chiamati anche Ona, gli Alakaluf, i Tehuelche e gli Yamana o Yaghan – che vivevano in questi luoghi prima dell’arrivo degli europei, e che poi si sono estinte.

Tra gli esploratori e navigatori italiani troviamo Antonio Pigafetta (circa 1492- circa 1531), autore della Relazione del primo viaggio intorno al mondo, un’opera considerata ancora oggi uno dei più preziosi documenti sulle grandi scoperte geografiche del XVI secolo. Pigafetta scrisse questo resoconto dopo esser tornato dalla spedizione che aveva portato Ferdinando Magellano a compiere la prima circumnavigazione del mondo e passare proprio per quello stretto che da lui prese il nome. Un altro importante esploratore italiano di queste zone è Giacomo Bove (1852-1887). A lui si devono studi approfonditi sulle popolazioni fuegine che abitavano le coste del Canale di Beagle e dettagliate illustrazioni dei diversi ambienti di quest’area che, in una manciata di chilometri, passa dal mare alla coda ghiacciata delle Ande. Infine, non si può non menzionare Alberto Maria De Agostini (1883-1960), arrivato in queste terre come missionario nel 1910 e che, oltre all’attività pastorale, si dedicò a esplorare la Patagonia meridionale e la Terra del Fuoco.

Sulle sponde del Canal Beagle sorgono i due insediamenti umani più australi al mondo. Si tratta di Ushuaia, sul lato argentino della Isla Grande de la Tierra del Fuego, e Puerto Williams su quello cileno, nell’isola di Navarino. Ushuaia è una vera e propria città, molto turistica per ovvi motivi – da qui infatti partono infiniti tour alla scoperta della biodiversità del luogo, oltre alle crociere verso l’Antartide – ma con un fascino particolare. Di notte, quando le masse di turisti si rifugiano negli alberghi per proteggersi dal freddo, le sue strade ritornano ad appartenere a quel tempo in cui questa cittadina ospitava avventurieri, esploratori, pescatori, cacciatori di leoni di mare. Sulle porte delle case si accendono lanterne dalla luce fioca e il silenzio torna a essere solcato dall’infrangersi delle onde.
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Ushuaia nasce ufficialmente come insediamento nel 1868 quando Thomas Bridges, missionario della South American Missionary Society, vi si trasferì con la famiglia. Il nome Ushuaia in lingua yamana significa “baia profonda”. La “nuova” Ushuaia è invece figlia del programma di sviluppo messo in atto dal presidente della Repubblica Argentina Juan Domingo Peròn verso la metà del Novecento. Un luogo che vale la pena visitare a Ushuaia è il Museo Marittimo. Qui, nei padiglioni di quello che una volta era il carcere della città, si possono approfondire le proprie conoscenze sulle popolazioni native e sulle spedizioni dei marinai europei – naufragi compresi e ce ne furono davvero tanti in quello che viene chiamato “il cimitero delle navi”, ovvero Capo Horn–, le storie di missionari, cercatori d’oro, contrabbandieri, cacciatori di leoni marini, e dei molti prigionieri del carcere. Inoltre, una parte del Museo è riservata al racconto delle primissime e affascinanti esplorazioni antartiche.

Gran parte della Terra del Fuoco gode dello status di area naturale protetta. La biodiversità qui è ricchissima: la natura si mostra in tutta la sua maestosità senza il giogo umano dell’urbanizzazione. Trovarsi immersi in un ambiente così inospitale, crudo ma allo stesso tempo ricco di richiami sinestesici è un’esperienza unica che lascia a ognuno una sensazione diversa. A me ha permesso di immergermi in un quadro di Caspar David Friedrich, stando a migliaia di chilometri dai paesaggi che lo avevano ispirato.