A Triora tra stregoneria e carrugi
Lo chiamano “il paese delle streghe”. Se ne sta lì, in cima alla Valle Argentina imperiese, aggrappato alla cresta e sovrastante la strada, con le sue case pietrose strette le une alle altre, finestrelle chiuse o aperte con griglie in legno sbilenche e quell'aria austera che hanno i luoghi d'altri tempi. Triora è così, un paese sospeso, in bilico sulla montagna, sul tempo e sulla sua stessa storia: con pochi abitanti (ma in crescita) e sempre più turisti, è soprattutto un piccolo angolo d'entroterra ligure ancora carico di suggestioni e vibrante di passato. Ecco cosa vedere durante un weekend in Liguria, magari dopo aver visto Sanremo, se passate a Triora.
Attrattiva dark
Il nome Triora deriva dal latino “tria ora”, cioè tre bocche, ma l’interpretazione è ambigua: per alcuni richiamerebbe il cerbero a tre teste raffigurato sullo stemma, per altri corrisponderebbe ai tre fiumi – Argentina, Nervia e Tanaro – le cui sorgenti ricadono nel territorio comunale. Già, perché la prima cosa da sapere su Triora è che il suo territorio comunale è il più vasto della provincia di Imperia: si estende su quasi 70 chilometri quadrati e ospita un gran numero di frazioni e borgate, sbriciolate tra i boschi e i pendii della valle. Sito a 780 metri nella Valle Argentina che digrada dal massiccio del Saccarello (il più alto della Liguria), Triora è abitato stabilmente da poche centinaia di persone - che diventano molte di più nei mesi estivi, nei weekend e a cavallo delle numerose ricorrenze organizzate nei carrugi e nelle piazzette dell’abitato – e racchiude in sé tutta l’essenza del ponente ligure: la montagna così vicina al mare (dopotutto li separano poco più di 30 chilometri in linea d’aria), la natura alpina contrapposta all’aria che talvolta profuma ancora di salmastro, accrocchi di case romantici e severi, ricordi di frontiera tra italici regni e dei tempi in cui tra queste vallate si scrivevano pezzi di storia, e su tutto, oggi, un vaghissimo senso di perdita e di malinconia, come di consapevolezza che tutto è cambiato e cambierà ancora. Passare da Triora significa incontrare un paese che s’è fatto borgo, s’è messo in ghingheri e ha aperto la sua anima antica e rurale ai turisti di passaggio e a chi ricerca suggestioni un po’ dark.
La seconda cosa da sapere su Triora, infatti, è che le streghe c’erano per davvero. Di questo, almeno, erano convinti coloro i quali tra il 1587 e il 1588 imbastirono il processo che portò all’incarcerazione e all’incriminazione per stregoneria di diverse donne triorasche, processo che fu antecedente (e anche più cruento) alle ben più celebri persecuzioni alle streghe di Salem negli Stati Uniti e di Louden in Francia e che oggi, a distanza di secoli, oltre a essere un evento storico caratterizzante il paese ne è anche diventato l’attrattore turistico.
E non senza una ragione: saranno gli archi di pietra tra le case torreggianti, i carrugi sconnessi che si srotolano e annodano tra gradini e porticine e tra vasi di fiori e gatti bizzosi, le finestrelle dalle ante in legno come piccoli occhi scrutatori, oppure lo sconcerto di perdersi e ritrovarsi continuamente nel dedalo di vicoli... Fatto sta che passeggiando a Triora è facile cadere preda della suggestione e, perché no, anche di un pizzico di superstizione.
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Musei, chiesette e luoghi di stregonerie
E allora seguiamola, questa superstizione, e andiamo alla scoperta dei luoghi delle streghe, le bàgiue nel dialetto locale, povere donne su cui ricadde lo stigma di una lunga siccità che aveva affamato la valle e inaridito i campi per anni. Di questa eredità si sono fatti carico a Triora ben due musei: il Museo Etnografico, che raccoglie oggetti della vita rurale e contadina triorasca così come testi, documenti e approfondimenti sul processo per stregoneria, e il MES – Museo Etnostorico della Stregoneria, sito nelle sale ristrutturate del Palazzo Stella, nel centro del borgo.
C’è poi la possibilità di visitare la Cabotina, la località alle spalle del borgo dove, secondo le storie, le streghe si ritrovavano per condurre i loro riti, e da dove si può percorrere il cosiddetto “sentiero delle streghe”, una bellissima passeggiata nei boschi della valle Argentina: a dire il vero di stregonesco alla Cabotina c’è poco, se non una piccola ricostruzione, ma il panorama sulla valle e sugli abitati di Corte e Andagna vale la passeggiata. Altri luoghi che meritano senz’altro una visita sono la piccola chiesetta di San Bernardino (situata poco fuori dal centro abitato, si può visitare chiedendo la chiave al custode del museo Etnografico per godere degli splendidi affreschi risalenti al XV secolo), la Collegiata di Santa Maria Assunta nel cuore del borgo e il Castello, edificato tra il XII e il XIII secolo e sito in posizione panoramica sull’abitato di Triora.
Eppure, forse, c’è un unico modo per assaporare la sottile magia di Triora: mettere via la cartina (tanto non serve, tra i carrugi) e smarrirsi, lasciandosi guidare dai propri passi alla scoperta dei meandri nascosti del paese, delle sue cappelline votive e degli intarsi di ardesia, per poi sedersi con rinnovato appetito a uno dei due ristoranti locali dalla cucina rigorosamente casalinga e ligure. Ovviamente, senza perdere un salto al negozio di prodotti tipici locali, La Strega di Triora, vero e proprio tempio di bontà a chilometro – anzi, metro! - zero.
Uno sguardo ai dintorni
Triora è borgo, dicevamo, ma è anche i suoi splendidi dintorni. Prendete le sue borgate, ad esempio: Bregalla, Cetta, Creppo, Goina, Loreto (con il suo altissimo ponte usato per il bungee jumping), Monesi, Realdo, Verdeggia e Saccarello punteggiano il circondario, ciascuna con la sua storia e le sue peculiarità. Salendo ulteriormente nella valle, ad esempio, si trovano i due abitati di Verdeggia e Realdo, piccoli e suggestivi - soprattutto quest’ultimo, costruito sul ciglio di un’enorme falesia rocciosa e a cui deve la denominazione di Ca’ da Roca - e appartenenti alla Terra Brigasca, area geografica e linguistica a cavallo tra Francia, Liguria e Piemonte, dalla storia recente travagliata e in cui si parla ancora oggi una lingua diversa, il brigasco, appunto.