Il ventre di Napoli: scoprire i Quartieri Spagnoli
Napoli è una città tanto accogliente da disorientarti: tra antichi monasteri, misteri sotterranei, piazze scenografiche, caffè sospesi e gli idioletti che si mescolano in una calata irresistibile, è inebriante quanto il mare che ogni tanto si fa vedere tra gli angoli dei palazzi. La Napoli autentica, che esiste e resiste alle insondabili leggi del tempo, è quella brulicante dei Quartieri Spagnoli. O semplicemente Quartieri, perché di spagnolo hanno mantenuto la fondazione voluta dal viceré Don Pedro de Toledo nel XVI secolo, e nient’altro. Da qualsiasi parte li guardi, che sia dall’alto mentre l’occhio segue Spaccanapoli, o sbirciando ad altezza strada dalla centralissima Via Toledo (via Roma lo è solo sulle mappe), i Quartieri Spagnoli sono un magnete irresistibile.
I Quartieri unificano sotto il toponimo le tre zone di San Ferdinando, Montecalvario e Avvocata, congiungendo idealmente la collina con la pianura in una urbanizzazione labirintica con una sua precisa poesia. Ci si arriva dalla stazione centrale prendendo la linea 1 della metro e scendendo alla fermata Toledo, per poi inoltrarsi tra i vicoli lastricati di larghi pietroni di basalto nero o sampietrini sconnessi. Se, invece, volete immergervi dalle zone laterali, seguendo l’odore del pesce fritto direttamente nei bancarielli sulla strada, vale la pena seguire l’avventura della Linea 2 e scendere alla fermata di Montesanto, anche sede dell’omonima funicolare verso il Vomero, che vi catapulterà direttamente all’interno della parte nord dei Quartieri.
Di macchine in giro ne vedrete pochissime e tendenzialmente parcheggiate al limitare naturale. Ma non fatevi ingannare, tenete alta l’attenzione o rischiate di scontrarvi con i motorini sfreccianti, il vero collegamento della zona: altri mezzi di spostamento non sono previsti. Né, d’altronde, riuscirebbero a passare: la conformazione urbanistica dei Quartieri, edificati a fitti gradoni paralleli, ricorda le coltivazioni terrazzate sulle colline liguri. Ma al posto della frutta ci sono interi condomini di quattro/cinque piani, più o meno fatiscenti e densamente abitati, punteggiati di edicole votive agli angoli dei palazzi e di moderni murales di street art contemporanea. L’energia che si avverte incanalandosi tra i vichi è un vortice continuo. Ai Quartieri Spagnoli i tetti dei palazzi sembrano toccarsi, chiudendo l’accesso al sole: tranne a mezzogiorno, quando arriva dritto come una lama a scaldare e asciugare anche l’ultimo lenzuolo steso. Nella profondità dei suoi vicoli dai nomi che si fregiano di croci religiose e utopiche superstizioni (come a Vico Speranzella), i Quartieri Spagnoli rendono giustizia alla definizione di “ventre della città” che ne diede la scrittrice Matilde Serao. Un Monopoli della toponomastica con ordinali consequenziali (Vico 1°, Vico 2° e via contando), lunghezze più o meno accennate (Vico Lungo si usa molto), traverse ben esplicitate, salite che sono vere e proprie scalate in petto alla collina, e toponimi tanto articolati da essere quasi più lunghi del vicolo stesso.
La vita di Napoli è qui, tra questi vicoli dove si gioca tranquillamente a pallone negli androni di palazzi antichi e decadenti; dove ci si nasconde per rubarsi un bacio tra chiese capolavori del barocco napoletano, come la Chiesa della Concezione a Montecalvario (danneggiata dal terremoto del 1980, è tristemente chiusa dal 2016 ma la facciata merita più di uno sguardo). Tra gli angoli più vivi e intensi c’è la piazza della Pignasecca con un mercato all’aperto in grado di stordire chiunque cerchi di osservarlo da fuori. La leggenda narra che originariamente ci fosse un bosco di pini marittimi dove trovavano riparo delle gazze ladre, che dopo l’ennesimo furto furono scomunicate dal vescovo, loro vittima. In una notte il boschetto si seccò, le gazze se ne andarono lasciando solo una pigna secca, che ha regalato il nome al piccolo rione. Bisogna immergercisi dentro, scovando di volta in volta i punti di osservazione più comodi. Non si tratta di qualcosa di pittoresco ad uso e consumo dei turisti più o meno interessati: ai Quartieri Spagnoli il folklore non può esistere. Vige il rispetto, basta uno sguardo per avere il permesso di accoglienza tra le maglie di una socialità strettissima che non vuole smagliarsi. Vale la pena curiosare senza resistere alla tentazione di mercanteggiare sul prezzo dei capitoni, discutere di mozzarelle e pasta secca all’alimentari, farsi ammaliare dalle incredibili doti commerciali del fruttivendolo che non mancherà mai di regalarvi “gli odori”, se chiesti con gentilezza.
La poesia dei Quartieri Spagnoli va vissuta con solennità dignitosa: la regola è che si dà del voi a tutti quando interpellati, e che un buongiorno sorridente non si nega a nessuno. Specialmente se lo sguardo si è fermato un secondo di troppo sulla signora affacciata dal vascio - i bassi sono le tipiche case dei Quartieri, stanze seminterrate con bagno e angolo cottura dove si vive con le famiglie-, o se vi siete incantati a osservare il panaro - un cesto di vimini legato ad una cordicella- che cala verso la bottega per recuperare la spesa ordinata direttamente dalla finestra poco prima. Un sorriso può aprirvi il passaggio davanti alla ciurma di facchini improvvisati che con altrettante corde cala un divano dal terzo piano nel corso di un trasloco, mentre cercate di comprendere in quale angolo dei Quartieri Spagnoli vi siete felicemente perduti.