Ritrovare se stessi con un lungo viaggio in canoa sullo Yukon
Lo Yukon è il fiume a flusso libero più lungo del Nord America: c’è solo una piccola diga vicino alle sorgenti, e da lì scorre per 3190 km fino al mare. Percorrerlo in canoa è un viaggio che richiede mesi – e in effetti i mesi sono tutti quelli a disposizione, poiché tra ottobre e maggio lo Yukon è completamente ghiacciato. In quel periodo gli abitanti si spostano in motoslitta o con le slitte trainate dai cani, e questa è tutta un’altra avventura. Ma nel breve periodo in cui non c’è il ghiaccio e il sole non tramonta quasi mai, le giornate estive sembrano interminabili.

La partenza in canoa
Portate la canoa fino alla riva del fiume a Whitehorse e lasciatevi trasportare dalla corrente, lontano dalla città. Sentite i muscoli che iniziano a lavorare quando infilate la pagaia in acqua. Il fiume è azzurro come una piscina, così limpido da poter vedere i pesci, ma ben presto gli affluenti lo intorbidiscono finché assume il colore del tè forte, e non sarà più limpido fino alla foce. Il limo, trascinato da montagne lontane, mormora allo scafo, e se si immerge la pagaia e si appoggia l’orecchio all’asta lo si sente ancora più chiaramente, come se il fiume si stesse sgonfiando.
Sembra già un fiume grande, ma questo non è ancora nulla. Scorre veloce, con vortici e correnti. Le scogliere si ergono intorno a voi, offuscate da corvi che emettono versi chiassosi. Quando attraversate il confine con l’Alaska (una fascia di 10 m strappata alla foresta con la motosega è l’unico indizio che siete entrati negli Stati Uniti), il fiume si fa ancora più ampio. Pagaiare lungo il canale mediano, seguendo la corrente più veloce, è come stare in equilibrio su una corda tesa. Quando arriva all’oceano, lo Yukon è così ampio che a malapena si riesce a vedere l’altra sponda.
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La fatica giornaliera
Vivere così è un lavoro. Ogni sera dovete scaricare la canoa, montare e fissare la tenda, raccogliere la legna per accendere il fuoco, cucinare la cena. Portare la canoa sulla spiaggia, capovolgerla e legarla a qualcosa di solido se di notte dovesse alzarsi il vento. E al mattino bisogna rifare tutto in ordine inverso prima di ripartire. Ma con il passare delle settimane, e la vecchia vita ormai lontana, questi compiti iniziano a sembrare più una necessità dell’esistenza che vere incombenze: siete solo come gli altri animali che si procurano da vivere. Trovate un ritmo con i capricci del tempo. Continuate a pagaiare.
Il tempo viaggia al contrario. Nel 1896 la corsa all’oro del Klondike portò a Dawson City 100.000 persone in cerca di presunte ricchezze. Nel giro di pochi anni se ne andarono, lasciando dietro di sé la devastazione. Ora lungo il fiume si vedono i resti di quell’epoca: fili del telegrafo spezzati, attrezzature arrugginite, piroscafi in rovina, capanni fatiscenti. Qui la terra è in cammino e si sta riprendendo il suo spazio. Eppure questo non è un paesaggio vuoto. Ogni scogliera e ogni vortice hanno un nome.
A distanza di pochi giorni c’è un altro villaggio, ancorato alla riva del fiume. La corsa all’oro si è esaurita, ma i nativi dell’Alaska sono ancora qui: tlingit, tr’ondëk hwëch’in, athabasca e inuit. Vivono in luoghi lontani dalle strade, quindi lo Yukon è la loro autostrada, oltre a fornire cibo vitale ai salmoni che lo risalgono ogni estate. Sarebbe facile passare davanti a questi villaggi senza fermarsi. Ma basta dedicare un po’ di tempo a incontrare la gente per rendersi conto che lo Yukon è affascinante anche per le culture di chi abita lungo il fiume. Queste popolazioni si guadagnano da vivere qui da millenni, conducendo una vita di sussistenza seminomade. Dopo la colonizzazione sono stati costretti a stanziarsi e, per molti versi, sono ora soggetti all’impatto dell’industrializzazione e del capitalismo globale come gli abitanti delle città. Ma la gente qui vive anche una vita intimamente legata alla terra: nel cibo che caccia, nel modo in cui viaggia e in cui pensa alla propria casa. Trascorrere del tempo con loro significa capire quanto tutti noi siamo influenzati dal nostro ambiente. Nelle città, isolate dal mondo naturale, è facile dimenticarlo

Un habitat selvaggio e disabitato
Alle Yukon Flats il fiume si sfrangia come una fune, mentre vaste zone umide si allargano nel paesaggio Le acque dello Yukon si diffondono attraverso le pianure, dimenticando ogni urgenza. Le Flats hanno l’aspetto spazioso di un estuario, ma il mare è ancora lontano più di 1000 km. Due linci giocano su un banco di sabbia sotto il sole e quasi non si accorgono della vostra canoa.
Poi, dopo qualche giorno, le montagne si alzano e il fiume riprende il suo ritmo. L’ecosistema è ancora incredibilmente intatto, anche perché l’uomo non è più all’apice della catena alimentare. Vedere i grandi mammiferi è raro, perché un grizzly ha bisogno di un territorio di 250 kmq; il fatto che gli orsi possano ancora vivere qui è indice di una natura selvaggia molto più vasta e invisibile. Lo spartiacque dello Yukon ha una popolazione di un decimo di persona per chilometro quadrato, per una superficie vicina al milione di chilometri quadrati: l’equivalente di una società preagricola. Se l’intero pianeta fosse popolato in modo simile, la popolazione globale sarebbe pari a quella di Istanbul.

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Una maggiore consapevolezza
Dopo molte settimane all’aperto la mente cambia. Sdraiatevi nella canoa, andate alla deriva e ascoltate. Guardatevi intorno. Ora potete distinguere i diversi canti degli uccelli. Identificare gli alberi dal modo in cui si muovono nella brezza, dal modo in cui le foglie dei pioppi scintillano e quelle delle betulle fremono. Avete trascorso l’intera giornata a remare, con gli occhi fissi sul paesaggio. All’inizio sembrava tutto uguale. Abeti e ontani, pioppi e salici, una foresta infinita. Ma più guardate, più notate le differenze. Ora riuscite a mettere a fuoco una lontana macchia bianca e scorgere un’aquila di mare immobile, senza accorgervi di come avete fatto. Questo è un modo meraviglioso di viaggiare. Rilassatevi e lasciatevi andare alla deriva. Disegnate, leggete o scrivete. Preparate un caffè a prua. Il fiume sa dove va. A settembre il tempo già cambia. Anche il paesaggio cambia. Le foreste sono scomparse, sostituite da una tundra rossa e gialla che si estende fino alle montagne blu in lontananza. Nel cielo cupo si accendono i lampi e le oche migrano verso sud. Tra poche settimane lo Yukon sarà sepolto dai ghiacci. Infilate la pagaia in acqua e andate avanti.
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Come arrivare
In estate si può volare direttamente dalla Germania a Whitehorse, anche se un viaggio overland fino al punto di partenza è di per sé un’avventura. Grant Aviation vola da Emmonak a Bethel, dove partono i voli Alaska Airlines per Anchorage.
Quando andare
Lo Yukon è generalmente sgombro da ghiacci tra l’inizio di maggio e la fine di settembre. Se non si indugia troppo, è possibile compiere l’intera discesa in canoa in questo arco di tempo.
Da sapere
Potete vendere la canoa a Emmonak, ma per la legge della domanda e dell’offerta non ricaverete più di qualche dollaro: ormai ogni casa ne ha più di una. In alternativa, imbarcatela su uno degli aerei cargo vuoti che partono ogni giorno dalla città e rivendetela ad Anchorage. Fare un corso di primo soccorso nella natura selvaggia prima di partire non è una cattiva idea, così come imparare a conoscere gli orsi.