Un incontro con l’uomo del fuoco alla scoperta della scintilla che accese la notte

Il fuoco è la tecnologia primordiale su cui si basa tutta la nostra società. Senza quella, qualsiasi oggetto di uso comune di cui ci circondiamo non esisterebbe, è ciò che ci distingue dal mondo animale. Non per niente secondo la mitologia greca, il fuoco è un dono di Prometeo, figlio di titani e titano lui stesso, che, pur adirando Zeus, conservò una scintilla in una canna sottile e la portò agli uomini. Questo è uno dei motivi per cui Antonio Ancora, l’uomo del fuoco, da trent’anni studia, colleziona e riproduce varie tecnologie di accensione del fuoco. L’abbiamo incontrato per farci raccontare i suoi viaggi e le sue scoperte.

Antonio Ancora accende il fuoco con un trapano da fuoco  ©Mattia Marinolli/Lonely Planet Italia
Antonio Ancora accende il fuoco con un trapano da fuoco ©Mattia Marinolli/Lonely Planet Italia
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L’inizio di tutto

Non abbiamo una cronistoria precisa sull’avvento della tecnologia del fuoco. La sua domesticazione fu un processo lento. L’uomo ha sicuramente incominciato a raccogliere il fuoco in natura in seguito a eruzioni vulcaniche o a incendi sviluppatisi da fenomeni naturali. Gli archeologi attribuiscono all’homo erectus l’uso del fuoco, non sappiamo se fosse in grado di produrselo o lo raccoglieva per poi conservarlo e trasportarlo a bisogno. Si arriva alla fine del paleolitico superiore per trovare le prime tracce di oggetti che danno la certezza che l’uomo era in grado di prodursi il fuoco.

Il ritrovamento di un nodulo di marcasite con percussore e tracce di esche che legate a funghi come il fomes fomentarius, l’esca da fuoco per eccellenza, capace di catturare una debole scintilla e avviare subito il processo di combustione, indicano la conoscenza della tecnologia atta all’accensione del fuoco.

Gli accendini a percussione, ottenuti da minerali del ferro come piriti o marcasiti, si pensa siano i primi oggetti che l’uomo ha utilizzato per prodursi il fuoco al momento del bisogno. Successivamente, con la fine del paleolitico si iniziano a trovare dei sistemi a frizione, come dei perforatori usati in combinazione con una tavoletta, il focolare, e poi lo sviluppo nell’età del bronzo con l’applicazione dell’archetto usato dalla civiltà egizia. L’esempio per eccellenza è il trapano da fuoco trovato nella tomba di Tutankhamon, il faraone bambino.

La tecnologia a percussione per produrre il fuoco ha avuto un’evoluzione durante l’età del ferro in Europa. La cultura celtica nell’VIII secolo A.C. produceva acciarini con un impugnatura d’acciaio che veniva sfregata (percossa) su una pietra focaia, la selce, il tutto associato a un’esca.

I diari di viaggio di Antonio ©Mattia Marinolli/Lonely Planet Italia
I diari di viaggio di Antonio ©Mattia Marinolli/Lonely Planet Italia

L’uomo del fuoco

In una fredda giornata d’inverno Antonio Ancora è inginocchiato su una tavoletta di legno nel prato dietro casa sua. In una mano un archetto, nell’altra un bastone puntato sulla tavoletta. Il bastone (bastoncino o perforatore) friziona velocemente sul legno sottostante e in pochi secondi si forma un cumulo di braci. Con una foglia secca raccoglie le braci e le adagia gentilmente su un mucchietto di paglia; stringendolo tra le mani se lo porta alla bocca e inizia a soffiarci vigorosamente sopra. Una densa coltre di fumo si sprigiona avvolgendolo e tutt’a un tratto una fiamma divampa innanzi al suo viso. Il fuoco!

La storia di Antonio è la storia di un viaggiatore curioso con una spiccata passione per l’antropologia e per l’archeologia preistorica. “L’Africa mi ha donato la passione per il viaggio, con Maria”, compagna di vita e di avventure, “abbiamo viaggiato nell’Africa Orientale per tre mesi con pochissimi soldi in autostop. Grazie ai camionisti riuscivamo a coprire lunghe distanze. Sopra dormivamo e cucinavamo era come avere un albergo appresso. Burundi, Rwanda, Tanzania e poi Kenya, dove ci siamo trovati di fronte a delle combinazioni straordinarie, era il 1977 e all’epoca i documentari sulla natura e sulle popolazioni tribali in televisione erano pochissimi. Quando ci siamo trovati coinvolti nella migrazione degli gnu nel Parco nazionale del Serengeti, abbiamo viaggiato per tre giorni tra nuvole di polvere, corna e zoccoli che ci scorrevano affianco alla jeep. Pensavamo di trovarci in un sogno. Ero un’operaio fiat in una Torino ai tempi orribile, con la nebbia legata allo smog. Da lì ho continuato a viaggiare in questo modo qui, orgoglioso di dire di essere un backpacker. Il nostro stile di viaggio è basato sul rapporto che hai col paese in cui viaggi: gente, natura e cultura. Entrarci in contatto è fattibile solo se ti muovi come loro, viaggi come loro, mangi come loro.”

“Oggi i viaggi organizzati ti impacchettano. Viaggi con un mezzo privato con l’aria condizionata, ti portano nei posti convenzionati dove ti trascini ciò che hai nel paese di origine e lì poi tu pensi di aver visto e vissuto un paese con una cultura totalmente diversa. Ma è un’illusione. Viaggiare significa sudare, rischiare e faticare. Viaggiare in posti sconosciuti e poi scoprire che il mondo è lubrificato da tante cose belle e positive.”

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Antonio Ancora nel suo giardino ©Mattia Marinolli/Lonely Planet Italia
Antonio Ancora nel suo giardino ©Mattia Marinolli/Lonely Planet Italia

Antonio ha passato gli ultimi trent’anni della sua vita a studiare e riprodurre tecnologie di accensione del fuoco. Centinaia di oggetti curiosi debitamente catalogati coprono le pareti di casa sua, mentre ci racconta:

"È una passione atavica che secondo me è insita in ogni essere umano, ce l’hai da bambino, ma anche da adulto ti rimane la stessa attrazione, perché il fuoco elabora meccanismi di curiosità e fantasia e anche di applicazioni pratiche presenti solo nella specie umana. Le altre specie, non conoscendone le utilità, ne hanno paura.

Una passione che lo ha accompagnato nei suoi numerosi viaggi tra Africa, Asia e Americhe: "Quando incontravo i gruppi tribali, nei casi in cui loro mantenevano ancora delle tecnologie primitive, cercavo sempre di apprenderle in maniera tale da non disperdere questa cultura. Quando ti ritrovi in una società preindustriale scopri tutta una serie di cose interessantissime e la tecnologia che noi tutti conosciamo assume un altro valore. Costruzione di capanne, fabbricazione di vestiti, sistemi di irrigazione: un patrimonio culturale sopravvissuto grazie a questi ultimi nuclei di popolazioni sparsi in giro per il mondo."

Antonio con un cacciatore Mentawaiano, in Indonesia © Antonio Ancora
Antonio con un cacciatore Mentawaiano, in Indonesia © Antonio Ancora
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Accendini, acciarini, pistoni e frizioni di essenze legnose – tanti modi per accendere il fuoco

Una cosa è certa, la memoria degli esseri umani è molto corta. Un oggetto di uso comune come l’accendino è di fatto un oggetto giovane. In un secondo schiacci un pulsantino o una rotellina e hai il fuoco. Fino alla prima metà del XIX secolo si utilizzavano ancora gli acciarini. Un piccolo astuccio conservava al suo interno una pietra focaia, un’esca e un pezzo di metallo che servivano per creare una scintilla. Un corredo simile, composto da un percussore in selce e un frammento di pirite, accompagnava persino Ötzi, l’uomo di Similaun mummificato trovato in Trentino Alto Adige.

Due uomini di rtnia Hinba con un trapano da fuoco, in Namibia © Antonio Ancora
Due uomini di rtnia Hinba con un trapano da fuoco, in Namibia © Antonio Ancora

I fiammiferi fecero la loro comparsa a inizio 800: erano bastoncini impregnati di potassio e zolfo che si incendiavano immersi in una soluzione di acido solforico, praticamente delle molotov tascabili, decisamente pericolosi all’accensione e tossici. Solo alla fine del XIX secolo si trovò una formula meno problematica. Prima con il fosforo bianco, altamente tossico, e poi con quello rosso meno pericoloso.

Ci sono innumerevoli tecnologie per innescare la scintilla e accendere un fuoco. Frizione, pressione, percussione "Ora vanno di moda i corsi di sopravvivenza," racconta con un sorriso Antonio tenendo tra le mani un oggetto metallico “in qualsiasi motel degli Stati Uniti d’America ti vendono un acciarino come questo fatto con una pastiglia di ferrocerio e una lega metallica per fare delle meravigliose scintille e accendere il fuoco come fanno vedere su YouTube con un ciuffo di paglia. Ovviamente non è così semplice. Dobbiamo forzatamente passare da un’esca per avviare la combustione e successivamente aggiungere la paglia. Diciamo che se mai ti dovessi trovare in difficoltà e non avessi l’accendino moderno è grave, accendere il fuoco è un’impresa!”

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Accendini, accerini e trapani da fuoco della collezione di Antonio ©Mattia Marinolli/Lonely Planet Italia
Accendini, accerini e trapani da fuoco della collezione di Antonio ©Mattia Marinolli/Lonely Planet Italia

Ma se ci trovassimo in un bosco e necessitassimo di accendere un fuoco? Un modo possibile sarebbe l’utilizzo del sistema a rotazione, “tirandomi via un laccio delle scarpe mi creerei un archetto che, insieme a un trapano, un cuscinetto e una tavoletta focolare col suo scarico, nel giro di 15 secondi mi permetterebbe di produrre le braci che unite a della paglia mi farebbero ottenere la fiamma viva. Dopodiché se devo cucinare mi costruisco un focolare per conservarlo, un vero e proprio termosifone preistorico come facevano durante la glaciazione”.

Anche un pezzo di pirite e un coltellino farebbero al caso, ovviamente accompagnate da un’esca che possa conservare la scintilla.

Tra le numerose varianti tecnologiche per accendere il fuoco ne esiste una molto particolare, la pompa da fuoco o pistone da fuoco. “L’ho cercata per parecchio tempo in giro per il mondo e alla fine sono riuscito a trovarne una. Un reperto etnografico del Nagaland su una bancarella in Myanmar. È una pompa fatta al tornio ricavata da un corno di bufalo dove hanno costruito un cilindro con un pistone che presenta una scanalatura per inserire una guarnizione. Sulla punta del pistoncino c’è un piccolo foro dove si inserisce l’esca. La compressione dell’aria raggiunge una temperatura altissima, come nel motore diesel, e tirando fuori il pistoncino a contatto con l’ossigeno si avvia la combustione.”

Un cacciatore Tau’t Batu con cerbottana, in provincia di Palawan © Antonio Ancora
Un cacciatore Tau’t Batu con cerbottana, in provincia di Palawan © Antonio Ancora
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"Ma anche nei rifiuti si può trovare la salvezza. Con un tappo di bottiglia di birra si può creare una parabola solare e accendere il fuoco con i raggi solari. Come testimoniò Archimede, durante l’assedio di Siracusa furono utilizzate parabole solari per incendiare le vele delle navi. “Le combinazioni sono molteplici ma vanno conosciute”, chiosa Antonio, “se sei in un bosco è semplice, ma se ti trovi su un altipiano o nel deserto, dove ci sono pochi elementi a disposizione, diventa dura e se da uomo moderno non ti sei portato l’accendino moderno, vuol dire che sei un uomo moderno un po’ stupido.”

Le ore passano e i racconti non finiscono mai. A sera inoltrata, Antonio tira fuori un aerofono ricostruito da lui, un oggetto che legato a un filo e roteato in aria velocemente produce un suono cupo e avvolgente. Un oggetto usato dagli Aborigeni australiani per i loro rituali. La mia auto si allontana e il suono dell’aerofono accompagna il mio congedo.

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