Kathmandu e il lento corteggiamento dell’Everest. Viaggio in Himalaya
Il Nepal ti entra nelle viscere già in volo, senti la forza magnetica dell’Himalaya fin da quando inizi a sorvolare il suo spazio aereo graffiato dalle montagne più alte del mondo. Le turbolenze del cielo ti accolgono mentre atterri a Kathmandu; ti stringi forte alla cintura di sicurezza, ma è solo l’inizio per quelle dell’anima.
La vicinanza con l’India si sente, ma il Nepal va oltre, è sincretismo gastronomico, culturale e religioso. Questo Paese ti accoglie, ti sconvolge o ti respinge, dipende dall’ampiezza e dalla elasticità della tua comfort zone. Ricorda il Marocco com’era e il Bhutan come è.
Un anno fa il Nepal era solo un pensiero felice che accarezzavo prima di addormentarmi, uno di quelli in cui ti rifugi per dar pace allo spirito. Adesso sono qui con la vivida sensazione di essere esattamente dove devo essere. I passi che mi hanno portata qui sono stati le dimissioni e la partenza per un viaggio sabbatico in Asia lungo otto mesi. Sono partita senza domande ma con un unico desiderio: trovare il punto di congiunzione tra vita vissuta e vita desiderata, senza procrastinare e senza compromessi. Il viaggio è la dimensione di questa mia ricerca.
Kathmandu è sporca, sgarrupata, rumorosa, sacra, povera, spirituale, commovente. È bellissima. È un baccanale di campane, tamburi, profumi e fiamme. È magnetica, è estasi. Non puoi dire di essere stato in Asia se non hai visto Kathmandu e non puoi dire di aver fatto trekking se non lo hai fatto sull’Himalaya.
Il quartiere Thamel si sveglia presto. All’alba i turisti sono in hotel, la città è fuori: adolescenti con la divisa di scuole private, donne in sari colorati, il macellaio sta aprendo il suo negozio, il barbiere accende una bacchetta di incenso. Le città andrebbero scoperte a piedi, di mattina presto, per coglierne l’anima ancora stropicciata, senza maschere, più vera. Cammini lungo una strada asfaltata e accanto ne corre una parallela fatta di terra, mattoni rotti e fango. I segni del terribile terremoto del 2015 sono ovunque, scorticano ancora povere case e siti storici in cerca di salvezza.
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La combinazione Kathmandu e trekking al Campo Base dell’Everest (EBC, come lo chiamano tutti qui) è perfetta e doverosa. Tre giorni bastano per girare questa capitale, i suoi siti Unesco che costellano la sua valle prima di salire verso l’Himalaya con un’avventura che inizia fin dal tentativo di prendere il volo interno per Lukla. Universalmente riconosciuto come uno degli aeroporti più pericolosi del mondo, quello di Lukla deve la sua meritata fama ad una pista lunga appena 527 metri, completamente inclinata. Atterrare qui è pericoloso e aleatorio: si vola a vista su aerei bimotore di appena 30 posti a bordo. Basta qualche nuvola o un accenno di nebbia lungo il tragitto e tutti i voli vengono cancellati senza appello, comincia allora la litania dell’attesa speranzosa in aeroporto seduti sugli zaini da trekking e si cercano soluzioni alternative come la combo elicottero e jeep.
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Una volta arrivati a Lukla, il trekking verso l’EBC dura circa 12 giorni: 6 di avvicinamento, 3 di discesa e 3 di acclimatamento alle altitudini crescenti. Camminare qui toglie il fiato, letteralmente. Manca l’ossigeno, fa male la testa e perdi il respiro per la bellezza delle vette. La parola “Everest” occhieggia ovunque e sento la stessa emozione provata quando ho letto la scritta Terra Sancta su di un muro della città vecchia di Gerusalemme. Certo, l’Everest è una operazione di marketing turistico ben riuscita, ma l’emozione è vera.
L’avvicinamento alla montagna più alta del mondo è un lento corteggiamento; la sua punta appare e scompare dietro altre vette sopra gli ottomila. Aumenta l’altitudine, diminuisce l’altezza degli alberi e la percentuale di ossigeno nel sangue che viene controllata 2 volte al giorno. L’Himalaya è inquietudine, nessuno vuole tornare indietro dopo essere arrivato fin lì, e pazienza, devi tenere a bada la smania di salire troppo in alto, troppo in fretta.
Sull’Himalaya impari anche che a 4.500 metri sei così in alto che cammini con le aquile, che i porter della etnia Sherpa hanno sempre la precedenza, che gli esseri umani sono uguali a tutte le latitudini: hanno bisogno di segnare il loro passaggio e in montagna lo fanno con edicole per crocifissi e Madonne se sei in Europa, con stupa e bandiere tibetane al vento in Nepal. Ricordi che la montagna è fatica e fastidio, è meraviglia e magia. Scopri che in Nepal tutto ha 3 nomi: nepalese, tibetano e inglese. Anche l’Everest: Sagarmatha, Dio del Cielo, Chomolungma, la Dea madre del mondo, e Everest per tutti gli altri.
L’ottavo giorno si parte presto per il Campo Base; ti aspetti silenzio e concentrazione, invece senti quello che immagini essere rumore di guerra. Fin dall’alba, gli elicotteri fanno una spola aerea da e verso il Campo Base; tra chi è a terra serpeggia la domanda “Tourist or rescue” accompagnata da biasimo nel primo caso, da compassione nel secondo. Arrivare all’EBC è stata l’esperienza più faticosa, adrenalinica, emozionante della mia vita. Piangi, ridi, perdi il fiato e le parole. Dimentichi tutto, la fatica, il freddo, il fastidio, il mal di testa per l’altitudine. È felicità pura, come queste montagne, come l’Everest.
Il mio personale mal di montagna è stato lasciare questi scenari di aria rarefatta, vette magnetiche e limpido benessere. A 5.000 metri ho scoperto di avere gambe, sangue e polmoni fatti per le grandi altitudini. Quando trovi un luogo a cui appartieni così visceralmente, cosa fai? Continui a camminare e prepari la scalata di un’altra cima sopra gli ottomila, magari di nuovo in Nepal oppure in Tibet o Pakistan.
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Informazioni pratiche sul mio viaggio
Dove ho dormito
Kathmandu: Taleju Boutique Hotel (costo medio a notte per una camera singola con colazione inclusa: 30 euro).
Trekking per il Campo Base
Si dorme in guesthouse molto spartane; vitto e alloggio sono compresi nel pacchetto creato da una delle tante agenzie locali. Io ho scelto Nepal Social Treks per le buone recensioni di trekker italiani: . I costi sono uniformi tra le varie agenzie, considerate circa € 1.100 a persona, più i classici extra e le mance per la guida e i porter.
Dove e cosa ho mangiato
Kathmandu: sono tornata spesso al The Nook 1986 per i deliziosi momo (ravioli tibetani al vapore) e il veg dal bhat (un piatto completo con riso al vapore, zuppa di lenticchie, verdure al curry e pad thai).
Ho usato Kathmandu come base per muovermi in Nepal, quando ho avuto bisogno di uno spazio di coworking con una ottima connessione internet, sono andata al Himalayan Java Coffee di Tridevi Thamel, Ulteriore nota positiva, al piano superiore c’è una buona scuola di hatha yoga con 2 lezioni al giorno dal costo di circa 6 euro l’una.
Nepal e sostenibilità ambientale
Negli ultimi 2 giorni di trekking, abbiamo aderito al Carry me back project: consiste nel portare a valle 1 kg di rifiuti plastici. I volontari li raccolgono e i trekker li trasportano fino al punto di raccolta.