Il Gianicolo: il belvedere parlante e i mezzogiorni di fuoco

Considerato l’ottavo colle di Roma, il Gianicolo ospita una delle terrazze panoramiche più suggestive della città. Ma la dimora del dio Giano è anche sede di tradizioni bizzarre: dal cannone che ‘spara’ le ore al belvedere come ‘parlatorio’. Oggi vi portiamo tra i tramonti e le bizzarrie di questo luogo iconico della Capitale.

tramonto su Roma dal Gianicolo
Il tramonto romano visto dal Gianicolo ©Nick N A
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L’ottavo colle di Roma

Sebbene non sia compreso tra i famosi sette colli di Roma, il Gianicolo è un colle e sta a Roma: per qualcuno è l’ottavo. Si trova tra il Vaticano e i quartieri di Monteverde (residenza delle famiglie bene di sinistra), e Trastevere (culla delle bevute - e a volte delle risse - del sabato sera).

Il Gianicolo ha avuto da sempre una funzione difensiva, in particolare contro i Sabini e gli Etruschi, con cui i Romani si contendevano il predominio commerciale e politico sul Tevere.

Più recentemente - nel 1849 - il colle ha visto combattere le truppe di Garibaldi contro quelle francesi in una delle battaglie dell’Unificazione d’Italia, e nonostante la mancata vittoria a causa della netta minoranza numerica, gli aspiranti italiani hanno avuto il merito di un’incredibile tenacia.

Ecco perché c’è la statua di Garibaldi nella piazza antistante al Belvedere, e perché a costeggiare la cosiddetta Passeggiata ci sono i busti dei garibaldini.

Oggi al Gianicolo si va per ammirare lo skyline della città, fatto di cupole e campanili, tetti e terrazze, cupole e… abbiamo detto cupole? Essendo aperto tutto il giorno tutti i giorni si può scegliere liberamente quando andare; detto ciò, probabilmente il momento migliore è al tramonto, perché i tramonti romani sono di un rosa-fucsia-arancione che portano in un’antichità mistica o in un altrove futuristico. Dipende dai punti di vista.

La Passeggiata del Gianicolo è costeggiata da busti dei garibaldini © Teresa Lucente/Lonely Planet Italia
La Passeggiata del Gianicolo è costeggiata da busti dei garibaldini © Teresa Lucente/Lonely Planet Italia

Dal gradino al ‘parlatorio’

 A via de la Lungara ce sta ’n gradino

chi nun salisce quelo nun è romano,

e né trasteverino. 

Traduzione dal romanesco: in via della Lungara c’è un gradino. Se non l’hai mai salito non puoi dire di essere romano e né trasteverino. Il gradino di cui parla questo detto popolare è quello del carcere di Regina Coeli - letteralmente la Regina dei Cieli, - il carcere più antico della capitale, che sta a Trastevere. Per entrarci bisogna fare questo scalino, che poi sono tre, e se non li fai non sei un vero romano. Da lì per arrivare al Gianicolo (ar Gianicolo, per gli autoctoni) sono circa quindici minuti. Basta prendere via delle Mantellate e continuare a salire per ritrovarsi in paradiso, o quasi. Ma non sono solo pochi isolati a collegare il carcere al belvedere: sono le voci.

A’ Giù! È un maschietto! Però non l’ho chiamato come papà tuo! Nun me piaceva!

L’avvocato dice che tra un mese esci! Forse un anno!

Buon Natale Vincenzì! …Come chi è? So’ tu’ moje!

Essendo in linea d’aria a poche decine di metri dal carcere, la tradizione vuole che i familiari dei detenuti vadano sulla terrazza del Gianicolo - in particolare all’altezza del Faro - per comunicare con loro. Come? Urlando, ovvero sfruttando la naturale cassa di risonanza offerta dal colle e contando sul passaparola di chi sta alle celle d’angolo, affinché smisti la comunicazione alle celle vicine.

In realtà, si tratta di una pratica storica. Durante il ventennio fascista, infatti, molti partigiani riuscivano a far passare così le informazioni da fuori a dentro il carcere e viceversa.

Col tempo, le forze dell’ordine hanno tollerato l’uso del Gianicolo come ‘parlatorio’ purché si trattasse di comunicazioni urgenti… anche se l’urgenza potrebbe essere come la bellezza: soggettiva. Nel libro Era di maggio - da cui è tratta la serie Rocco Schiavone - Antonio Manzini descrive una conversazione tra una donna (al Gianicolo) e un uomo (in carcere) che fa più o meno così:

-   Aldo!, urla lei. Guarda che tu fijo ha preso tutti due sulla pagella!

- Digli che appena torno je faccio veni’ la voja de studia’ a cinghiate!

Prima che torni, tu fijo s’è laureato!

Quest’usanza è stata rappresentata anche in molti film: ad esempio Manolesta, con Tomas Milian, Scuola di ladri, con Lino Banfi, o La supertestimone, con Monica Vitti e Ugo Tognazzi. Per un periodo ha persino generato il lavoro dello ‘strillone’: trattasi di persona dalle corde vocali possenti che si offre per gridare messaggi ai carcerati.

Sebbene oggi la tradizione sia forse un po’ in disuso, continua a far riflettere. Perché mentre camminiamo con gli occhi incollati agli smartphone rischiando di finire sotto un’auto magari non pensiamo che a qualcuno è vietato l’accesso a Whatsapp, Instagram o Facebook, e che in generale non può sentire i propri cari quando ne ha voglia. Per fortuna c’è il Gianicolo.

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Il faro del Gianicolo © Teresa Lucente/Lonely Planet Italia
Il faro del Gianicolo © Teresa Lucente/Lonely Planet Italia

Mezzogiorno (romano) di fuoco

Le campane delle chiese hanno sempre segnato l’ora, anche se a volte lo hanno fatto - e lo fanno anche oggi - in modo poco ‘svizzero’: in ritardo o in anticipo. È per questo che il primo dicembre del 1847 papa Pio IX decise che almeno a Roma doveva esserci un orario ufficiale. Non più le campane, quindi, ma un unico colpo di cannone. Posizionato inizialmente a Castel Sant’Angelo e poi spostato a Monte Mario, nel 1904 il cannone segna-tempo ha trovato casa al Gianicolo, appena sotto il Belvedere.

Sebbene interrotta nel corso della Seconda Guerra Mondiale, questa pratica continua ancora (anche se in un paio di occasioni il cannone ha fatto cilecca, nel 2009 e nel 2020). Ogni giorno, alle 12 in punto, tre soldati caricano un obice a salve e sparano un colpo davanti a folle di turisti incuriositi. Forse nell’era digitale non c’è la reale necessità di segnare l’ora esatta con un colpo di cannone, ma abbiamo capito che il Gianicolo è terra di tradizioni un po’ particolari.

La Fontana dell’Acqua Paola, ovvero il fontanone, cantato anche da Venditti  © Teresa Lucente/Lonely Planet Italia
La Fontana dell’Acqua Paola, ovvero il fontanone, cantato anche da Venditti © Teresa Lucente/Lonely Planet Italia
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Il tempietto, il fontanone e i bambù

In cima al Gianicolo, oltre al Belvedere e al Faro ci sono altri punti di riferimento molto suggestivi.

Innanzitutto, la Chiesa di San Pietro in Montorio, costruita in un momento - nel XV secolo - in cui si riteneva che il colle fosse il luogo di crocifissione di San Pietro, cosa poi ritrattata dagli esperti ecclesiastici. La chicca di questa struttura è in ogni caso costituita dal Tempietto, un’opera architettonica - a forma di piccolo tempio circolare - in cui Bramante ha condensato un’idea di Rinascimento che più rinascimentale non si può.

Poco lontano c’è la Fontana dell’Acqua Paola, che ricorda quella di Trevi pur essendo molto più sobria dal punto di vista delle dimensioni e delle decorazioni. Le sue doti scenografiche sono comunque innegabili, tanto da aver ispirato cantanti e registi. Quando Venditti canta Roma Capoccia, o meglio quanto intona Quanto sei bella Roma quand’è sera, quando la luna se specchia dentro ar fontanone è proprio a questa fontana che si riferisce. Sorrentino invece l’ha scelta come sfondo, ne La Grande Bellezza, per la scena in cui un turista fotografa il panorama del Gianicolo e poi sviene. Forse per troppa bellezza.

Sulle pendici del colle c’è poi l’Orto Botanico di Roma, il cui ingresso si trova ai piedi, una volta scesi in zona Trastevere. Un tempo era il giardino dell’imperatore Settimio Severo, poi di Cristina di Svezia e infine della famiglia Corsini. Grazie all’architetto Ferdinando Fuga che nel Settecento ne ha ridisegnato gli spazi, l’Orto Botanico vanta oggi una convivenza perfetta tra le architetture (una vecchia serra, una scala monumentale e due fontane) e le specie vegetali (circa 2500). In particolare, immergersi nella foresta di bambù e tra i ciliegi del Giardino Giapponese - in fiore in primavera - può essere un’esperienza esteticamente e intimamente rigenerante, soprattutto se dopo si ha intenzione di tuffarsi nella mondanità trasteverina.

Tra i ciliegi del Giardino Giapponese dell’Orto Botanico di Roma © ValerioMei
Tra i ciliegi del Giardino Giapponese dell’Orto Botanico di Roma © ValerioMei

La casa del dio Giano

Il Gianicolo è stato prima di tutto - lo dice il nome - il colle sacro a Giano, antica divinità del Lazio raffigurata solitamente con due teste: una che guarda al passato e una al futuro. Ianus era un termine con cui gli antichi Romani indicavano gli archi e in generale gli elementi architettonici usati come collegamento tra due luoghi. Non sorprende che questo popolo amante delle vie di comunicazione avesse quindi divinizzato delle strutture… per comunicare. Giano è quindi il dio dei passaggi fisici, non a caso gli è stato consacrato il colle che simboleggiava una porta verso l’esterno della città.

Successivamente questi passaggi hanno acquisito anche un significato allegorico, e oltre alla sfera dello spazio il dio ha cominciato a governare la sfera del tempo: Giano è diventato il dio degli inizi, dei momenti di apertura di ogni ciclo naturale e umano, eppure anche di chiusura perché è bifronte: non gli sfugge niente! Forse non è un caso che il Gianicolo sia utilizzato ancora oggi per comunicare l’ora a tutta la città, o che metta in relazione chi è fuori con chi è dentro il carcere. Forse Giano vede e provvede tuttora.

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Il dolce sta in fondo… e pure il supplì

A questo punto della visita sarete stanchi e affamati perciò, eccovi pochi (ma buoni) punti di riferimento per rifocillarvi nei dintorni, in particolare a Trastevere. Qui di posti dove si mangia e beve bene ce ne sono davvero tanti ma noi ne segnaliamo solo alcuni tra quelli più accessibili ai portafogli, genuini e fast.

Bar San Calisto, nella piazza omonima: tale e quale a quando ha aperto, negli anni Sessanta. Si beve in piedi o seduti ai tavoli di plastica in mezzo a gente che non conoscete, ma che in breve tempo conoscerete.

La Renella, in via del Moro: un forno che è un’istituzione per la pizza al taglio. Si può ordinare un vassoio con pezzi di diversi gusti - dalla tradizionale ’pizza rossa’ alla versione più ardita con zucca o guanciale - e mangiare seduti agli sgabelli, tanto poi succede che di vassoio ne ordinate almeno un altro.

Ma che siete venuti a fà, dietro Piazza Trilussa. Specializzato in birre: ne ha millemila tipi, sempre diverse e, inutile dirlo, artigianali. Il nome è in realtà una domanda a cui rispondere: ad assaggiarle tutte.

Supplì Roma, in via di S. Francesco a Ripa, 137. Qui troverete dei supplì con condimenti tipicamente romani: all’amatriciana, al cacio e pepe, alla carbonara e al ragù di coda. Si prendono e si portano via, ma nel sacchetto dureranno ben poco.

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