In treno fra Sarajevo e Mostar

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Non importa quale sarà la stazione di partenza: da Mostar o da Sarajevo il vostro viaggio inizierà all’insegna della iugonostalgia, accanto a rotaie strette fra massicce mura di cemento. Una volta saliti sul treno, però, dopo aver mostrato al controllore il vostro biglietto rigorosamente compilato a mano (lettori under 30: un tempo era così anche in Italia!), il grigiore al di là dei finestrini scomparirà gradualmente per fare spazio ad acque color smeraldo e vette spigolose. La Bosnia-Erzegovina saprà sorprendervi, mostrando le infinite sfaccettature di una terra dai contorni ancora sfocati agli occhi di molti viaggiatori. 

La Neretva, il fiume dalle acque verdi smeraldo che spezza il cuore di Mostar
La Neretva, il fiume dalle acque verdi smeraldo che spezza il cuore di Mostar
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Attraverso le montagne lungo la Neretva

Ha fama di essere tra i viaggi in treno più scenografici d’Europa, e non a torto: i binari che corrono fra Sarajevo e Mostar si arrampicano su scoscesi declivi montani, si inoltrano in lunghi tunnel per sbucare a pochi metri dalla superficie placida e scintillante del Lago di Jablanica e per un lungo tratto costeggiano la Neretva, il fiume dalle acque verdi smeraldo che spezza il cuore di Mostar. 

Il tragitto dura appena un paio d’ore, il tempo necessario per riempirsi gli occhi della bellezza del paesaggio al di là del finestrino e forse per scambiare due chiacchiere con il vicino di sedile bosniaco in modo da carpire qualche consiglio al 100% local. Ma è anche il tempo giusto per riconciliarsi con le emozioni contrastanti dell’esperienza bosniaca, vagando con lo sguardo nella quiete rassicurante di una natura che sembra lontana anni luce dagli orrori della guerra. 

I binari che corrono fra Sarajevo e Mostar si arrampicano su scoscesi declivi montani
I binari che corrono fra Sarajevo e Mostar si arrampicano su scoscesi declivi montani

Ci sarà infatti inevitabilmente un frangente del viaggio in cui vi scontrerete con la realtà del cruento conflitto civile che dal 1992 al 1995 sconvolse il paese, trascinandolo nel vortice di violenza culminato nel genocidio di Srebrenica – era l’11 luglio 1995. Le tracce sono ovunque. A Mostar, lo scheletro della Ljubljanska Banka, postazione dei cecchini, getta un’ombra minacciosa sul parchetto con i giochi per i bimbi di Piazza di Spagna (Španski trg) e ci suggerisce le contraddizioni di una città che ancora fatica a ritrovare lo spirito multiculturale di un tempo: il Bulevar, lo stradone adiacente alla piazza che corre parallelo alla Neretva, per alcuni abitanti rappresenta tuttora un confine interno che separa gli spazi di vita della comunità croata (cattolica), concentrata a ovest del corso, da quelli della comunità bosgnacca (musulmana) a est.  

Nella capitale, le ‘rose di Sarajevo’ testimoniano della volontà di non dimenticare: i buchi e le crepe lasciati nella pavimentazione dalle granate, anziché venire nascosti da uno strato di asfalto, sono stati rivestiti di resina rossa e trasformati in petali della memoria in omaggio a tutte le vittime dell’assedio, senza distinzioni di etnia o religione.

Durante il viaggio fra le due città, mentre il dondolio del treno culla i passeggeri e i loro pensieri, la visione ipnotica della gelida Neretva assume una funzione quasi catartica, come se con la sua purezza smeraldina potesse lavare via le tracce del sangue versato. 

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Il celebre ponte di Mostar
Il celebre ponte di Mostar

Stazione di arrivo: Iugoslavia

Lo sappiamo: la solidità dei blocchi di cemento, le linee squadrate e la monotonia di moduli ripetuti in una simmetria di forme non solleticano il senso estetico di tutti, eppure le eredità del brutalismo hanno un che di affascinante… se n’è accorto persino il Moma di New York, che nel 2018 ha dedicato una mostra all’architettura iugoslava. Quindi, se dopo la contemplazione di tanta natura dal treno, l’atmosfera simil-sovietica delle stazioni in cui approdate vi invogliasse a cercare qualche traccia del cinquantennio socialista, potreste restare piacevolmente sorpresi.

Mostar conserva uno degli spomenik (monumenti iugoslavi) più grandiosi del paese: il Cimitero dei Partigiani. Mix di maestosità comunista, simboli cosmologici e una discreta dose di abbandono, questa necropoli degli anni ’60 si arrampica sul crinale di una collina, articolandosi in varie terrazze. Vi si accede da una sinuosa passerella in ciottoli che richiama le stradine del centro storico e che, dopo un tratto iniziale, si biforca per fare spazio a una cascata d’acqua (oggi asciutta), simbolo della Neretva. Insomma, la città dei morti dialoga dall’alto con la città dei vivi – questo almeno nel progetto originario, mentre oggi la memoria dei partigiani sembra non stare a cuore a molti: le lapidi dalle strane forme, forse tronchi d’alberi tagliati (a indicare lo spezzarsi di giovani vite) oppure fiori stilizzati, faticano a farsi spazio tra le erbacce. 

Di dimensioni sproporzionate rispetto ai pochi binari che corrono alle sue spalle, la Stazione di Sarajevo, inaugurata nel 1952 quando ancora il sol dell’avvenire irradiava di ottimismo la capitale della Bosnia-Erzegovina, non è che una delle tante eredità socialiste. Ne citiamo una per tutte: il Museo di Storia (1963). Battezzato in origine Museo della Liberazione, poi Museo della Rivoluzione, si presenta come un gigantesco blocco di marmo sospeso su un’eterea base in vetro che poggia su un piedistallo marmoreo. Ha una toccante esposizione sulla guerra all’interno e una collezione di carri armati all’esterno, inoltre ingloba un gioiellino per gli iugonostalgici: il Cafe Tito, un locale dalle pareti rosse in cui il tempo sembra essersi fermato agli anni ’70 – ci si sentiranno a casa tutti gli amanti del vintage. 

L’antico suq nel quartiere di Baščaršija a Sarajevo
L’antico suq nel quartiere di Baščaršija a Sarajevo
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Suggestioni ottomane

Accoccolati all’ombra dei minareti, i centri storici di Mostar e Sarajevo hanno riscoperto il fascino del loro volto ottomano dopo le devastazioni degli anni ’90. 

Icona dei Balcani, il Ponte Vecchio di Mostar fu costruito nel XVI secolo con un arco così perfetto da essere considerato un miracolo dell’architettura ottomana: per secoli ha incarnato la materializzazione del divino. Anche per questo motivo la sua distruzione nel 1993 è stata vissuta dalla comunità musulmana alla stregua di un atto sacrilego e ha segnato profondamente il tessuto urbano e sociale della città. Dal 2004 una fedelissima riproduzione dell’originale è tornata a valicare la Neretva e sul suo parapetto sono ricomparsi i tuffatori, che si esibiscono in spettacolari voli ad angelo a intrattenimento dei turisti e solo raramente degli abitanti – i mostarini, infatti, ormai prediligono altri percorsi e non si ritrovano più a chiacchierare sulle pietre calcaree levigatissime del Vecchio, com’era soprannominato il ponte, quasi fosse uno di famiglia.

Anche Sarajevo ha riportato in vita l’anima dell’antico suq nel quartiere di Baščaršija, un dedalo di stradine lastricate di pietre bianche lucenti e stipate di borse e borsette dai ricami dorati, pantaloni da Mille e una notte e tutti i souvenir in stile ottomano che vi possano venire in mente. Il cuore è la Moschea di Gazi Husrev-beg, da dove il richiamo del muezzin invita i fedeli alla preghiera fin dal 1531. È però ai margini di Baščaršija, nella sua punta orientale, che svetta uno degli edifici che meglio incarna lo spirito e la storia della città: è la Vijećnica, ex Municipio, poi Biblioteca Nazionale. Inaugurata nel 1896, sotto l’amministrazione austroungarica, con la sua architettura neomoresca e l’ipnotico caleidoscopio di vetrate colorate incarna la volontà di trovare un terreno d’incontro fra Oriente e Occidente. L’incendio che nel 1992 l’ha ridotta a un cumulo di macerie è stato un colpo al cuore della Sarajevo multiculturale, la sua ricostruzione un simbolo della resilienza degli abitanti.

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Destinazioni in questo articolo:

Bosnia-Erzegovina
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