La costa ionica della Calabria: in viaggio nel tempo sospeso

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Nel silenzio dei borghi solitari, incastonati nella nuda roccia ocra che si staglia contro il blu intenso dello Ionio, pulsa il battito della storia, mentre lungo le immense distese di sabbia dorata, tra lo spensierato chiacchiericcio dei bagnanti, sembra di percepire ancora le voci dei greci che molti secoli fa sbarcarono in questo litorale. La costa ionica della Calabria è un mondo incantato dove il tempo scorre diversamente: qui il presente e il passato non si succedono in una linea continua, ma si accostano e separano in una danza dai movimenti sinuosi.

capo colonna
L’eroica superstite delle 48 colonne del grandioso tempio di Hera Lacinia ©Karl Allen Lugmayer
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Echi di voci lontane: l’antica Grecia rivive nella Calabria del presente

È di una malinconica bellezza: solitaria e maestosa, la colonna dell’antico tempio da cui prende nome Capo Colonna, a sud di Crotone, mi ha subito trasportata in un mondo romantico di glorie passate. Alta 8 m e in stile dorico, l’eroica superstite delle 48 colonne che nel VI sec a.C. formavano il grandioso tempio di Hera Lacinia è una delle icone della Magna Grecia in Calabria.

Il patrimonio archeologico è indubbiamente una ricchezza della Calabria ionica – basti pensare a Scolacium e a Locri Epizephiri –, ma l’aspetto per me più affascinante è che il passato della Magna Grecia qui non è confinato nel perimetro di un sito antico ormai disabitato: l’ho potuto rivivere in piccoli frammenti del quotidiano. Ho sentito vibrare l’anima ellenica nel retrogusto di un vino: il Cirò, discendente diretto del Krimisa, vino offerto in premio agli atleti che vincevano le Olimpiadi. Ad accomunare i due vini sono le uve del gaglioppo, vitigno a bacca nera annoverato fra i più antichi del mondo. Naturalmente queste intuizioni non sono scaturite da un incredibile intuito da sommelier, ma sono esito della visita alla Cantina Librandi, a Cirò Marina, un’azienda in attività da molti decenni che ha saputo innovarsi investendo sulla ricerca e sostenibilità ambientale e sociale. Grazie al supporto scientifico di esperti, Librandi ha portato avanti un progetto di messa a dimora di oltre 200 varietà autoctone di vitigni, tutelando la biodiversità calabrese.

Ancora ebbra di emozioni (e di Cirò!), ho coronato il mio viaggio a ritroso nel tempo nella Calabria grecanica: qui, nella punta dello stivale italico dominata da una natura dai contrasti estremi, dove i pendii sassosi dell’Aspromonte sfumano verso il blu dello Ionio in una successione selvaggia di rocce scabre, creste, fiumare e piccole vallate, lotta per la sopravvivenza il dialetto grecanico, evoluzione della lingua dei coloni greci. Parlato ormai solo dagli anziani e da un numero ristretto di giovani (e giovanissimi!) che hanno consapevolmente scelto di mantenerlo in vita, questo idioma è l’espressione più evidente di un mondo di consuetudini, riti, simbologie e tradizioni che le comunità agro-pastorali hanno preservato dagli influssi esterni nel corso dei secoli. A Bova, sorta di ‘capitale’ della Calabria Grecanica, il Museo Gerharsd Rohlfs (dedicato al glottologo tedesco che dimostrò l’origine magno-greca del grecanico) mette in luce le peculiarità di questo microcosmo ai piedi dell’Aspromonte. Ma il legame con l’antica Grecia non è l’unico motivo per cui venire a Bova…

Il borgo di Bova © Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
Il borgo di Bova © Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia

Silenzi mistici e borghi fatati: a metà strada fra il mare e il cielo

Ai piedi dei ruderi del castello normanno, Bova si arrampica su uno sperone roccioso intorno ai 1000 m di quota ed è uno scenografico intrico di vicoli in pietra, porte medievali e palazzi d’epoca, in cui trova spazio anche un’antica Giudecca, sorta fra il XV e il XVI secolo. Nel centro del paese, improvvisa e quanto mai inaspettata, mi si para davanti agli occhi una locomotiva, irruenta incursione della storia moderna che mi spiazza – che ci fa una locomotiva in un paese che neppure è raggiunto da una linea ferroviaria? – ma che al tempo stesso mi prepara a quella che sarà una caratteristica ricorrente del viaggio: i paradossi temporali.

Bova è uno dei tanti borghi della Calabria ionica ‘sospesi’: nello spazio, in un territorio intermedio fra la costa e le alture, uno sguardo al mare e l’altro all’entroterra; e nel tempo, capaci di evocare in un solo istante tanti frammenti storici, pur restando con un piede radicato nel presente (insomma, non dovrete temere che il vostro cellulare non abbia rete!).

Lo scorcio da cartolina di Pentedattilo, il borgo accoccolato nel palmo di una mano le cui ‘cinque dita’ (‘penta daktylos’ in greco, da qui il nome) sono speroni di roccia puntati verso il cielo, è per me uno dei ricordi visivi più intensi del viaggio, acuito dalla memoria olfattiva del profumo di ginestre e dalla percezione di un silenzio fitto di storie: in quel vuoto di parole ho potuto rivivere l’attimo di terrore che ammutolì gli abitanti nel 1783, quando le scosse del terremoto li portarono a fuggire, ma anche una sensazione di ammaliamento che toglie il fiato, la stessa che dovettero provare, circa 200 anni dopo il terremoto, i primi visitatori sedotti dalla magia del paese ormai fantasma, che tuttora emana l’energia della roccia in cui sembra fondersi. Oggi sono in pochissimi a vivere qui, ma si promuovono progetti per rivitalizzare Pentedattilo, ad esempio un festival cinematografico in estate.

La Cattedrale di Gerace, grandiosa sintesi di elementi bizantini, romani e normanni, tra cui si mimetizzano le antiche colonne sottratte al tempio di Locri, è il cuore di quella che in passato fu la ‘Città delle Cento Chiese’: in posizione strategica sui contrafforti dell’Aspromonte, Gerace in effetti conserva ancora innumerevoli luoghi di culto. Qui però non ho trovato silenzi mistici, al contrario ho sentito dibattere giovani studenti e ricercatori di varia provenienza alle prese con le tante iniziative culturali promosse all’interno della Cittadella Vescovile, ho attraversato una piazza animata da un’allegra vita di paese e mi sono imbattuta nella prima edizione del festival artRizoma, dedicato all’arte contemporanea.

L’apice dello straniamento l’ho però vissuto a Stilo, in quel gioiello che è la Cattolica, tanto piccola quanto capace di suscitare emozioni forti: la sua architettura tutta in laterizio dalle proporzioni perfette, formata da un cubo sormontato da cinque cupolette cilindriche, mi ha catapultata nell’antica Bisanzio, mentre l’atmosfera di placidità che pervade anche il paesaggio circostante mi ha messa in sintonia con la seraficità dei monaci orientali, che in questa chiesetta forse cercarono il distacco dal mondo.

Da Stilo e da Gerace le orme dei monaci possono regalare un’immersione nella natura, che è anche un viaggio nella spiritualità e nella storia: entrambe le località sono infatti toccate dal Cammino Basiliano, una rete di sentieri che attraversa la regione da nord a sud, per un totale di 1390 km. Il punto di partenza, prossimo al confine con la Basilicata, è Rocca Imperiale, un meraviglioso borgo stretto fra i calanchi e lo Ionio e dominato dal castello svevo, che con i suoi saliscendi scalda i muscoli per chi vuole mettersi in cammino… io mi sono distratta a leggere le poesie sparse per il paese, ma ho messo in valigia le scarpe da trekking per il prossimo viaggio!

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Cattolica di Stilo
La Cattolica di Stilo, tanto piccola quanto capace di suscitare emozioni forti © Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia

I tesori dello Ionio: storie sommerse e specie animali da tutelare

Per me la dimensione temporale del mare è l’eterno presente, è lo sciabordio delle onde che si ripete immutato dalla notte dei tempi. Lungo la costa ionica della Calabria ho dovuto però aprire varchi temporali attraverso cui consentire alla storia di irrompere.

È stata quasi prepotente nel monopolizzare la mia attenzione la Fortezza Aragonese, con quel suo protendersi verso il mare come se a impedirle di naufragare fosse solo la sottile striscia di terra che la lega a Isola di Capo Rizzuto. E anche sotto la superficie del mare, il percorso archeologico subacqueo davanti a Le Castella testimonia il peso della storia in questa regione, mentre la ricchezza faunistica e floristica dell’Area Marina Protetta Capo Rizzuto mi ha fatto riflettere sul patrimonio naturale che necessita di un’adeguata tutela.

In questo senso l’esperienza più emozionante è stata assistere alla messa in sicurezza dei nidi della tartarughe Caretta caretta, il cui principale luogo di deposizione delle uova in Italia è il lungo tratto di spiaggia presso Brancaleone Marina, a sud della costa ionica. Nel vedere la dedizione con cui i volontari della onlus Caretta Calabria Conservation si adoperano per permettere ai piccoli di tartaruga di emergere dalla sabbia e prendere la via del mare, si è acceso un riflettore, nel mio palcoscenico mentale, su un preziosissimo tesoro che nei secoli ha regalato bellezza e valore a questa regione: la sua natura. Considerando che l’origine delle tartarughe marine risale al Giurassico superiore, preservare l’esistenza di queste creature significa fare in modo che un pezzo della storia più remota della nostra terra continui a essere parte integrante del nostro presente.

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