Il miglior campo base del Colorado

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La rete di rifugi 10th Mountain Division, sulle Montagne Rocciose, è motivo d’orgoglio per il Colorado. La storia vuole che i fanti del 10th Mountain utilizzarono le montagne inospitali intorno a Camp Hale, Colorado, per prepararsi a combattere sulle Alpi italiane. Durante la guerra scoprirono il sistema europeo dei rifugi, che in seguito cercarono nostalgicamente di riprodurre nel luogo del loro addestramento. Fu il veterano del 10th Mountain Fritz Benedict che all’inizio degli anni ’80 ebbe l’idea di una serie di rustici rifugi per sciatori sulle montagne tra Aspen e Vail, distanti tra loro da 10 a 13 km e collegati da sentieri di sci backcountry. E la nostra autrice Becky Ohlsen ha provato l'esperienza diretta di raggiungere il primo della lista: il Sisters Cabin.

I fanti del 10th Mountain si prepararono sulle montagne intorno a Camp Hale, Colorado ©Danita Delimont /Shutterstock
I fanti del 10th Mountain si prepararono sulle montagne intorno a Camp Hale, Colorado ©Danita Delimont /Shutterstock
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Ci sono volte in cui è meglio dire solo sì, anche se non sei sicuro di farcela. È quello che mi sono trovata a fare molte volte con mio fratello Karl. L’inverno scorso, Karl mi ha invitata a un’escursione di sci backcountry a uno dei famosi rifugi 10th Mountain Division, una rete di baite nella natura più remota del Colorado istituita per commemorare un battaglione di fanteria alpina che durante la seconda guerra mondiale si era addestrato qui, sulle Montagne Rocciose. I rifugi 10th Mountain sono perlopiù spartane strutture in legno situate ben al di sopra dei 3000 m, equipaggiate con semplici cuccette, una stufa a legna e un gabinetto esterno, senza acqua corrente o elettricità. Li si raggiunge con gli sci o le ciaspole salendo per chilometri su sentieri ripidi e accidentati attraverso aree lontane da tutto e portando sulle spalle uno zaino appesantito da cibo, bevande, vestiti e sacco a pelo. 

Karl, sua moglie e un gruppo di amici super in forma hanno fatto queste escursioni ai rifugi per anni e io ho spesso fantasticato di unirmi a loro. Ma sono per gente tosta e io non lo sono. Gli amici di Karl sono tipi da 80 km in bicicletta su per un valico montano prima di colazione. Io vivo a livello del mare, sono una brava sciatrice di discesa, ma dev’esserci una seggiovia. Temevo che sarei rimasta indietro, mi sarei persa e sarei morta congelata nei boschi, oppure che non ce l’avrei fatta a finire il percorso. Mi sentivo così intimidita che stavo per rifiutare l’invito. Finché non ho pensato che, se mai avessi voluto farlo, questo era l’anno giusto. Avevo vissuto in alta quota per un paio di mesi a causa della pandemia e il rifugio in questione sembrava essere relativamente accessibile. Sisters Cabin si trova a 3500 m d’altitudine, quindi ero sicura che non sarebbe stato facile, ma la distanza (6 km) mi pareva ragionevole. 

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La sfida di questo viaggio ai rifugi in realtà comincia un anno prima, quando si cerca di prenotare. I rifugi 10th Mountain sono riservati attraverso un sistema di estrazione casuale, e quest’anno il gruppo di Karl è stato fortunato: ha ottenuto una prenotazione di tre notti alla Sisters Cabin. È il più nuovo e il più lussuoso: soffitti alti e travi in legno, finestre panoramiche, veri materassi sulle cuccette, una stufa a legna nel soggiorno, bagni interni con toilette compostanti, persino una sauna a legna. E da quello che avevo sentito da Karl sui loro passati viaggi ai rifugi, potevo aspettarmi anche tre serate con cene da gourmet, whisky invecchiati, pantofole morbide, altoparlanti bluetooth e bacon a volontà.

Quando il mattino del viaggio arriviamo all’inizio del sentiero, tutti cominciano subito a fasciarsi i piedi per evitare le vesciche. Facciamo un po’ di stretching, andiamo ai servizi e poi fissiamo sci e zaini. Non ci metto molto a subire le conseguenze del mio primo errore. Ho ignorato il consiglio di Karl di noleggiare sci da backcountry o una splitboard con scarponi appositi, che consentono di passare dal tallone libero a quello fisso (che serve quando ci sono tante discese e traversi, quanto salite). Ho portato invece i miei leggeri e comodi sci da fondo che hanno sempre il tallone libero (uno del gruppo li definisce ‘stecchi mortali’). Ho fatto anche tagliare pelli di foca su misura. Sembrano lunghe pantofole in pelliccia attaccate sotto gli sci e i peli rivolti verso il retro fanno presa sulla neve in salita mentre consentono di scivolare in discesa. Per i primi chilometri si va su facilmente, considerato che siamo partiti da 3100 m. La traccia segue una larga massicciata che porta alla miniera Sallie Barber. Da lì, svoltiamo bruscamente e saliamo per un singletrack da mountain bike chiamato Nightmare on Baldy. Ancora mi sento bene e seguo i piccoli diamanti blu che segnano il sentiero un tornante dopo l’altro attraverso bei boschi innevati. Comincia persino a nevicare.

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Ci metto quattro ore a raggiungere il rifugio, in parte a causa dell’altitudine, in parte perché andar su con pelli di foca per me è una novità, soprattutto tenendo in equilibrio uno zaino pesante e inclinato – sorprendentemente faticoso quando i piedi sono bloccati in posizione da sci. In un tratto più ripido, osservo uno che ha una splitboard da backcountry sollevare gli alzatacco così da compensare l’inclinazione del pendio e alleviare la pressione sui polpacci. Nessun aggeggio del genere sui miei sci da fondo… L’ultimo chilometro è uno sforzo immane e quando finalmente zoppico nello spogliatoio del rifugio sono esausta. In questi viaggi per rifugi è importante che i tuoi compagni siano, oltre che buoni sciatori, anche buoni cuochi e barman. Sono vent’anni che questo gruppo di amici va per rifugi e hanno tutto sotto controllo. Appena arrivo, Andrea stacca le pelli dai miei sci e le appende ad asciugare vicino al fuoco, che sta già crepitando grazie ai più atletici del team. Mia cognata prepara un giro di cocktail. Per tutto il nostro soggiorno ci si dà il turno a offrire snack, aggiungere legna al fuoco, riscaldare la sauna, prendere l’acqua dalla cisterna o da un banco di neve.

C’è qualcosa di magico quando ci si sveglia con un fresco manto di neve, gli alberi gelati che scintillano al sole e l’unica cosa che si ha da fare è scivolare su intonsi e perfetti cuscini di neve fresca. Ogni mattina inizia con un caffè e molte calorie. Poi usciamo per fare qualche discesa, o dal crinale sopra il rifugio o sui prati intorno. Il pomeriggio mettiamo ad asciugare pelli e calze bagnate vicino al fuoco e passiamo alle pantofole o andiamo in sauna. 

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Per chi prende sul serio queste escursioni nei rifugi i pasti sono importanti quanto saper come buttarsi per un couloir. La cosa più difficile, spiega Tim, è misurare gli ingredienti con precisione in modo da avere quel che serve per sfamare il gruppo senza aggiungere peso extra allo zaino. Non so quanto pesassero i loro zaini, ma le meraviglie culinarie che ne sono emerse sono impressionanti. Tim ed Erica servono ravioli fatti in casa, bistecca, insalata verde e salmone affumicato come antipasto. Rob e Andrea rispondono la sera dopo con un complesso pozole (zuppa speziata). Nei momenti di riposo me ne sto appollaiata in un angolo della finestra accanto alla stufa a leggere o a guardare il sole che tramonta sul Breckenridge. La sera facciamo giochi di società o un puzzle. Karl alla fine osserva che la Sisters Cabin è forse troppo lussuosa per un giro dei rifugi come si deve. Dove, è vero, c’è sempre qualcuno che soffre: in genere gli inesperti troppo ambiziosi che faticano troppo o quelli che sottovalutano gli effetti esponenziali che l’altitudine può avere su una sbornia…

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Stati Uniti d’America
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