Perché viaggiamo. In difesa di un atto vitale. Ce lo spiega Tony Wheeler

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Il fondatore di Lonely Planet, Tony Wheeler, racconta nel nuovo libro "Perché Viaggiamo" cosa lo abbia spinto ad attraversare il mondo più volte e a dedicare la sua vita a viaggiare. Negli anni è diventato egli stesso il simbolo del bisogno necessario dell’uomo di spostarsi, di vedere, di comprendere l’"altro", di difendere un atto vitale. 

Vi proponiamo un estratto del libro, edito in Italia da EDT, in cui Tony Wheeler racconta l’urgenza che lo ha portato a mettere su carta i pensieri maturati chilometro dopo chilometro, anno dopo anno.

Il fondatore di Lonely Planet, Tony Wheeler ©LorenzoPompei
Il fondatore di Lonely Planet, Tony Wheeler ©LorenzoPompei
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La distanza è l’elemento con cui molto spesso viene identificato il viaggio. Possiamo anche coprire grandi distanze, ma la realtà è che piccole distanze fisiche possono significare immense separazioni. L’Afghanistan potrà anche trovarsi appena dieci chilometri sotto di me, ma è comunque un altro universo. A casa potrei fare dieci chilometri in auto in meno di dieci minuti, ma sul nostro Airbus o Boeing sorvoliamo il paese mentre povertà, sovraffollamento, violenza, guerre imperversano senza che noi ce ne rendiamo conto.

Questa voragine della separazione mi ha sempre affascinato a proposito dei viaggi. Possiamo essere molto vicini e al tempo stesso lontanissimi, e non è solo l’aria impalpabile che sostiene le ali a separarci. Alla stessa funzione si presta altrettanto bene la lingua. Possiamo trovarci nella stessa stanza, respirare la stessa aria, eppure essere separati da un baratro insuperabile: non siamo in grado di comunicare.

Oppure non siamo in grado di comprendere. Le nostre certezze, le nostre paure, i nostri concetti sono così diversi che neppure una comunicazione efficace può bastare alla comprensione.

Le montagne del Pakistan, una delle tappe dell’epico viaggio che portò alla fondazione di Lonely Planet ©Pawika Tongtavee/Shutterstock
Le montagne del Pakistan, una delle tappe dell’epico viaggio che portò alla fondazione di Lonely Planet ©Pawika Tongtavee/Shutterstock

Viaggiamo per ragioni di ogni sorta. Può trattarsi di una semplice fuga, della voglia di interrompere la routine della settimana lavorativa, di un’occasione per uscire dai nostri problemi, per dimenticare la vita quotidiana. Oppure può trattarsi di molto di più. Potremmo viaggiare alla ricerca del bello. Musica, arte, letteratura, natura possono tutte emozionarci con la loro bellezza, e lo stesso può fare il viaggio. Chi non è mai rimasto a bocca aperta davanti allo splendore di qualcosa visto o sperimentato “on the road”?

Può essere anche, semplicemente, il bisogno di soddisfare un’urgenza, una necessità di viaggiare. Siamo stati contagiati dal wanderlust, la sete del girovagare, e l’unico modo per placare quell’inquietudine è partire. È una condizione che tocca l’umanità fin dalle origini – il walkabout, l’andare a spasso, è un termine australiano che risale ai primi abitatori aborigeni. Oggi abbiamo maggiori opportunità di soddisfare quella impellenza di nomadismo.

Ha un certo peso, poi, la necessità di sentire accelerare i battiti del cuore, di vivere la vita un po’ sul filo del rasoio. Esiste una sottocategoria di viaggi in cui si va intenzionalmente alla ricerca di luoghi pericolosi; gli avvisi per i viaggiatori emessi dalle autorità funzionano più da stimolo che da deterrente.

E dopo aver viaggiato dappertutto, c’è il piacere semplice del ritorno a casa. Niente rende più cara la propria casa dell’esserne rimasti lontani.

Quali che siano le ragioni che ci spingono, viaggiare è in ogni caso la cosa che ci “mette nella stessa stanza”, che ci mette in contatto, ci aiuta a superare il divario e a costruire quel tipo di comprensione che solo il viaggio può donare. Vi dedichiamo così tanto tempo, saltiamo su così tanti aerei, dormiamo in così tante stanze d’albergo, mangiamo in così tanti ristoranti che viaggi e turismo sono diventati la singola componente più ingente dell’economia mondiale. Il World Travel and Tourism Council calcola che il turismo, includendo fattori diretti e indiretti, rappresenti quasi il 10% del PIL mondiale, e che in tutto il mondo un posto di lavoro su dodici sia connesso con i viaggi.

Certo, il viaggio ha dei lati negativi – è impossibile che un’attività di simili proporzioni non provochi danni da qualche parte – ma io sono fermamente convinto che nel complesso gli effetti siano positivi. In moltissimi luoghi i viaggi portano maggiore benessere, e di solito si tratta di un benessere che a sua volta porta pace: le zone politicamente più instabili del mondo sono quelle più colpite dalla povertà. 

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