Un viaggio in treno da sola lungo la Transiberiana

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“Sei sposata?” mi chiede in russo Sergej, l’uomo di mezz’età che dorme nella cuccetta sotto la mia. Viaggiamo su un treno da Mosca a Vladivostok, tornando da qualche parte a Est degli Urali. Il mio viaggio di sei giorni fino alla costa del Pacifico è iniziato da 40 ore e 3000 chilometri di binari innevati. Sergej prosegue fino all’ultima fermata, io scenderò nel Sud della Siberia per vedere il Lago Bajkal, il più vecchio e profondo al mondo.

Il treno in stazione a Irkutsk ©Dominik Staszowski/Getty Images
Il treno in stazione a Irkutsk ©Dominik Staszowski/Getty Images
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Non rispondo e continuo a bere il mio tè dal bicchiere piuttosto antiquato. Sono stanca di ricevere domande sul mio stato coniugale da parte di sconosciuti. Mi è stato chiesto centinaia di volte dal mio primo viaggio nell’Unione Sovietica 15 anni fa. Me l’hanno chiesto gli studenti a cui ho insegnato da volontaria nei Corpi di Pace in Ucraina; i tassisti che mi hanno portato in giro per Mosca nelle loro Lada scassate; pure le nonnine che vendevano la verdura vicino al mio tremendo appartamento risalente all’era sovietica. “Se fosse sposata, suo marito sarebbe con lei” interviene intromettendosi un altro passeggero del vagone, anche lui di nome Sergej. Salgo sulla brandina superiore del letto a castello e mi immergo nella mia copia di Delitto e Castigo.   

Un gennaio in treno, da sola, attraverso la Russia

Quando a vent’anni vivevo nell’Europa dell’Est, non mi dava fastidio che mi chiedessero dove fosse mio marito. “Sono da sola”, rispondevo in russo, divertita nel vedere le persone sgranare gli occhi davanti all’idea di una giovane donna tutta sola in un paese straniero. Spiegavo che se in Ucraina e in Russia ci si sposa intorno ai vent’anni, negli Stati Uniti era considerato troppo presto: “Ci sposiamo più tardi, solitamente verso i 30 anni.”

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Vladivostok è l'ultima fermata della Transiberiana ©Raffaello Ferrari/500px
Vladivostok è l'ultima fermata della Transiberiana ©Raffaello Ferrari/500px

Ma quel “più tardi” non era arrivato. 36 anni e single, con due lavori, uno da freelance e un part-time. Dovendo ripianificare la mia carriera dopo un licenziamento, sub-affittando mese per mese un appartamento a Brooklyn, ma pensando di tornare in California per stare più vicina ai miei genitori. E in questo preciso momento, viaggio su un treno attraverso la Russia, da sola, a gennaio, nella speranza che la traversata mi aiuti a fare chiarezza sul futuro. Ho fatto lo stesso viaggio dieci anni fa, ma in direzione opposta. Forse, ritornando sui miei passi, riuscirò a risvegliare lo spirito avventuroso che mi ha caratterizzato fino a vent’anni, e che temo stia cominciando ad abbandonarmi.

La mia prima Transiberiana è stata in compagnia di un uomo che chiameremo Jon. A quei tempi io vivevo a Mosca e lui negli Stati Uniti. Ci eravamo frequentati per qualche mese prima del mio trasferimento in Russia. Nonostante non avessimo mai definito il nostro rapporto, accettò l’invito di accompagnarmi al matrimonio di mio fratello in Giappone e poi di fare ritorno insieme a Mosca. Mi dissi che doveva pur significare qualcosa.

La neve cade sui binari della Transiberiana ©Serjio74/Shutterstock
La neve cade sui binari della Transiberiana ©Serjio74/Shutterstock
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Ci incontrammo a Osaka per la cerimonia, poi prendemmo una nave fino in Corea, un aereo per la Mongolia e infine un treno fino al confine russo. Lì trovammo un passaggio in autostop sul furgone di certi importatori di jeans mongoli. Ci chiesero di nasconderne un paio sotto la camicia per aggirare il regolamento. Sentivo che tra me e Jon aleggiava una certa tensione. Dopo qualche giorno, mi disse che voleva mantenere la relazione a livello platonico. Piansi sul ciglio di una strada polverosa di Ulaanbaatar, chiedendomi perché una persona voli dall’altra parte del mondo per qualcuno per cui non prova dei sentimenti.

Pochi giorni dopo salimmo a bordo della Transiberiana a Ulan-Ude, una città a est del Lago Bajkal dove si trova una statua della testa di Lenin alta più di 7 metri. Passammo gran parte delle 88 ore di viaggio leggendo e parlando con gli altri passeggeri dello scompartimento, un vagone letto per quattro. Tradurre per Jon mi teneva la mente occupata. Quando la conversazione languiva, scrivevo sul mio diario e mi chiedevo cosa gli passasse per la testa. Arrivammo a Mosca il giorno del mio 26esimo compleanno e scattammo trionfanti una foto. Il mio sorriso mascherava la delusione. Sono contenta di aver condiviso con Jon questo viaggio indimenticabile e pieno di esperienze, ma non riesco a ricordarlo senza pensare anche a quanto mi sia sentita rifiutata.

Vagoni di lusso ©Vostok/Getty Images
Vagoni di lusso ©Vostok/Getty Images

Quando ero giovane immaginavo di sposare un altro ex volontario dei Corpi di Pace, come Jon. Ci saremmo innamorati, sposati intorno ai 30 anni e avremmo vissuto insieme all’estero per qualche tempo. Io avrei avuto un lavoro interessante, avrei fatto qualcosa di buono per il mondo. Forse un giorno avremmo avuto anche dei bambini. I dettagli però non erano definiti. Non sono mai stata brava a pianificare il mio futuro a lungo termine e mi piaceva l’idea che la persona al mio fianco mi avrebbe aiutata a capire. Pensavo che il mio progetto di vita sarebbe diventato chiaro una volta trovato un partner; la felice ricerca di un compromesso per costruire una vita insieme avrebbe delineato il mio futuro.

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La fase di transizione

Ora le possibilità sono infinite, come il paesaggio ghiacciato fuori dal finestrino del treno. Non ho nessuno di cui tenere conto nel prendere decisioni. Devo guadagnare dei soldi, ma devo mantenere soltanto me stessa. Posso vivere ovunque mi possa permettere di pagare l’affitto. ma per quanto la libertà assoluta sia un privilegio, a volte mi sento paralizzata. Non mi sarei aspettata di ritrovarmi con tanti anni davanti da passare sola con me stessa.

Le linee della Transiberiana ©LPI Admin/Lonely Planet
Le linee della Transiberiana ©LPI Admin/Lonely Planet

Accetto di essere in una fase di transizione mentre il treno sferraglia attraverso cinque fusi orari. Non posso far altro che godermi il viaggio. Guardo il tramonto dipingere sfumature color pesca sopra l’orizzonte innevato e mi addormento cullata dalle vibrazioni della locomotiva. È un viaggio più tranquillo rispetto a quello con Jon, a parte i due Sergej che ogni notte fanno a gara a chi russa più forte; l’hostess del nostro vagone, la matrona Irina, li ha soprannominati “Il Coro Turetsky”, dal nome di un famoso gruppo di voci maschili russo. Parlo con gli altri passeggeri, ma più che altro leggo, mi riposo e osservo le persone.

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Il Lago Bajkal non è un granché in questa stagione

Ogni paio d’ore il treno si ferma, io mi infilo le scarpe sopra le calze di lana e scendo sulla piattaforma insieme ad alcuni russi che si fumano una sigaretta in pantaloni corti. Non che ci sia molto da vedere in queste brevi pause, oltre ai cani randagi e a qualche edicola dove comprare snack e cruciverba. Rispetto alla mia prima Transiberiana a fine primavera, questa versione invernale è molto più deprimente. “Il Lago Bajkal non è un granché in questa stagione” mi aveva avvertito Irina. A febbraio e a marzo si può percorrere il lago in macchina da sponda a sponda, ma io mi trovo lì a metà gennaio, quando la superficie non è abbastanza solida neanche per pattinare. 

Il Lago Bajkal ©Alexander Ippolitov/Shutterstock
Il Lago Bajkal ©Alexander Ippolitov/Shutterstock
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Dopo tre giorni di viaggio, saluto i Sergej ancora prima dell’alba a Irkutsk. Fa abbastanza freddo da vedere il vapore del respiro. Le famiglie intorno a me si riparano dal freddo con cappelli di pelliccia e cappotti pesanti. È ancora buio. Cercando la fermata del bus realizzodi trovarmi a quasi 10 mila chilometri lontana da casa, ma anche di essere assolutamente tranquilla. Ho deciso di intraprendere il viaggio, per quanto fosse un cliché, perché speravo potesse aiutarmi a capire chi sono e dove voglio andare. Ho sempre pensato che decidere il proprio futuro sia una sorta di esame a crocette da superare. In realtà, la traversata in treno non mi ha dato una risposta concreta, ma sicuramente mi ha donato una nuova motivazione. Ero bloccata ma, consapevole della mia libertà, non l’avevo sprecata e avevo deciso di andare fino in Siberia, d’inverno. 

Qualche ora più tardi, un brivido mi percorre quando avvisto il lago dal finestrino di un pullman scalcinato. Scendo e ammiro la sua immensità scintillante. L’aria fredda soffia sulla mia faccia. Irina aveva ragione: non c’era granché da fare. Il perimetro ghiacciato del lago è disseminato di cartelli con la scritta “STOP! PERICOLO!”, quindi mi spingo solo per qualche passo al di là del bordo. Non ho paura. Conoscevo già il posto ma stavolta la sua bellezza è tutta per me.  

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