La Calabria tirrenica: un tuffo nel mito
Non c’è icona migliore dei Bronzi di Riace, intrisi di mistero, per incarnare in un’immagine familiare a tutti il volto della Calabria che ho scoperto lungo la costa tirrenica, quella che voglio raccontarvi. Una terra dove il mito riecheggia in scenari di commovente bellezza e dove a trionfare nei ricordi sono le figure umane, custodi di una lunga storia, a tratti difficile da decifrare, che è l’arma di seduzione della Calabria.

Il mare che cela tesori e insidie: storie di ninfe e di pescatori
Sono passati 50 anni da quando i Bronzi di Riace hanno toccato la terraferma: con il loro sguardo profondo (anche la statua B, cui pure manca un occhio), oggi invitano i visitatori nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria a decifrarne i misteri – potrebbero essere due personaggi del mito dei Sette a Tebe, forse provenienti da Argo, opera di uno stesso scultore o per lo meno di artisti della stessa bottega. Quel che è certo è che con i loro quasi due metri di altezza e quella posa perfetta che coniuga le linee slanciate a una muscolatura possente, definita nei minimi dettagli, i due colossi a lungo rimasti nascosti nelle profondità del mare della Calabria sono come un presagio dei tesori che si celano in questa regione. Due li troviamo già nella sala accanto: i Bronzi di Porticello, adombrati dalla notorietà dei grandiosi vicini e come loro riemersi dal mare. In particolare la testa del filosofo, con il realismo della sua espressione e la fronte un po’ corrucciata (quale pensiero starà concependo questo pensatore che già nel V secolo a.C. portava una barba lunga e curata da fare invidia agli hipster più trendy di oggi?), ci lascia con un interrogativo su quale personaggio si nasconda dietro quel volto così comunicativo.

La dimensione mitologica è il fil rouge che lega i Bronzi a Scilla, un borgo che strega come la bellissima ninfa, poi trasformata in orripilante mostro, da cui prende nome. Qui a conquistarci definitivamente è il più arcaico degli incantesimi, lo spettacolo del sole rosso infuocato che si getta nel mare al tramonto, tingendo di colori pastello il cielo e le acque antistanti la Spiaggia delle Sirene, seducente proprio come il loro canto. Al mito si contrappone il vissuto quotidiano degli uomini che da questo mare hanno tratto il loro sostentamento, in passato anche a rischio della vita – d’altronde Scilla con i serpenti al posto delle gambe e le sei teste di cane ci ammonisce a non sottovalutare le insidie del mare. Nella frazione di Chianalea, che non ha perso la sua anima verace di borgo di pescatori, è ancora palpabile l’eterno rapporto di simbiosi e di sfida tra l’uomo e la natura. L’ho percepito vividamente nelle parole di un pescatore, ormai attempato, che nel raccontare il suo mestiere ha evocato, gli occhi ancora carichi di emozione, il mondo di rituali e tradizioni che è parte integrante della pesca dello spada, per molto tempo l’attività su cui si è fondata l’economia locale. E negli aneddoti romantici sugli atti eroici di un pesce spada maschio, pronto a sacrificare la propria vita pur di salvare la compagna in procinto di essere arpionata, ho letto una sorta di profondo rispetto, o quanto meno gratitudine, per questa creatura, da cui in passato è dipesa la sopravvivenza della comunità.

Il dialogo costante fra tradizione e innovazione
I rituali della pesca ci rimandano a un mondo di tradizioni ancora profondamente radicate nella Calabria tirrenica, ma rielaborate per essere attuali. Così scopriamo che in una viuzza appena discosta dal viavai di bagnanti di Scilla, nella bottega artigiana che già era del nonno, Sergio Pugliesi ha coniugato l’arte della falegnameria con la passione per la musica e la laurea in DAMS. La sua carta vincente è stata l’intuizione di valorizzare la versatilità della chitarra a battente: nata per la musica colta e poi adottata da quella popolare, si suona battendo la mano sulle corde ed è ideale per trasmettere la pulsazione della tarantella, ma può adattarsi a qualsiasi genere. Nella liuteria si fabbricano anche gli strumenti musicali tipici del Reggino: le lire calabresi, le cui origini antiche affondano nel mito e si collegano alla lira, inventata da Mercurio partendo da un guscio di tartaruga.
Dalla cultura teatrale e dalle maschere della Magna Grecia traggono invece ispirazione le ceramiche di Seminara, un minuscolo paese che ha perso la verve del XVIII secolo, quando i fornai dei ceramisti erano così tanti da formare un quartiere a sé, ma che custodisce nelle sue vie dormienti tracce di quell’arte che in passato ne decretò la fortuna. Dopo aver sobbalzato alla vista dei mascheroni dalle corna lunghe e le fattezze mostruose, che scacciano sì il malocchio ma spaventano a morte chi, come me, arriva impreparato al cospetto delle vetrine, si è pronti a posare lo sguardo sulle calabriselle, ossia stilizzazioni delle donne calabresi messe sui comignoli a incutere terrore (le istanze femministe avevano poco seguito ai tempi!) e le varie versioni dei babbaluti, bottiglie antropomorfe che sbeffeggiavano i dominatori di turno. Girare per il paese è interessante per scambiare due chiacchiere con i ceramisti al lavoro, ad esempio nella bottega Condurso, ma se non avete tempo e non siete interessati allo shopping, potete restare sulla costa a Palmi: la Casa della Cultura Leonida Repaci di Palmi, uno spazio polifunzionale e un’area museale, custodisce una ricca esposizione di ceramiche di Seminara.

Iscriviti alla nostra newsletter! Per te ogni settimana consigli di viaggio, offerte speciali, storie dal mondo e il 30% di sconto sul tuo primo ordine.
La località in cui ho però davvero toccato con mano l’incontro fra tradizione e contemporaneità è stata Fiumefreddo Bruzio: per il suggestivo intrico di vicoli, piazzette e cortili che catapultano nel Medioevo, mentre la modernità si impone con forza dietro al rombo di un motore, e per l’evidente sopravvivenza di attività artigianali storiche, come il Presepe artistico di Enzo Spina, che riproduce Fiumefreddo nel suo presepe. Ma il motivo principale è un altro: in quei giorni fervevano i preparativi per la prima edizione del Fiumefreddo Photo Festival, un festival diffuso dedicato alla fotografia contemporanea italiana e internazionale, in grado di coniugare la bellezza senza tempo dell’architettura medievale locale con la modernità di uno scatto fotografico. Grazie al festival, Fiumefreddo da finestra sul Tirreno (preparatevi a scorci di blu mozzafiato) si trasforma in una finestra sul mondo, ricreato attraverso lo sguardo dei fotografi invitati a partecipare. Il tema ‘A meta strada: tra passato e futuro’ porta a interrogarsi sulla nostra abitudine ad adattare il mondo tradizionale agli standard del mondo globalizzato e al tempo stesso sull’esigenza che avvertiamo, con un’urgenza sempre più impellente, di tutelare i patrimoni di usi e culture che rischiamo di perdere nella corsa verso lo sviluppo.
L’aroma inebriante del frutto proibito
E se non fosse stata la mela il frutto con cui Eva tentò Adamo? Per chi come me è cresciuto con una canonica educazione cattolica, il frutto della conoscenza è quell’innocua melina che, mangiata una volta al giorno, toglie il medico di torno (si vede che sapienza e salute vanno di pari passo!). A far barcollare questo mio assunto è stata la tappa a Santa Maria del Cedro: è il cedro, secondo alcune interpretazioni ebraiche, l’albero del bene e del male. L’ho scoperto nell’incredibile repertorio di curiosità che è il museo dedicato a questo agrume, dove il personale appassionato saprà narrarvi diversi aneddoti sul frutto e sulla sua storia, e ingolosirvi nell’angolo dello shopping in cui sono in vendita tutti i preparati che se ne ricavano (e non sono pochi, vi avvertiamo).
Il cedro è una presenza tanto importante da dare a questo tratto di costa tirrenica il nome di Riviera dei Cedri e da profumare del suo aroma il toponimo di Cetraro, borgo altissimo sul mare: la sua Piazza del Popolo è una sorta di terrazza sul Tirreno, mentre l’interessante Museo dei Brettii e del Mare, con la sua esposizione di pezzi archeologici rinvenuti nelle acque del Tirreno, ci riporta a interrogarci sui segreti del mare, custode di tesori nascosti.
Leggi anche:
La leggendaria bellezza della Costa degli Dei
Da nord a sud lungo la costa tirrenica della Calabria e nei borghi a metà costa – piccoli gioielli sospesi nel tempo e accoccolati in un limbo tra il mare e le alture – mi sono abituata a scivolare dalla realtà alla leggenda senza più sentire l’esigenza di individuare dove finisce la storia e comincia la fantasia. Il vero tuffo nel mito, però, l’ho compiuto in quel tratto di litorale dal nome quanto mai evocativo: la Costa degli Dei, con la sua paradisiaca alternanza di calette dalle acque cristalline e promontori selvaggi. È con questa immagine negli occhi, fatta del blu del Tirreno e del bianco della sabbia che circonda il Santuario di Santa Maria dell’Isola, a Tropea, che chiudo il mio omaggio al fascino mitologico della Calabria tirrenica. Al cospetto di questa icona della Calabria non c’è pensiero razionale che tenga: chi altri verosimilmente può aver fondato una località così splendida se non l’eroico Ercole?