L'appetito di viaggiare: benvenuti in Slovenia.
Qualche giorno fa, mentre ero in smart working a casa suona il citofono: “Un pacco per lei. Dalla Slovenia.” Lo ritiro e sulla scatola c’è il grande marchio che riconosco subito: Hisa Franko. Chiamo moglie e figli, come fosse Natale, e apriamo. Profumo di fieno, la scatola ne è piena, e in mezzo all’erba una teoria di vasetti: formaggio di fossa, noci speziate, cracker ai semi, mou di latte di montagna. Scoperchiamo i barattoli, chiudiamo gli occhi e in una fantasia collettiva torniamo ad agosto, tra le cascate, le rocce e la vegetazione lungo l’Isonzo, quand’eravamo in cerca d’avventura in attesa di sederci alla tavola di Ana Ros.
L’alta cucina radicata nella natura
Facciamo un passo indietro. Nell’estate del Covid dissi a mia moglie: “Sarebbe meglio fare un viaggio non distante, andando in mezzo alla natura, evitare luoghi affollati”. A lei sembrò molto ragionevole, in realtà era solo una scusa per tornare da Hisa Franko, uno dei migliori ristoranti che conosca.
La Slovenia era una soluzione win-win: per la famiglia c’erano foreste, avventura, semplicità, per me grande cucina, vini minerali e posti rustici, che sono la mia passione. Così, una sera d’agosto, dopo aver portato i bambini al parco delle gole di Tolmin, tra ruscelli e passerelle sospese, eccoci a Kobarid (l’ex Caporetto), seduti a “Casa di Franko”: Hisa è appunto “casa” e Franko è il padre di Valter Kramar, sommelier e marito della chef. Fu lui ad aprire qui un ristorante semplice che, nel 2020 nella prima edizione della Guida Michelin Slovenia, è diventato il primo due stelle del Paese. La cuoca Ana Ros è un’icona: Netflix le ha dedicato una puntata di Chef’s Table; la classifica 50 Best Restaurants l’ha nominata miglior “female chef” del mondo.
Ma tutto questo non sarebbe successo se non fosse una donna totalmente fuori dall’ordinario. “Credo che la cucina sia una simbiosi di tre elementi – scrive sul menu –: il territorio, la stagione e la personalità dello chef.” E la cena che segue è un viaggio nel paesaggio qui attorno: le trote (protagoniste di una “trilogia”, il mio piatto preferito) vengono dall’acqua che scorre fuori, il capriolo stava in queste foreste come le api che hanno fatto il miele del garum e pure i funghi selvatici. Non c’è albicocca, non c’è maialino da latte (di Krskopolje), non c’è agnello (di Dreznica), non c’è vino che non racconti la Slovenia. Lo so perché due anni fa ho passato tre giorni con Valter tra contadini, vacche, prosciutti crudi invecchiati cinque anni e sbronze apocalittiche.
Cultura rurale, prodotti veri
Nel 2018 Valter mi caricò in macchina e per tre giorni mi portò tra produttori di vini, formaggi e grappe. 72 ore vissute pericolosamente ma potenti. La Slovenia gastronomica è come l’Italia più vera: non ancora travolta dall’omologazione, disseminata di produttori minuscoli in altrettanti minuscoli borghi, ma pure capace di esprimere – soprattutto nel vino – eccellenze planetarie.
Cominciammo assaggiando le birre artigianali che Valter produce e serve da Hisa Polonka – la birreria che hanno in centro a Kobarid –, dunque arrivammo nel minuscolo villaggio di Smartno a degustare oli di varietà drobnica e crnica mangiando il formaggio kanalc (pazzesco); nell’adorabile cantina di Aleks Klinec e di sua moglie Simona, pionieri dei vini naturali, in una taverna più che rustica bevemmo ribola, malvasia, jakot (è il loro Tocaj, con le lettere invertite per buona pace degli ungheresi) e l’incredibile Ortodox, e mangiammo il miglior prosciutto crudo della mia vita (qui si cena in osteria con 30 euro); ci concedemmo una degustazione incredibile da Edi Simcic, a Dobrovo, che era una “garage winery” e ora fan uno dei pinot blanc migliori del Paese; infine raggiungemmo il villaggio di Cadrg, solo dieci famiglie per 45 persone, ma tutte che producono il formaggio tolmino, nel minuscolo caseificio collettivo, e la grappa in un capanno (perfette da abbinare alla zuppa di cavolo chiamata jota o agli struklji, dei fagotti di farina farciti con cioccolato, noci e miele e coperti di…. ciccioli!). Ma quella che provai in quei giorni, non è che una delle cucine tradizionali delle tantissime presenti nel Paese, poiché le cucine regionali della Slovenia sono ben, dicono, ventiquattro.
Biodiverisità gastronomica: dai fiumi alle montagne
Ventiquattro cucine regionali in un territorio che è fiume e montagna, mare (anche se per un minuscolo tratto) e Mitteleuropa, che confina con l’Italia, l’Austria, la Croazia, l’Ungheria. Si va dai piatti dell’estremo oriente, nella regione Prekmurje (l’Oltremura in Italiano) – la ricetta tipica per eccellenza è il Prekmurski Bograc, un gulasch con tre tipi di carne, peperoni, pomodori, patate, spezie e funghi – a quelli che sanno di montagna tra le Alpi Giulie e le Caravanche come quelli della Gorenjska (Alta Carniola), la zona della celebre località sciistica Kranjska Gora – tanti crauti, polenta, formaggi, lardo, salsicce, i deliziosi panforte decorati a mano che paiono opere d’arte – fino a quelli della capitale, Lubiana, che ha la propria versione del piatto nazionale, gli struccoli (struklji): qui in città sono dei piccoli strudel alla marmellata.
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Lubiana, il Food Summit e la gastronomia contemporanea
Ecco, Lubiana, la città, l’epicentro anche dell’European Food Summit, il grande evento gastronomico del Paese, uno dei più interessanti del continente. Il Food Summit mette assieme i grandi prodotti, i grandi vini e i grandi chef nazionali. Come i nuovi stellati (la guida Michelin è appena arrivata nel Paese, dopo Gault&Millau): Jorg Zupan, che sta proprio a Lubiana (ristorante Atelje), Uros Fakuc del Dam di Nova Gorica, Uros Stefelin del Vila Podvin di Darovljica, Gregor Vracko di Hisa Denk a Zgornja Kungota, Ana Ros, naturalmente, e Tomas Kavcic di Pri Lojzetu a Vipava. Tomas l’ho incontrato a giugno a Milano: a tavola col console Boris Antolin e con il direttore dell’ente di promozione Aljosa Ota, ho assaggiato un suo menu realizzato in occasione del lancio della Michelin Slovenia: un cuoco moderno, vero, allegro ma tecnico, con piatti buonissimi (il suo storico best-seller è il branzino in piastra di sale). Ecco: sedano rapa e gamberi di fiume, manzo grigliato in brodo di manzo, un gin prodotto da Kavcic con ginepro e foglie d’olivo.
Gli chef sloveni sono così: anche quelli più contemporanei, non fanno un piatto che non racconti la propria terra. Dove, onestamente, una volta che si è andati, non si vede l’ora di tornare.