Snowboard sul vulcano di Hokkaidō

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Sull’isola davanti alla costa settentrionale del Giappone lo sci è eccezionale, da mega-comprensori a santuari di backcountry in stile zen. Il monte Yoˉtei è al centro di questo mondo innevato, che ci ha raccontato l'autore Ben Mondy.

Il monte Yoˉtei innevato ©Jo Panuwat D  / Shutterstock
Il monte Yoˉtei innevato ©Jo Panuwat D / Shutterstock
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Mi sembra di stare sul bordo di una gigantesca tazza alta 1900 m e larga 700 m, piena della neve più leggera e asciutta del Giappone. Mi giro a guardare il mio amico Chris ‘Cones’ Jones, aggancio lo snowboard e pronuncio la citazione cinematografica che ho preparato per tutta la scarpinata di sei ore fin qui: “Nessuno sa niente. Facciamo questo salto e vediamo. Saltiamo e vediamo. Così è la vita”. Prima che lui possa ridere – o probabilmente brontolare – in risposta alla mia citazione di Meg Ryan dal film Joe contro il vulcano (il film con Tom Hanks visto fin troppe volte da studenti, una decina di anni fa), mi tuffo dentro il cratere dello Yōtei.

Sull’isola più settentrionale del Giappone, Hokkaidō, il vulcano dalla forma conica quasi perfetta mi chiama a gran voce da quando, due settimane prima, sono arrivato nella famosa località sciistica di Niseko. La mia prima curva frontside è lunga 45 metri, mentre sfreccio nella neve fresca fino alle ginocchia. Il secondo arco di backside è lungo il doppio. In questa parte di Hokkaidō è impossibile evitare il monte Yōtei in tutta la sua gloria.

Anche noto con il nome di Yōtei-zan (monte zoccolo di pecora) e Ezo-Fuji (vista la sua somiglianza col monte Fuji), questo vulcano semi-attivo, che ha eruttato l’ultima volta nel 1050 a.C., si erge dalla pianura a est del frenetico comprensorio di Niseko Mt Resort Grand Hirafu, composto da 4 stazioni diverse: il vulcano è lì in lontananza, catturando il vostro sguardo e inviando sbuffanti baci di neve farinosa nella vostra direzione. Sebbene tutte le stazioni sciistiche di Niseko abbiano incredibili fuoripista che riportano agli impianti di risalita, il monte Yōtei è molto meno affollato ed è un’avventura di puro sci backcountry. Non ci sono percorsi invernali segnalati o battuti sulla montagna. Non c’è nemmeno il controllo delle valanghe. È un tipo di esperienza sciistica completamente diversa dal resto di Hokkaidō. Oggi abbiamo con noi la nostra guida, Owain Bassett. Il gallese è un residente di lunga data di Niseko e fondatore del marchio Island Snowboards. Sebbene ci siano cinque percorsi consolidati sul versante orientale del vulcano, che offrono il miglior accesso e la migliore qualità della neve, Bassett ha deciso che la Jinja-no-sawa (nota anche come ‘Percorso del cimitero’) era la nostra migliore opzione.

Lo Yōtei è un vulcano dalla forma conica quasi perfetta ©Richard Whitcombe  / Shutterstock
Lo Yōtei è un vulcano dalla forma conica quasi perfetta ©Richard Whitcombe / Shutterstock

Ci incontriamo nei pressi del cimitero di Makkara alle 6.30 del mattino, un inizio suggestivo, quasi spirituale, che dà il via a una bellissima escursione di 90 minuti attraverso la foresta di betulle giapponesi che ricopre le pendici del monte. Al limite superiore della foresta, il terreno si apre nella serie di incredibili radure – e di neve non battuta – che attraverseremo durante la discesa. Man mano che si guadagna quota, la vista rivela un mosaico di foreste, terreni agricoli e villaggi che lascia il posto alle acque del lago Tōya e del Mar del Giappone, scintillanti sotto il sole invernale appena sorto. Non ci sono sentieri segnati, quindi seguiamo le tracce degli scarponi degli sciatori che hanno iniziato la giornata ancora prima di noi.

Poco prima della fine della linea degli alberi, a circa 1300 m sul livello del mare, ci sediamo per riposare e pranzare. Avevamo già trascorso una settimana a percorrere le piste battute e le infinite discese tra gli alberi in neve fresca dei comprensori di Niseko, ma la camminata di tre ore si rivela comunque faticosa. Gli onigiri, polpette di riso triangolari con salmone e costine di manzo, sono assolutamente deliziosi e ne abbiamo un disperato bisogno. Bassett ci spiega che siccome la neve migliore si trova sotto la soglia dei 1200 m, la gente del posto preferisce scendere da qui per sciare tra gli alberi. L’ascesa alla cima, ci avverte, sarà fredda, ripida e ventosa, e nel tratto finale avremo più da arrampicarci che da camminare. Ma noi vogliamo la cima.

Mentre proseguiamo, osserviamo un paio di snowboarder giapponesi lanciarsi giù da un canalone proprio sopra di noi. Hanno tavole corte e a coda di rondine e aggirano gli ostacoli di Yōtei con stile, grazia e fluidità, disegnando lunghi archi che generano a ogni curva nuvole di fumo bianco. Riconosciamo subito quello stile giapponese detto snowsurfing, che incorpora elementi del surf e dello skating, iniziato dalla leggenda locale Taro Tamai. Tamai, nato a Tōkyo nel 1962, è cresciuto in una famiglia di sciatori. A diciott’anni divenne anche un surfista appassionato e quando vide un film su uno sciatore dello Utah che cavalcava una tavola simile a quella del surf seppe subito che cosa sarebbe diventato. Cominciò a praticare lo snowboard negli anni ’80 e divenne il primo professionista giapponese e campione nazionale. In quel decennio fu tra i primi a surfare su cime giapponesi e non, tra cui il monte Yōtei e altri in Alaska, Mongolia, Russia, Ecuador, Uzbekistan, Perù e Argentina. A fine anni ’90 fondò il suo brand, Gentemstick. La tecnica manuale e la tavola più larga e più corta cambiarono il modo in cui la gente affrontava la neve fresca. “Sento che non ci sono limitazioni allo snowsurfing”, Tamo disse una volta sui suoi metodi. “Vado in montagna quando nevica e nell’oceano quando ci sono le onde giuste, tutto qui”. Tra l’altro, anche le tavole di Bassett sono fatte a mano, dal legno di honoki di Hokkaidō, e disegnate specificamente per scivolare sulla neve polverosa giapponese detta JaPow.

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Vedere gli snowboarder fendere la neve ci dà proprio l’ispirazione che ci vuole per l’ultimo tratto dell’escursione. Bassett aveva ragione – è dura. Senza alberi, il vento siberiano penetra attraverso le giacche. Eppure solo in cima posso davvero apprezzare le proporzioni epiche del vulcano. Bassett ci spiega che se scendiamo nel cratere, poi dobbiamo risalire a piedi fino all’orlo per ridiscendere alle auto. Con cielo sereno e il tempo dalla nostra parte – e la mia citazione da Joe contro il vulcano sulla punta della lingua – sembrava una follia non scivolare sul cratere. Ma quel minuto di gioia sfrenata avrebbe giustificata la successiva mezz’ora di ulteriori dolori alle gambe durante la camminata di ritorno? Una volta tornato sano e salvo sul bordo della ‘tazza’, la risposta è stata ovvia. La seguente mezz’ora è la migliore della mia vita su uno snowboard. Anche se la parte in alto e senza alberi ha uno strato crostoso, appena passiamo il punto del pranzo le condizioni della neve diventano praticamente perfette. Bassett fa strada, consentendoci un carving ampio, ma sempre in vista delle tracce a piedi. Sapeva di sciatori sopraffatti dall’infinità di neve fresca e così presi da ritrovarsi in canaloni senza uscita da cui bisognava uscire a piedi. Bassett sa come muoversi e, alla fine, dopo aver ricevuto più neve in faccia di quanto chiunque si meriti, riusciamo a tornare al cimitero e alla macchina. Nel giro di 10 minuti abbiamo due gigantesche argentee lattine di birra Sapporo fredda in mano e ci immergiamo nella sorgente termale esterna gensen kakenagashi alle Makkari Onsen. “Mi chiedo: dove finiremo?”, dice Cones, citando la penultima battuta del film Joe contro il vulcano. Al che rispondo: “Lontano dalle cose umane, amore mio. Lontano dalle cose umane”

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