Vita da moderni esploratori

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Ha senso parlare ancora di esplorazione in un mondo che sembra ormai interamente conosciuto, mappato e fotografato? Assolutamente sì. Lo dimostra lo storico team La Venta, che dall’inizio degli anni Novanta organizza e gestisce spedizioni di esplorazione geografica e speleologica in aree remote e di difficile accesso. Dall’Islanda all’Antartide, passando per Uzbekistan, Filippine, Messico, Iran: c’è ancora molto da scoprire in queste e in altre regioni del mondo. Soprattutto al di sotto di esse, dove si estendono le "terre della notte". Queste, sì, ancora tutte (o quasi) da esplorare.

Esploratore del team La Venta nell'area dei tepui
L’area dei tepui, tra Brasile e Venezuela © Archivio La Venta/Alessio Romeo
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Una spinta inesauribile verso l’esplorazione

I moderni esploratori che fanno parte di La Venta, che oggi conta una sessantina di soci italiani e una quarantina di Ambassador stranieri, le chiamano proprio così: terre della notte. “L’esplorazione non è finita e, finché ci sarà l’essere umano, probabilmente non finirà mai”, racconta Leonardo Colavita, classe 1968, speleologo dal 1985 e membro del Consiglio direttivo di La Venta. “Oggi esiste un mondo ancora da esplorare: le terre della notte, i territori nascosti, cioè quelli sotto la superficie terrestre”.

Dentro una grotta a Samarcanda
Durante una spedizione a Samarcanda © Archivio La Venta/Alessio Romeo

“Nell’essere umano c’è sempre stata una spinta verso l’esplorazione”, prosegue Colavita. “Fin da quando esistevano le prime tribù di ominidi c’era qualcuno, che poi era considerato un pazzo, che si allontanava dalla zona di sicurezza per cercare nuovi territori. È proprio dell’umanità provare ad andare oltre: penso ai grandi navigatori, agli esploratori dal Medioevo all’età moderna, anche agli astronauti. Per noi, in piccolo, si tratta della stessa cosa. Dico in piccolo perché purtroppo la speleologia è poco considerata, nel senso che è poco visibile. Si può vedere un alpinista che sale e scende dalla montagna, mentre noi diventiamo invisibili una volta scesi sottoterra”.

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Sottoterra si nascondono meraviglie inimmaginabili

La domanda a questo punto, per i profani, sorge spontanea: cosa si può mai trovare di inatteso e di spettacolare quando ci si cala nelle profondità della terra, in una grotta che è facile immaginare buia, umida e rocciosa? La risposta promette di risvegliare anche il senso di meraviglia più anestetizzato. Ad esempio, in Messico, nello stato di Chihuahua, nelle profondità della miniera di Naica gli esploratori di La Venta hanno incontrato la Cueva de Los Cristales, una caverna interamente ricoperta di cristalli che possono superare i dieci metri di lunghezza. In Uzbekistan hanno raggiunto per la prima volta il fondo di Boy Bulok, un meandro sotterraneo profondo oltre milleduecento metri. Nelle Filippine sud-occidentali, sull’isola di Palawan, hanno percorso il Puerto Princesa Underground River, complesso carsico di oltre trenta chilometri che ospita uno degli ecosistemi più ricchi del pianeta.

I cristalli giganti di Naica
I cristalli giganti di Naica © Archivio La Venta/Paolo Petrignani
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Luoghi inaccessibili e condizioni estreme

Ancora, al confine tra Venezuela e Brasile, nell’area dei tepui (che in una lingua indigena dell’Amazzonia significa “casa degli spiriti” o “casa degli dèi”), i membri del team La Venta hanno raggiunto le grotte più antiche del mondo e hanno avviato progetti di ricerca dai risultati impensabili. “Abbiamo trovato delle concrezioni create da batteri che utilizzano la silice e metalli per ottenere energia, nell’oscurità più assoluta”, spiega Colavita. “Uno sguardo sull’evoluzione della vita microbiologica a partire dalle sue origini". Questi luoghi, tra l’altro, come in realtà quasi tutti quelli esplorati da La Venta, sono particolarmente inaccessibili: “Non ci si può arrivare se non con l’elicottero, ma soltanto quando si apre una finestra di bel tempo, per un’ora ogni due o tre giorni. L’elicottero poi non può atterrare: bisogna saltare giù”.

Tepui
L’area dei tepui © Archivio La Venta/Natalino Russo

È un esempio che dà la misura di quanto siano complesse e costose queste spedizioni esplorative. “È difficile vivere in determinate condizioni per 2-4 settimane. Bisogna portarsi dietro tutto ciò che serve e non si può sbagliare, perché in quel caso salta tutta la spedizione. Inoltre, non lasciamo nulla sul posto, neanche le nostre deiezioni: se lo facessimo, specialmente in certi ambienti, creeremmo un danno biologico enorme, che avrebbe un impatto gravissimo”. La Venta organizza cinque o sei spedizioni all’anno e, una volta avviati, i progetti di ricerca proseguono per anni, a meno che le precarie condizioni sociopolitiche non rendano impossibile il ritorno. “Anche se in certi Paesi potremmo comunque andare tramite gli inviti delle università locali, eticamente scegliamo di soprassedere per il momento. Non ci sembra il caso, in una situazione in cui il popolo sta soffrendo, di andare a fare delle ricerche che richiedono anche un rapporto con i locali”.

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Grotte nei tepui
Esplorazione dei tepui © Archivio La Venta/Natalino Russo

Gli obiettivi: fare ricerca, conservare e divulgare

Le bellezze e i segreti del sottosuolo sorprendono prima di tutto i membri di La Venta. “Facendo ricerca in ambienti che ancora non sono conosciuti, scopriamo ogni volta qualcosa che non ci aspettavamo minimamente e che poi ci porta a nuove idee, a nuove ricerche”, dice Colavita con un entusiasmo che i decenni di esplorazioni alle spalle non sembrano aver minimamente scalfito. “Abbiamo scoperto che c’è vita nei ghiacciai. Abbiamo scoperto che c’è vita nella grotta di Naica, dove si riteneva fosse impossibile. Eppure, in mezzo a quei cristalli ci sono virus, batteri... Abbiamo trovato forme di vita che si sono adattate anche alle grotte di sale. Questo tipo di scoperte ti fa capire che la vita è capace di colonizzare anche gli ambienti che si ritenevano non colonizzabili. Questo fa ben sperare anche per gli altri mondi: potrebbero esserci, là fuori, cose che adesso non riusciamo nemmeno a immaginare”.

Grotta di ghiaccio in Patagonia
Durante una spedizione in Patagonia © Archivio La Venta/Alessio Romeo
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Le esplorazioni geografiche e speleologiche di La Venta non sono mai fini a sé stesse. "Non ci interessano le bandierine dei record. Ci interessa invece poter fare qualcosa di utile. Il nostro obiettivo è esplorare, studiare, cercare per quanto possibile di conservare quegli ambienti e poi produrre documentazione, principalmente articoli scientifici”. Per rendere possibile tutto questo, chiaramente, i progetti di La Venta si concentrano non sulle grotte classiche, di cui sappiamo già moltissimo, ma appunto su luoghi in cui non è mai stato nessuno e di cui abbiamo ancora tutto da imparare dal punto di vista microbiologico, geologico, mineralogico e anche archeologico.

Dalle grotte di ghiaccio ai tubi di lava

I filoni di ricerca di La Venta si concentrano, insomma, su ambienti molto particolari e non comuni: le grotte del sale, come quelle di Iran e Cile; le grotte delle quarziti, presenti ad esempio in Venezuela, Colombia e Brasile; le grotte del ghiaccio, in Patagonia, Groenlandia o Antartide; e le grotte tropicali, come quelle di Messico e Filippine. “Anche se in quest’ultimo caso si tratta di grotte carsiche classiche, ci sono delle interessanti particolarità archeologiche, perché questi luoghi sono stati abitati in tempi molto antichi, oppure biologiche”.

Grotta di ghiaccio in Patagonia
Grotta di ghiaccio in Patagonia © Archivio La Venta/Pier Paolo Porcu
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Una novità recente sono i tubi lavici. Alcuni membri del team sono da poco tornati dalla quarta spedizione in Islanda al vulcano Fagradalsfjall, nella penisola del Reykjanes, dove hanno continuato a studiare la mineralogia e la microbiologia di tubi lavici di recente formazione. A distanza di due anni dalla prima e più importante eruzione, grazie ad alcune attrezzature specifiche quest’anno gli esploratori di La Venta sono riusciti per la prima volta ad addentrarsi nei tubi lavici, in alcuni casi ancora incandescenti e con temperature di oltre 250 °C. L’esplorazione dei tubi lavici è una novità per La Venta e “deriva dal fatto che alcuni soci lavorano come addestratori per gli astronauti della NASA e soprattutto dell’ESA per le future missioni sulla Luna e su Marte, dove lo studio dei tubi lavici sarà fondamentale”.

Un’eredità positiva per le popolazioni locali

Al di là dell’interesse scientifico e di ricerca, tra gli obiettivi di La Venta c’è anche il coinvolgimento delle persone del posto. “Collaboriamo sempre con le società speleologiche locali”, chiarisce Colavita. “Cerchiamo di tenere dei corsi a nostre spese e di inserire gli speleologi locali nel progetto, se lo desiderano. È ancora più importante coinvolgere la popolazione, perché a volte esploriamo grotte che erano anticamente luoghi di sepoltura, rifugi... Fanno parte della loro storia, della loro cultura, del loro territorio”.

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Grotta a Samarcanda
Spedizione a Samarcanda © Archivio La Venta/Alessio Romeo

Nell’ultima spedizione in Messico, ad esempio, in tutte le otto grotte esplorate sono state rilevate evidenze di utilizzo nel periodo Maya. “Con noi c’era un’archeologa messicana, anche perché vogliamo assicurare al Messico e alle popolazioni locali che non tocchiamo nulla di questi ritrovamenti. Saranno poi i messicani stessi a studiarli, come è giusto che sia, e se servirà una mano per arrivarci li accompagneremo nella prossima spedizione”. Tra le scoperte archeologiche di La Venta ci sono state anche delle città Maya nella foresta, ma quella che Colavita ricorda con più emozione è avvenuta durante la sua prima spedizione con il team, sempre in Messico, nel 1995.

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Esploratrice dentro i tepui
Esplorazione dei tepui © Archivio La Venta/Natalino Russo

“Eravamo nel canyon del Rio La Venta, lungo ottanta chilometri e un tempo unica via di comunicazione per le popolazioni tra l’Oceano Pacifico e l’Oceano Atlantico. A un certo punto dal fondo del canyon individuammo una grotta molto in alto, a circa 350 metri dal fiume, e decidemmo di raggiungerla. Ebbi la fortuna di essere il primo ad arrivare a questa grotta, quindi anche a darle il nome: la chiamai Cammino infinito, perché il percorso per arrivarci mi era sembrato richiedere uno sforzo enorme ed eccessivo. Riuscii ad arrivare all’ingresso di questa grotta, insomma, che era una grossa frana, e appena mi affacciai all’interno mi trovai di fronte una statua rappresentante un giaguaro. È stata una grande emozione. Abbiamo in seguito portato sul posto degli archeologi, calandoli dall’alto. Quando sono tornato in Messico due anni dopo è stato fantastico vedere la statua esposta nel museo di Città del Messico”.

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In altri casi i luoghi esplorati da La Venta hanno cambiato l’economia locale. L’esempio perfetto è Palawan, nelle Filippine. “Qui la grotta è stata in parte resa turistica seguendo le nostre direttive e, quindi, con un impatto praticamente nullo sulla grotta stessa. Questo ha cambiato l’economia del territorio: è nato un parco nazionale di protezione ambientale e ogni anno arrivano circa un milione di visitatori”.

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