Laos: un viaggio fai da te in solitaria
Ogni volta che parto da sola, non so cosa mi aspetta: potrebbero essere giorni molti silenziosi o fitti di incontri, com'è stato per me il Laos. Il paese più arretrato del sudest asiatico è anche uno dei più autentici e affascinanti. Lo ricordo anche come un luogo curioso, è pieno di posti dai nomi impronunciabili, con cartelli che dicono “think more, wear more and please don’t rush”; un modo gentile per ricordare a noi turisti di rispettare la loro cultura e affrontare la vita con più calma. Più per caso che per scelta sono rimasta nelle regioni del Nord, e in sole due settimane ho incamerato più storie umane e lezioni di vita che in un anno intero a Milano: questo è il mio viaggio fai da te in Laos.
Il fiume delle storie
Il Mekong attraversa tutto il Laos. Scorre lungo foreste e antiche città, isole e villaggi e dopo mille curve e cambi di rotta prosegue più a sud, in Cambogia. Ma si dice che la prima tratta, quella che dal confine con la Thailandia arriva fino a Luang Prabang, sia la più spettacolare. E io posso confermarlo perché, nei due giorni che ho trascorso sulla long boat lungo questa tratta, ho visto scenari misteriosi e primordiali che sembravano usciti direttamente da Apocalypse now. Assieme e a me, nel villaggio di Huay Xai, era salito qualche laotiano, ma soprattutto viaggiatori da ogni parte del mondo, giovani e meno giovani con una gran voglia di raccontare quali vicende li avesse spinti proprio lì. Il brasiliano Alvaro voleva celebrare a Luang Prabang i suoi primi quarant’anni, e tutto ciò che sarebbe venuto dopo. Asaf se l’era filata da Israele e ora esplorava il pianeta alla ricerca di una patria adottiva. François viaggiava per rendere tollerabile l’attesa di una sentenza sull’affidamento dei suoi tre figli. Mentre navigando ci conoscevamo meglio, scoprivo di avere passioni e sensibilità simili a persone con cui credevo di non aver niente in comune. Mi sono chiesta quante di quelle storie avrei ascoltato se non avessi viaggiato da sola. E anche se ne sarei rimasta altrettanto coinvolta, al punto di far nascere legami che durano ancora oggi.
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Uno dei tanti privilegi del partire senza nessuno che vi conosce è poter uscire dal “solito” ruolo (che a volte può starvi stretto), e aprirvi a punti di vista nuovi su come si può vivere e pensare. Le esperienze di alcuni possono fare talmente breccia dentro di voi, da aprire la mente su scelte di vita che a volte vi somigliano di più. Certo, non tutti siamo degli estroversi, ma quando attaccar bottone si dimostra normale per tutti, lo diventa anche per voi. Sapere un pochino di inglese aiuta, ma se non è il vostro forte, cercate di partire nei periodi delle vacanze estive, avrete più opportunità di incrociare italiani. E anche se siete tra coloro che in viaggio preferiscono evitarli, potrete invece sorprendervi di quanti stimolanti connazionali si aggirano come voi per il mondo.
Camera con vista a Luang Prabang
L’antica capitale del Laos sorge all’incrocio tra due fiumi, il Mekong e il Nam Khan. Per la sua atmosfera romantica, i numerosi templi e le sue boulangeries (ricordo dei tempi coloniali), Luang Prabang è una di quelle città dove si programma di stare tre giorni ma poi si rimane un mese. Alloggiavo in una modesta guest house del centro, in una camera al primo piano molto pulita, con un bagno privato e una grande finestra con le persiane in teak da cui vedevo il That Chomsi, lo stupa d’oro sulla collina sacra nel centro di Luang Prabang. E quando mi svegliavo all’alba, da quella stessa prospettiva potevo scorgere i monaci fare la questua per la città. Essendo l’ultima stanza del ballatoio non passava mai nessuno, così che spesso mi sedevo sulla sedia di bambù che c’era appena fuori dalla porta a godermi le risate dei bimbi per la strada e i profumi che salivano dai wok delle caffetterie all’aperto. Nel patio del giardino di fiori tropicali, c’era un grande tavolo di legno con bordi sinuosi come petali dove a volte incontravo altri viaggiatori o mi fermavo a sorseggiare un tè, che era sempre gratis. In altre parole, per come vedo il viaggio, ero in paradiso.
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Perciò se siete simili a me, ma pensate che partire da soli significhi stare sempre in silenzio, spendere il doppio o dormire in squallide camerate, dovrete ricredervi perché nei paesi dove i solo traveller sono frequenti, ostelli e guest house hanno camere private spesso più belle (e molto meno care) di quelle degli alberghi tradizionali. Oltre a offrire spazi comuni e attività che ispirano a socializzare. Sistemazioni che si possono prenotare in anticipo su qualsiasi sito online. Io avevo prenotato così la prima notte, mentre per le successive mi sono accordata direttamente con la guest house, ottenendo un notevole risparmio.
Un cinese ed io a Udomaxai
Un viaggio da soli è il tempio dell’imprevedibilità. Avendo un programma preciso solo per la prima settimana, il resto del tempo ho assecondato l’ispirazione. Tanto che in fila alla biglietteria di Nong Khiaw, ero ancora indecisa se scegliere un autobus diretto a Sud e proseguire lungo il gringo trail (così è chiamato l’itinerario maggiormente percorso dai viaggiatori), o imboccare la direzione opposta fino a raggiungere la cittadina di Udomaxai e poi Muang Sing, il minuscolo centro tra le risaie dove vivono minoranze Lao Huay, Akha, Tai Dam, Khmu, Hmong e Tai Lue. La voglia che avevo di staccarmi dal branco e il feeling con un ragazzo di Shanghai diretto a nord mi ha fatto decidere per la seconda opzione. Ma ecco che, nonostante avessimo i biglietti in mano, per me e il ragazzo cinese con gli occhiali e la macchina fotografica al collo non c’era più posto. I laotiani sono cronicamente approssimativi per cui capita di rimanere a piedi per un errore di conteggi. Ma per fortuna sono anche sufficientemente creativi da inventarsi un modo per far tornare i conti.
E infatti, tempo mezz’ora, viaggiavamo su una strada sconnessa del più profondo Laos verso Udomaxai: ci avevano trovato due sgabelli che abbiamo incastonato tra le pieghe dei bagagli che ingolfavano tutto il corridoio. È stato surreale ma anche spassoso e alla fine di questa pazza epopea, ci siamo concessi un’ora di massaggio rilassante e una sauna alle erbe in un centro immerso nella foresta intorno a Udomaxai. Infine, durante una cena quasi decente (in Laos ho quasi sempre mangiato per mera sussistenza), abbiamo parlato di grandi temi che, gira e rigira, sono gli stessi in ogni parte del mondo. Tra un mese si sarebbe sposato, e parlava di questo viaggio come l’ultimo scampolo di libertà prima di darsi alle responsabilità. Poi, con la saggezza che ci si aspetta da un cinese, mi ha chiesto: «Hai mai calcolato quanti giorni della tua vita adulta trascorri con i tuoi genitori?» Non ci avevo mai riflettuto, ed erano talmente pochi che ho sentito l’impulso di tornare a casa il più presto possibile. Tutto questo per dire quanta magia, divertimento e nuove consapevolezze si possono nascondere in una decisione, presa nel giro di un attimo, durante un viaggio solitario.
Ritorno sul filo di lana
Ad essere onesta, viaggiare da soli ha anche le sue belle grane. Come prima cosa non c’è nessuno con cui condividere la responsabilità di tenere i conti. Sembra una banalità, ma in alcuni paesi non sempre si può usare la carta di credito e i bancomat sono concentrati in una manciata di posti. Per questo bisogna prevedere in anticipo le spese e assicurarsi contanti a sufficienza a coprire ogni evenienza.
Secondo: ovunque andiate è bene anticipare i possibili problemi per non trovarvi ad affrontare da soli difficoltà in luoghi estranei. Quindi, se un’informazione non vi dà sicurezza, non arrendetevi e continuate a chiedere. Ma nonostante tutte le attenzioni, può capitare di inciampare in qualche errore e se succede può essere frustrante non aver nessun altro a cui dare la colpa. Non fidatevi mai di un voucher rilasciato da un hotel come garanzia di un posto prenotato su un pullman laotiano: se a volte non vi tutela neanche un biglietto ufficiale, figuriamoci quando non avete neanche quello! È una situazione da evitare specialmente se la posta in gioco, nel caso non salissi sul quell’autobus, è molto alta. Nel mio caso, ho rischiato di rimetterci il volo di ritorno per l’Italia e se questo non è successo lo devo solo alla rinomata solidarietà tra viaggiatori. In particolare a un cuoco di Zurigo che avevo appena conosciuto al terminal, il quale, una volta capita la mia catastrofica situazione, ha discusso come un leone per farmi ottenere il biglietto dall’addetto più ostinato che mi sia mai capitato. E questo nonostante il pullman fosse in overbooking. Che si tratti di affrontare inconvenienti piccoli o grandi, tra viaggiatori solitari si crea di solito una specie di patto di mutuo soccorso, e questo dovrebbe darvi la serenità necessaria per partire, specialmente se siete donne.