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Piemonte

Monferrato, un mondo di tesori sopra e sotto terra

7 minuti di lettura

Nel sud del Piemonte, tra la collina torinese e l’Appennino Ligure, nelle province di Asti e Alessandria, il Monferrato è una terra dalle origini leggendarie ricca di tesori che regalano ai visitatori infiniti motivi d’incanto. Per scoprirli, non basta perdersi tra il mare di colline che ne disegnano il profilo alla ricerca di borghi e castelli nobiliari appollaiati sui cucuzzoli, pievi romaniche sorte nel Medioevo in prossimità di villaggi campestri e profumi di vino, funghi e tartufi pregiati. 

Le colline del Monferrato © Maurizio Milanesio
Le colline del Monferrato © Maurizio Milanesio
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Ma ci si deve intrufolare oltre le porte di un enorme laboratorio di restauro per scoprirei i segreti di una dinastia di tecnici d’avanguardia al servizio dell’arte dal 1947, o calarsi nelle viscere della terra per ammirare le Cattedrali Sotterranee del vino di Canelli e gli Infernot del Basso Monferrato, capolavori architettonici di talentuosi scultori monferrini rimasti per lo più anonimi nel tempo, ma considerati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. 

L’abbazia di Santa Maria di Vezzolano nei pressi di Albugnano ©  Stefy Morelli
L’abbazia di Santa Maria di Vezzolano nei pressi di Albugnano © Stefy Morelli

Un bianco mantello di chiese

A ridosso dell’anno Mille, tra le morbide ondulazioni del Monferrato astigiano e alessandrino, gli uomini del Medioevo si adoperarono per rendere tangibile la loro rinnovata fede, dopo le catastrofiche attese di fine millennio, attraverso l’edificazione di preziose pievi romaniche di campagna valorizzate da un cospicuo patrimonio di sculture e affreschi medievali, attestazioni di raffinata cultura e devozione popolare. 

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L'interno dell’abbazia di Santa Maria di Vezzolano © Cinzia Rando / Lonely Planet Italia
L'interno dell’abbazia di Santa Maria di Vezzolano © Cinzia Rando / Lonely Planet Italia

Tra queste primeggia per importanza l’abbazia di Santa Maria di Vezzolano nei pressi di Albugnano, un inno all’architettura romanica astigiana del XII-XIII secolo ravvivata nella facciata dall’alternarsi del rosso del cotto e del bianco-giallo dell’arenaria. Con questo materiale reperibile in loco e facilmente lavorabile furono realizzati colonne, capitelli, sculture e il bel bassorilievo del portale che raffigura la Vergine in trono e lo Spirito Santo sotto forma di colomba che le sussurra dolci parole all’orecchio. La Vita di Maria è anche al centro della decorazione a bassorilievo del rarissimo e superlativo pontile, o jubè, che attraversa la chiesa all’altezza della prima campata, gremito d’incredibili e un tempo colorati dettagli, e dell’altare in cotto della fine del XV secolo sovrastato da un trittico quattrocentesco in terracotta policroma.

Vanto dell’antichissimo borgo di Sezzadio, nel Monferrato Alessandrino, è invece l’abbazia romanica di Santa Giustina, il cui interno, spoglio e solenne, è ravvivato nell’abside da un drammatico Giudizio Universale, che sovrasta le più raffinate scene della Passione di gusto gotico-cortese. Al tempo del fondatore longobardo Liutprando si fa risalire la bellissima cripta che si apre sotto il presbiterio, scandita da esili colonne che poggiano su un pavimento a mosaico a tessere bianche e nere.

Il piccolo borgo di Aramengo © Dr. Kacie Crisp
Il piccolo borgo di Aramengo © Dr. Kacie Crisp
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Il laboratorio delle meraviglie

Sembra incredibile, ma nel minuscolo paese di Aramengo, nel nord Astigiano, ha sede tra boschi e campagne uno dei più prestigiosi laboratori di restauro del mondo, avviato da Guido Nicola con la moglie Mariarosa nel dopoguerra e, com’era uso nel Rinascimento, portato avanti negli anni con l’aiuto di figli, generi, nuore e nipoti, una dinastia di restauratori specializzati in ogni singolo settore dell’arte. Entrare nel laboratorio di Aramengo, una odierna “camera delle meraviglie” di 3500 metri quadri, è un’esperienza straordinaria per gli appassionati d’arte, che possono trovarsi a tu per tu con una tela di Tiziano e Veronese, Rubens e Van Gogh, con un sarcofago egiziano o un’icona russa. E comprendere quali e quante fasi d’intervento (prime fra tutte le indagini all’ultravioletto, al videomicroscopio e all’endoscopio a fibre ottiche) sono necessarie per restituire alle opere la freschezza e la naturalezza delle forme e dei colori originali, spesso compromessi dall’usura del tempo e da passati restauri invasivi (visita su prenotazione).

Gli "infernot", ricavati scavando a mano la pietra da cantone sotto le proprie abitazioni © Paolo Bernardotti Studio
Gli "infernot", ricavati scavando a mano la pietra da cantone sotto le proprie abitazioni © Paolo Bernardotti Studio

I paesaggi vitivinicoli e gli infernot

Parlare di Monferrato significa anche e soprattutto parlare dei suo vini (Barbera, Freisa e Moscato, Dolcetto e Grignolino, Ruchè e Brachetto d’Acqui) e dei suoi paesaggi vitivinicoli, inseriti dall’Unesco nella lista del Patrimonio dell’Umanità. Fanno parte di questi “scenari” monferrini i filari di vite che risalgono i colli fino a incidersi nel cielo e, in cima, le panchine giganti dell’americano Chris Bangle. Ma anche le Cattedrali Sotterranee di Canelli, cittadina dalla doppia vita immersa tra le colline del Monferrato astigiano. Sotto il suo asfalto si nascondono infatti chilometri di gallerie e ampie sale di mattoni dai soffitti a volta scavate nel tufo dagli enologi dell’800 per vinificare e invecchiare le uve moscato al fine di ottenere un bianco frizzante capace di eguagliare lo champagne francese: l’Asti Spumante. Oggi le cantine di Canelli aperte al pubblico su richiesta sono quattro: Bosca, Coppo, Contratto e Gancia, e ognuna arricchisce di sapore il girovagare con degustazioni, racconti, suggestivi scorci di archeologia industriale e tanta cultura enologica. 

Basta d’altronde fare qualche chilometro e spostarsi nella zona del Casalese, per scoprire altri capolavori d’architettura vinicola nascosti nel sottosuolo, gli infernot, testimonianze riposte di una tradizione contadina rimasta a lungo senza voce. Chiamati in molti paesi anche crutin, gli infernot sono piccoli spazi ipogei realizzati dai vignaioli nei mesi invernali con l’aiuto di qualche cavatore scavando a mano la pietra da cantone sotto le proprie abitazioni. Uno diverso dall’altro, secondo la fantasia e il gusto personali, hanno ripiani e nicchie in pietra per conservare le bottiglie più preziose e tavoli, sempre in pietra, per trascorrere qualche ora in compagnia degli amici. Purtroppo la maggior parte sono privati e vengono aperti al pubblico solo in occasione di eventi culturali ed enogastronomici; sempre aperto la domenica o su prenotazione è invece l’Ecomuseo della Pietra da Cantoni di Cella Monte, un museo diffuso che narra la storia di questo particolarissimo materiale edile e, appunto, degli infernot.

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La bellezza del Monferrato dall'alto © Paolo Bernardotti Studio
La bellezza del Monferrato dall'alto © Paolo Bernardotti Studio

Acqui Terme, un’oasi di relax tra le colline

Un’invidiabile combinazione di benessere, arte, storia antica, prelibatezze gastronomiche, charme e vocazione all’ospitalità vi aspetta ad Acqui Terme, cittadina al margine sud-occidentale della Provincia di Alessandria attraversata dalla Bormida. A rendere famose le sue acque salso-bromo-iodiche, dai poteri curativi, furono i Romani, che vi edificarono almeno tre impianti termali (ora rimangono i resti di una piscina di epoca imperiale in Corso Bagni) e un gigantesco acquedotto dell’inizio del I secolo d.C. che ancora oggi mostra orgoglioso le sue arcate grandiose. Un rito da non mancare, prima di tuffarsi in una piscina termale, è quello di recarsi nell’ottocentesca piazza della Bollente, e di toccare senza bruciarsi l’acqua che sgorga a 75° da un’edicola a forma di tempio greco i cui vapori si diffondono nell’aria creando uno scenario quasi surreale. 

Ricordi di un turismo d’antan aleggiano in Piazza Italia intorno al Grand Hotel Nuove Terme, dalla facciata in stile liberty, frequentato nel secolo scorso dal gotha internazionale, compreso Winston Churchill e i Reali d’Europa.

Andate in cerca di tartufi nel Monferrato © Antonella Osella
Andate in cerca di tartufi nel Monferrato © Antonella Osella
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A Bergamasco, in cerca di tartufi

Nel Monferrato l’autunno è anche la stagione dei tartufi bianchi, da cercare e degustare con l’aiuto del cane e del trifulau, che ne rivela profumi e segreti. Un paese dell’Alessandrino dove la raccolta risulta in genere proficua è Bergamasco, piccolo borgo agricolo circondato da boschi e campagne. Qui nelle notti autunnali e d’inizio inverno i cercatori sguinzagliano i loro cani addestrati con tanta abilità e pazienza alla ricerca del prezioso e profumato tubero che Alexandre Dumas ha definito “il Sancta Sanctorum” della tavola, arrivando a pesare in certi casi anche 1 kg e più. Se volete provare l’emozione di "andar per tartufi" in compagnia di un trifulau esperto, consultate il sito del Comune. Alla fine dell’avventura, potrete magari assaggiarlo sopra un pezzetto di robiola di Roccaverano o su una superlativa battuta di carne cruda di bue grasso, un’altra eccellenza di cui il paese va fiero. Due sono le macellerie consigliate per gli acquisti, la Cooperativa Agricola in via XX settembre 29/a, che vende le carni allevate personalmente nelle stalle dei soci, e la pluripremiata Macelleria Guastavigna di Piazza Barberis 5, tra le 100 migliori d’Italia, fondata nel 1938 e vincitrice d’innumerevoli premi nelle diverse edizioni della prestigiosa Fiera del Bue Grasso di Carrù.

Bergamasco possiede inoltre un antichissimo Palazzo Marchionale, documentato sin dal 1014, che per cinque secoli fu un’importante roccaforte del Marchesato d’Incisa e successivamente passò nelle mani dei Gonzaga-Nevers di Mantova, dei marchesi Moscheni, che lo trasformarono in un maniero residenziale, e quindi dei Savoia. Dagli anni Sessanta del ’900 il palazzo appartiene all’architetto e scenografo Carlo Leva, e riflette nel restauro degli affreschi, negli arredi e nei dipinti da lui realizzati, la sua poliedrica ed eccentrica personalità. Passando da una stanza all’altra, troverete sparsi qua e là le tavole disegnate per le scenografie dei film girati con Sergio Leone, Dario Argento e Dino Risi, oggetti, costumi, fotografie di attori, cimeli della storia del cinema e tanti ricordi di viaggio appesi alle pareti. Prima di lasciare il paese, merita infine una sosta la Chiesa di San Pietro, che conserva un commovente Crocifisso ligneo del XV secolo, l’altare barocco e una ricchissima collezione di ex voto. 

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