Siberia benedetta
Continua il viaggio a cavallo in solitaria di Paola Giacomini. Dopo la Mongolia, ci racconta la sua avventura in Siberia, dove ha lottato con l'inverno imminente e ha conosciuto personaggi insoliti che hanno portato lei e i suoi cavalli in salvo.
La Siberia è tutta un'altra musica, dopo i mesi selvatici della Mongolia, arrivare a Barnaul in treno per farmi aiutare a far passare la frontiera ai cavalli è stato come atterrare su un altro pianeta: servizi cittadini, autobus con gli orari, la stazione veterinaria di frontiera dove si fanno in quattro per trovare la soluzione adatta, la lavatrice.
A Tashanta saluto Artyom Petrov, la guardia di frontiera che ha fatto tutto il possibile per farci passare nonostante la corruzione dei mongoli, ci è riuscito e non lo dimenticherò mai. Rimetto la sella e mi metto in pista nel tramonto.
Le giornate si sono accorciate, le famiglie sono tutte impegnate a raccogliere il fieno di steppa. Ero arrivata da Sasha e Liuba alle sette di mattina di una settimana prima, con due selle, senza cavalli e con una fifa blu. Lui l'ho conosciuto al museo a quell'ora improbabile in cui ovviamente era chiuso. Mi ci ero fatta accompagnare alle prime luci con tutto il mio ingombrante bagaglio perché da lì comincia la strada per la frontiera. Mi ha portata a casa sua, Liuba ed io abbiamo preso il tè che era zuccherato, non come in Mongolia che il tè si insaporisce con il sale. Intanto lui metteva a punto a martellate il mezzo con cui mi avrebbe accompagnata alla frontiera: una moto che ne aveva già viste di tutti i colori e con cui abbiamo guadato fiumi e torrenti, che superavo a piedi nelle salite e che ho dovuto spingere a unghie, dopo che il guado più profondo ha sconfitto definitivamente tutto il bricolage con cui aveva cercato di tenere in vita la candela.
I nomi di questi due signori sono proprio russi, ma loro non sembrano russi per niente: tratti somatici altaici, nessuna icona in casa, un animismo riservato, come qualcosa che è meglio non dire ad alta voce, Sasha scolpisce le ossa trasformandole in disegni pieni di grazia. Liuba mi aveva benedetta quella mattina, assicurandomi che questa volta i cavalli sarebbero arrivati davvero. Quando ci ha visti in strada davanti al cancello, ci ha guardati come se fossimo una visione. Anche io non ci credevo quasi più.
Ripartiti con un senso di fine estate ci siamo trovati davanti alla prima nevicata e alla prova più dura del viaggio: undici giorni in taiga senza incontrare segni umani tranne una capanna abbandonata a cui siamo arrivati per caso seguendo una pista da orsi, senza erba e con acqua cattiva, i cavalli non hanno bevuto per giorni, io ci ho provato, ma dopo avevo ancora più sete.
Siamo usciti da quell'inferno grazie a Tgegheré. Credo di dovergli la vita. Quando stavo per rassegnarmi, mi ha spronata a combattere contro alberi caduti e massi, finché non ne siamo usciti. Ci siamo poi trovati a Gorno Altaijsk, dove i cavalli sono stati per la prima volta nel box di una scuderia e io ho preso una scorta di coccole da Pit e Marina. Avevo montato il telo nel loro giardino e sono andata a dormire appena è diventato buio. Loro sono come gli gnomi, che curano ogni cosa con allegria e, quando ho spento la pila, la musica di un tango è arrivata in giardino, la finestra accesa illuminava un trapezio nel prato e in quella luce, le ombre cinesi di Pit e Marina che ballavano mi sembravano qualcosa di surreale.
Loro mi hanno fatto conoscere Ivan, il prete di Aia, il primo villaggio in cui ho dormito in Altaskji Krai. L'incontro con la chiesa ortodossa è stato fondamentale per proseguire e per capire tante cose che prima davo per scontate. Mentre la chiesa occidentale corre verso l'uomo per rendersi appetibile nel presente, la chiesa orientale continua ad andare in cerca di Dio riconoscendolo come eterno presente. Varcare la soglia di queste chiese che riprendono ora le loro funzioni dopo i tempi duri dell'ateismo è ogni volta una scoperta. Qui non conta se un'icona è antica o moderna, chi sia l'iconista che l'ha disegnata o a quale scuola appartenga. Qui quello che conta è la preghiera che è stata pronunciata mentre si dava forma alle storie raccontate dai disegni. Uomini coraggiosi hanno custodito libri, icone e preghiere quando era vietato; molti sono spariti per questo, seminando speranza in luoghi oscuri come Magadan, alcuni sono potuti tornare e adesso ricostruiscono un mattone dopo l'altro quello che era stato distrutto. Ogni chiesa che torna a esercitare le sue funzioni è una festa e seguire questo filo ha trasformato questo viaggio in un pellegrinaggio.
Un pomeriggio siamo arrivati da Nina e Nikolaji, il vento era spietato: stracciava gli ultimi piccioli delle foglie di betulla che non avevano voluto cadere. Nikolaji era stato avvisato del nostro arrivo e aveva preparato la stalla per noi. Per la prima volta ho dormito in un fienile e ho capito come fare a proseguire. Il mattino dopo sono andata con lui a cercare i cavalli al pascolo. I colbacchi calati sulle orecchie, maglioni e impermeabile per sopportare lo stravento e con la prima luce siamo arrivati in una vasta radura disseminata di covoni di fieno. Il branco era diviso in tre gruppi che mangiavano tranquillamente nel lato sottovento dei covoni. Nikolaji ha fatto schioccare la lunga frusta sul terreno. Il rumore era simile a uno sparo. Cinquanta orecchie si sono raddrizzate e loro si sono messi tutti in fila davanti a lui. Con calma li abbiamo spinti in un altro prato, li ha contati e siamo tornati a casa attraverso un bosco di betulle ormai candido, sotto la neve.
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Ha messo a Custode una testiera cosacca che ha voluto donargli e che gli dona molto. Questa testiera è un ricordo e un'emozione: c'è una canzone russa che parla di quell'ora prima dell'alba in cui i pastori vanno a raggiungere il punto più alto dei loro pascoli per vedere dove sono i branchi. Raggiungono quel posto proprio mentre la palla rossa del sole sbuca da terra. Quella mattina Nikolaji mi ha fatto vivere quel momento e quel luogo donandomi la grandezza della Russia dove la prima e l'ultima alba di ogni giorno sono a distanza di cinque o sei ore e in cui ogni pastore di cavalli vive la stessa attesa di rivedere il suo branco ogni mattina. In quella testiera vedo il sole che sorge sulla steppa innevata, anche adesso che è tutta fiorita. Lui è il primo cosacco che ho incontrato in questo viaggio.
Un pomeriggio, all'inizio di ottobre, tirava una bisa da non stare in piedi e l'aria era piena di goccioline che pungevano la faccia come aghi. Siamo arrivati in un villaggio di dieci abitanti. Cielo grigio, case grigie, alberi sempre più spogli. Lungo la via c'era un recinto, dove una coppia sulla cinquantina stava preparando la casa per l'inverno, la radio girata verso la finestra aperta riempiva lo spazio con una musica allegra. Dall'altra parte della pista c'era un bel pozzo e sono scesa di sella per capire come far bere i cavalli. In un attimo quella piccola donna con il platok colorato era vicino a noi che armeggiava con secchi e bacinelle.
- In viaggio in inverno in Siberia?
- Ma siamo a inizio ottobre! Non è ancora inverno!
- Quanto dura l'inverno in Italia?
- Tre mesi
- Qui siamo in Siberia, qui l'inverno dura nove mesi.
- Ma la Russia è grande e l'estate è piccola, non si può attraversare questo paese a cavallo in un'estate.
In un viaggio a cavallo dalla Mongolia all'Europa, non si può evitare di pensare all'inverno, la prima neve ha schiacciato il telotenda nella notte del tre settembre. Da quel giorno il gelo ha sterminato zecche e zanzare e ha tinto la steppa di un incendio di colori. Nei campi le mietitrebbie correvano per rincorrere ogni chicco, nei pascoli le betulle si specchiavano sulle sponde dei laghi riempiendoli d'oro. Io rincorrevo il mio visto che scompariva a vista d'occhio. Dovevo arrivare nella Russia Europea prima di dover lasciare il paese.
La Siberia è stata una rincorsa, avevo perso giorni preziosi mentre aspettavo i cavalli alla frontiera, il ghiaccio nella borraccia avvisava che non avevo tempo da perdere.
La dolcezza delle notti nella steppa e il gusto di essere viva dopo la taiga, hanno fatto diventare ogni incontro ancora più prezioso. Gli angeli che ci hanno permesso di avanzare ogni volta che si sono presentati ostacoli fuori misura per noi, avevano un altro aspetto rispetto a quelli della Mongolia. Sono stati i veterinari dell'ufficio federale veterinario di Barnaul e la guardia di frontiera, senza il cui aiuto avrei dovuto lasciare i cavalli in Mongolia, il custode della stazione dei pullman di Gorno Altajisk, senza il quale Custode non sarebbe qui, i monaci di Karabennikovo che ci hanno guidati e protetti per tutto il viaggio fino ad adesso, il primo cosacco che ho incontrato, che mi ha donato il senso del viaggio in una canzone e un prete cattolico di Novosibirsk che si è trovato con due cavalli e una donna pieni di fango da rimettere in pista.