Ittireddu, il borgo sardo ai piedi di un vulcano
Tengo tra le mani una roccia nera, porosa, più leggera di quanto mi aspettassi. È pomice, indizio inequivocabile che qui, molto tempo fa, una potente eruzione ha sconvolto il paesaggio. «Non ti aspettavi di camminare in un vulcano in Sardegna», asserisce una voce alle mie spalle. Non è una domanda, e in effetti sarebbe superfluo rispondere. No, non me lo aspettavo – e chi potrebbe? Ma a Ittireddu è un’esperienza inevitabile: il Monte Lisiri, uno degli ultimi vulcani di Sardegna a essersi spento, sorge proprio a ridosso delle case del borgo logudorese, che è una delle tappe del Cammino di Santu Jacu.

A Ittireddu non si arriva per caso. Il centro abitato in provincia di Sassari, nell’antica regione del Logudoro, è una destinazione che bisogna scegliere volgendo consapevolmente le spalle al mare e dirigendosi verso l’entroterra dell’isola. Il paese, meno di 500 abitanti, sorge su una collina chiamata Monte Ruiu (vuol dire “monte rosso”) ed è circondato da rilievi vulcanici, le cui rocce nere o rossicce hanno più di due milioni di anni. La vista si distende in silenzio sui colli intorno, scrive Wislawa Szymborska nella poesia “Attimo”, Come se qui mai ci fossero stati cambriano e siluriano / rocce ringhianti l’una all’altra / abissi gonfiati / notti fiammeggianti / e giorni nei turbini dell’oscurità. La poeta polacca non parlava certo di Ittireddu, ma il contrasto tratteggiato nei suoi versi è calzante.
Sarà che non è più alta stagione, sarà che siamo molto lontani dagli itinerari turistici più battuti, ma il borgo e ciò che lo circonda sono davvero silenziosi, mentre la roccia e la natura raccontano di un passato remoto fiammeggiante e distruttivo. Tra i vari vulcani sardi, tutti non più attivi, quello del Monte Lisiri pare essere stato uno degli ultimi a smettere di eruttare, circa 100mila anni fa. Sfruttato come cava di pomice da alcuni decenni, oggi il Lisiri è un cono di roccia nera e rossa la cui ombra quasi si allunga sulle case di Ittireddu, tanto queste sorgono vicine. Un ampio sentiero scende in pochi minuti fino al cuore del vulcano, il punto più basso raggiungibile. L’Amministrazione comunale ha tra l’altro già usato questo luogo suggestivo per alcuni eventi, tra cui, nel 2021, uno spettacolo poetico e musicale sulla Divina Commedia. Quale posto migliore di un vulcano spento per riascoltare l’Inferno di Dante Alighieri?

A puntare con convinzione sulla cultura con questa e altre iniziative è dal 2015 il sindaco di Ittireddu, l’archeologo Franco Campus, responsabile in anni recenti anche del restyling del locale Museo Archeologico, una chicca di questo borgo. Nato una quarantina di anni fa, dopo il rinnovo è diventato un luogo moderno e accessibile, che volutamente si discosta dal vecchio concetto di museo archeologico. Avete presente le teche sterminate con decine e decine di frammenti che significano davvero qualcosa solo per gli addetti ai lavori? Campus, che ha curato il rinnovo, è andato in una direzione diversa: una selezione di reperti archeologici ragionata, spiegata e inserita nel più ampio contesto della storia della Sardegna e dell’intero Mediterraneo. E nelle vetrinette più basse, quelle ad altezza bambino, le illustrazioni sostituiscono le spiegazioni scritte: «Anche questa è accessibilità», dice Campus mentre, competente e appassionato, racconta le diverse sale del museo. Questo edificio probabilmente non esisterebbe se Ittireddu non avesse la fortuna di sorgere in un territorio che, pur con un’espressione abusata, si può davvero definire un museo a cielo aperto, dato che nei dintorni ci sono una quarantina di siti di interesse archeologico.

Resa fertile dai terreni vulcanici, la zona è stata abitata fin dal Neolitico. Ne sono testimonianza cinque necropoli per un totale di una sessantina di Domus de Janas (le tombe preistoriche scavate nella roccia tipiche della Sardegna prenuragica). Da segnalare anche il nuraghe a pianta complessa Funtana, con torre principale cui furono aggiunte poi altre due torri, e, di epoca successiva, il ponte romano a tre arcate (oggi ne restano due) che serviva ad attraversare il Riu Mannu. La fondazione del centro abitato come lo conosciamo oggi risale all’età bizantina ed è della stessa epoca il primissimo impianto della chiesa di Santa Croce, ancora oggi visibile nel centro storico di Ittireddu. Nelle campagne del paese si trova invece la chiesa di san Giacomo, che risale al XII secolo. Potreste trovarla aperta e addobbata a festa a fine luglio, quando gli abitanti del borgo celebrano il patrono Santu Jacu (San Giacomo, appunto) con processioni e pasti condivisi a base di pecora bollita con patate e cipolle.

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Dicevo che a Ittireddu non si arriva per caso, ma certamente uno dei modi più suggestivi per farlo è a piedi, con una lentezza che ben si addice a un territorio così lontano dalle località turistiche sarde più densamente frequentate. Il borgo è una delle tappe del Cammino di Santu Jacu, soprannominato il Cammino di Santiago di Sardegna sia per il santo in comune (Santiago è San Giacomo) sia perché questo cammino sardo può essere idealmente collegato al più celebre pellegrinaggio in terra spagnola. Il Cammino di Santu Jacu in Sardegna è stato ideato una quindicina di anni fa con l’intento di collegare i luoghi di devozione dedicati a San Giacomo Maggiore, come è appunto la chiesa campestre che si trova a circa un chilometro dal centro di Ittireddu. Il Cammino è un progetto ancora in crescita, ma i pellegrini che già oggi lo percorrono possono reperire informazioni e supporto presso l’associazione Amici del Cammino di Santu Jacu (amicidelcamminodisantujacu@gmail.com) e, tempo e gambe permettendo, attraversare verticalmente l’isola da sud a nord, ovvero da Cagliari a Porto Torres. Da qui, attraversando il Mediterraneo in nave, si può proseguire a piedi su una delle varianti del Cammino di Santiago, ad esempio quella che parte da Girona.