Sami, se scegli di credere a una bella storia
Kiruna è una città della Svezia, oltre il Circolo Polare artico, L è un Sami, ed entrambi a breve potrebero non esistere più: Kiruna, inghiottita dalla sua stessa miniera, e la cultura tradizionale dei Sami svedesi sempre più a rischio.

L: Sono nato in una grotta. Proprio lí, nella foresta. Come mio padre prima di me, e come suo padre prima di lui
Io: E dove sei cresciuto?
L: Sempre nella foresta, facevo dentro e fuori dalla grotta, con le renne. Sono mezza renna e mezzo uomo.
Io: Ma pensa!
L: Haha, sto scherzando, sono tutte balle.
K: Già. Ma la storia della grotta è vera.
L: No, haha, non gli credere. Sono nato in ospedale, a Kiruna, come tutti.
K: Un ospedale vicino alla grotta.
L: Non dovete credere a tutto quello che diciamo. Ci piace scherzare.
Io: Non importa, possiamo scegliere quello a cui credere.
L: È una buona cosa.

I Sami sono un piccolo popolo indigeno di ex cacciatori e pastori nomadi (una di quelle che oggi chiameremmo First Nation), solo centomila anime in un territorio compreso fra la Scandinavia e la Russia: per loro il Sápmi, a noi noto come Lapponia. Un nome per cui pavlovianamente, subito ci balenano in mente paesaggi innevati, foreste, slitte trainate da husky e renne, e altre immagini fra il pittoresco e lo stereotipo, spesso ingiuste quanto il nome che le ha evocate.
Lappone, infatti, è un esoetnonimo dallo svedese Lapp, riconducibile a “sempliciotto, straccione”, oggi considerato offensivo e a cui viene preferito il termine Sami, lo stesso che gli abitanti del Sápmi utilizzavano per definirsi. Curiosamente, lo stesso è capitato dall’altra parte dell’Atlantico, a simili latitudini artiche, dove per secoli si è utilizzato il termine eschimese, esonimo probabilmente derivato da una sprezzante parola algonchina il cui significato era “mangiatori di carne cruda”, nei confronti di coloro che si riconoscevano come Inuit. In entrambi i casi, Inuit e Sami nelle rispettive lingue significano semplicemente “uomini”, o “esseri umani”.
Quella del nome é stata forse la più morbida delle vessazioni che i Sami hanno dovuto sopportare: la Svezia, infatti, non ha mai riconosciuto il suo problema con l’unico popolo indigeno riconosciuto nel territorio dell’Unione Europea. Un problema nato dalla lotta per la terra, e per lo sfruttamento delle risorse.

Alberi, alberi, alberi. Qualsiasi sia la scelta fra le tre strade che da Lulëa portano a Kiruna, per centinaia di chilometri non vedrete altro che alberi. E se questo non dovesse bastare a rendere monotono il paesaggio, alberi tutti uguali: da più di un secolo le leggi svedesi obbligano chi abbatte a ripiantare, ma senza alcun vincolo su quali specie debbano rimpiazzare quelle d’origine, con il risultato di privilegiare una o due specie particolarmente confacenti allo sfruttamento (in questo caso, pino e abete rosso) che lentamente trasformano le foreste in monocolture, silenziosamente sfrondano la biodiversità delle foreste e avvelenano la terra. In cambio, la Svezia può esportare il 6% del legname mondiale.
Dove le foreste sono interrotte dai fiumi, lí da quasi due secoli si realizzano dighe per lo sfruttamento idroelettrico.
A Kiruna, la sua stessa miniera di ferro (la più grande d’Europa) sta lentamente inghiottendo la città stessa, tanto che ne è già programmata la ricostruzione 3 km più a est. Sembra di parlare di una boom town nordamericana del diciannovesimo secolo, ma siamo in Europa, nella sua più grande riserva mineraria, fra argento, oro, zinco, piombo… il Sápmi.

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Elle, allevatrice Sami ad Umeå, parla di licheni che diminuiscono per le temperature più calde, di gocce di pioggia anziché fiocchi a novembre, ma anche di pascoli scomparsi per far spazio alle pale di nuove centrali eoliche, lí dove “la neve si posa più spesso e dura più a lungo”.
I Sami identificano le famiglie e il proprio popolo con l’allevamento della renna, e buona parte di questo territorio così ricco di risorse ne era zona di pascolo. Eppure, da 170 anni questi pascoli si riducono, gli enormi spazi necessari ai percorsi di transumanza si assottigliano, in nome di politiche predatorie sempre più pressanti: i Sami hanno ben poco a proteggerli, nonostante l’associazionismo recente e il Sámediggi (Il Parlamento Sami presente in Svezia dal 1993, la cui sede è a Kiruna). Le loro rivendicazioni si basano sull’usufrutto e la dimostrazione dello sfruttamento consueto del territorio. Ma come può un popolo di tradizioni orali reperire delle prove tangibili o scritte della sua esistenza su un territorio, quando poi la sua stessa capacità di integrarsi al territorio dove ha sempre abitato ha nascosto quelle tracce, le ha rese rarissime, spesso invisibili?
Così l’industria aumenta, gli allevatori arretrano. La Svezia ha usato un pugno di velluto romanticizzando i Sami, diffondendone un’immagine arcaicheggiante, di nomadismo e abiti tradizionali, dove oggi risultano intrappolati. Senza mai ricorrere a violenza, per tutta la prima metà del Novecento il paese ha seguito politiche riconducibili al darwinismo sociale, impedendo ai Sami di affrancarsi dalla vita nomade ed istituendo un sistema scolastico separato (Nomad Schools Act, 1913) colpevolemente arretrato, segregazionista, e carente.
Contemporaneamente per decenni i Sami sono stati rintanati in un angolo, dove per sei mesi l’anno è più difficile far luce, dove la neve attutisce tutto, comprese le proteste.

In un suo pezzo straordinariamente riuscito, il comico americano Robert Burnham si fa beffe di quella che lui definisce Stadium country music ovvero quei sedicenti cantautori country bravissimi a scrivere di vite rudi in sella a trattori, a scegliere gli accordi giusti e a vestirsi da contadini per arruffianarsi un pubblico di veri braccianti, ma ben attenti a non rivelare loro come in realtà non abbiano mai lavorato un singolo giorno della loro vita, e a tenersi distanti dalle campagne, perché in fondoThey don’t like dirt.
Oggi i Sami sono ben diversi da quelli di Johan Turi (autore del primo libro in lingua Sami Muittalus sámiid birra), e dalle cartoline delle guide turistiche. Guidano motoslitte, fanno la spesa alla Lidl e lavorano in vari settori, fra cui il turismo. E i turisti portano soldi e lavoro, per quanto contribuiscano a incasellarli nel folklore dei bonari e pacifici allevatori. Vicino Kiruna si trova il sito più visitato di tutta la Lapponia Svedese, l’Ice hotel dove i viaggiatori possono pernottare e bere acquavite in boccali di ghiaccio, e la mania dell’aurora boreale sta facendo la fortuna di alcuni piccoli allevatori, svelti a reinventarsi venditori di polar experiences. Il “revival indigenista” degli anni ’70 ha aggiunto un ennesimo, spesso strato, rendendo molto difficile definire autenticità Sami, o chi sia realmente Sami oggi. Eppure, proprio giocando sull’immaginario di attese dei visitatori e su questa “invenzione della tradizione”, hanno piegato la situazione a proprio vantaggio.
L lavora con turisti, e sembra provare un certo divertimento nel confermare le aspettative di quegli stessi visitatori. Quasi come se si dispiacesse nel vedere deluse delle attese, per quanto ingenue. E allora inventa, mi dice. Loro sono contenti, hanno spuntato le varie caselle del loro immaginario artico, la renna, le bacche, i blocchi di ghiaccio, eccetera. Ogni cosa sembra loro al suo posto, e allora che male c’è? Forse in fin dei conti sanno che non può essere cosí, ma fingono a loro stessi, e sono felici di ingannarsi.
Rifletto un po’ sulle sue parole e penso che forse ha ragione, forse alla fine neanche a loro piace lo sporco. Siicuramente sarebbe sbagliato nasconderlo sotto al tappeto, ma avrebbe invece senso la puntigliosa ricerca di un purismo comunque inesistente e irrecuperabile?
Ricordo un mio professore commentare alcune delle migliori realizzazioni di arte indigena nordamericana, giunte in mano europea molto prima della fine dell’Ottocento: opere chiaramente di fattura locale, ma essendo destinate allo scambio con europei (era già sviluppato un certo turismo nella zona dei Grandi Laghi) con una simbologia vagamente occidentale e per un uso chiaramente di ambito cittadino. Si - ci - chiedeva: sono “autentiche”?
Tutti i Sami concordano su come non esistano più veri noaidi, chi si professa sciamano é solo un avido in cerca di facili guadagni, o un prodotto del new age degli anni ’70, nella migliore ipotesi.
Tuttavia i turisti portano ossigeno, permettono ai Sami di pagare il mutuo per le motoslitte, di avere un piccolo peso economico e quindi politico, di poter rinegoziare i propri spazi, mentre L si inventa grotte, uomini-renna e foreste incantate per quei viaggiatori che scelgono di credergli.
Se davvero non esiste l’autentico, forse Robert Burnham non ha sempre ragione, e come L fra i boschi, a volte, una bella storia può permettersi il lusso di non essere vera.