Il giro del mondo a piedi in cerca di Bellezza: intervista a Nicolò Guarrera
Vi siete mai chiesti se la vostra vita sia bella abbastanza perché qualcuno abbia voglia di guardarla, di ascoltarla, di dedicargli del tempo, come se fosse un’opera d’arte? Certo è un punto di vista interessante, presi dal valutarla su scale che considerano il successo, la felicità, la soddisfazione. È una domanda che mette tutto in discussione, perché, come dice Nicolò, che è in giro per il mondo a piedi da quasi 5 anni, “sappiamo benissimo cosa intendiamo per ‘bella vita’, ma non cosa sia per noi una ‘vita bella’.”

Nicolò Guarrera è partito a piedi, da solo con il suo passeggino Ezio, nell’estate 2020 per fare il giro del mondo a piedi. Quando lo intervisto si trova a Sofia, in Bulgaria, in quella che è la fase finale del suo grande viaggio. Si sta cucinando una pasta ai cavolfiori, una di tante, preparata in cucine sempre diverse, e mentre ripete questi gesti famigliari, racconta la sua avventura soffermandosi su ogni risposta senza lasciarsi mai scappare pensieri banali, come se ogni parola fosse un passo verso la bellezza.
Come ti è venuta questa idea?
A 24 anni mi stavo laureando in economia e marketing, e mi sono fermato a pensare a che cosa volessi fare della mia vita, come avrei voluto viverla. Un principio importante per me erano la bontà e la bellezza. Mi sono chiesto, se la mia vita fosse un’opera d’arte, se avrei pagato un biglietto per andare a vederla. Sarebbe stata in grado di raccontarmi qualcosa, di insegnarmi una lezione? Mi sono detto che no, non lo era. E dal momento che non sapevo esattamente cosa intendevo per ‘vita bella’, mi sono messo a fare una lunga passeggiata per riflettere. Mi piace molto camminare, avevo fatto diversi cammini, e mi son detto perchè non fare il cammino più lungo di tutti, raccogliendo storie per riuscire a capire?’.

Come sei passato dall’idea al piano vero e proprio?
A un certo punto è spuntato Ezio, il mio passeggino. Non sapevo come avrei potuto attraversare i deserti, dovendo caricare in spalle grandi quantitativi di acqua, ma quando l’ho visto il cervello ha fatto “click”: se era possibile in assoluto allora poteva essere possibile anche per me. Era il maggio 2018.
Ma dato che per vivere davvero un’avventura, l’ultima cosa da fare è “partire all’avventura” ho iniziato a studiare il percorso possibile, a capire dove passare. Ho disegnato un itinerario che tenesse in conto la fattibilità della cosa e di quello che volevo vedere, considerando la ricerca di bellezza. Ma non sono partito subito, prima ho voluto dare una possibilità alla vita “normale”: ho trovato un lavoro in un’azienda di cioccolato, avevo un buono stipendio, dei colleghi simpatici e cioccolato a gogo. Era una vita dolce, eppure al momento di firmare il contratto a tempo indeterminato ho deciso di dire di no: mi piaceva, ma non abbastanza. Il seme era stato piantato ed era troppo tardi per estirparlo. Era il dicembre 2019, poco dopo è arrivato il Covid e mesi di incertezza. Un po’ per orgoglio e un po’ perché mi sono detto che in questo tipo di avventura bisogna imparare da subito che le cose possono andare diversamente dai piani, sono partito ad agosto 2020. E non mi sono più fermato.

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Come hai scelto il percorso e come ti sei finanziato?
In realtà è relativamente semplice: o vai a est o vai a ovest, perché a nord e a sud ci sono i Poli ed è un livello un po’ troppo difficile. A est hai i Balcani, poi subito Turchia e Iran, che all’epoca pensavo fossero paesi più ostici, quindi ho deciso di partire da Ovest, con Italia, Francia e Spagna, anche per capire cosa potevo chiedere al mio corpo e cosa aspettarmi per strada. Sono passato al Sud America, dove certamente è diverso, ma per lo meno parlavo la lingua. E anche metaforicamente mi piaceva andare verso occidente, verso il tramonto del giorno conosciuto, verso qualcosa di nuovo.
Dato che ero in cerca di bellezza, per definire le tappe ho messo dentro i patrimoni UNESCO e i consigli di persone che ho contattato tramite couch surfing. Tenendo in conto che mi sarei spostato a piedi con un passeggino, ho evitato zone complicate da attraversare, come l’Amazzonia, e ho preferito la Costa Pacifica, seguendo la Panamericana. Ho anche deciso in base alla sicurezza delle nazioni e alla possibilità di ottenere i visti. Sulla costa Pacifica, per esempio, ho comunque evitato Colombia, Venezuela e Brasile, un po’ più complicati. Sarei voluto andare in Myanmar, ma dopo il colpo di Stato non era più possibile, mentre per il Pakistan non ho ottenuto il visto. Queste difficoltà hanno dato forma al cammino.
Sono partito con i soldi messi da parte lavorando, con qualche piccolo sponsor che ho cercato o che si è proposto lungo la strada, ma la differenza l’hanno fatta le donazioni che ho ricevuto sia lungo la strada che online negli anni, come anche un pasto caldo, una notte tranquilla, un paio di scarpe. Poi, viaggiando in questo modo ci si rende conto che in realtà le spese sono minime: non ho affitti, macchine, mutui, non posso comprarmi cose che non siano fondamentali perché non potrei portarle in giro e sono spesso solo, quindi le uscite si riducono.

Quindi hai fatto Europa, Sud America, Australia, Asia, Medio Oriente e sei arrivato ora nell’Est Europa. Quali sono i momenti di bellezza che più ti sono rimasti impressi?
Io non sono un filosofo quindi la bellezza la interpreto a modo mio, ma penso che un indicatore di bellezza sia la diversità, e questa l’ho vista chiaramente quando ho attraversato l’Oceano Atlantico con un catamarano. Se lo attraversi con l’aereo non ti rendi conto di come possa cambiare, ma durante i 33 giorni di navigazione lo vedi biancheggiare, poi si fa burrascoso, mentre nei giorni di bonaccia sembra un manto striato di muscoli che si contraggono, lo vedi con i pesci, le balene, gli squali e i delfini e capisci che sei in un luogo davvero bello, e che la diversità si coglie con la lentezza.
Un’altra cifra della bellezza credo sia la vastità, la grandezza: siamo colpiti e rimaniamo di stucco quando vediamo le cose grandi, che si tratti di un elefante, una giraffa, una balena, o una montagna inginocchiata davanti a un lago. Non so dire perché, ma è evidente che in qualche modo ci tocca. Forse ci rendiamo conto della loro grandezza in relazione alla nostra piccolezza e ci coglie una sensibilità divina pensando all’assoluto, dalla quale ci sentiamo in qualche modo confortati.
Se penso invece alla bellezza umana, la trovo in un gesto altruista e gratuito. Mi trovavo alla periferia di Piura, in Perù, ed ero in couch surfing da Gian quando mi porta in una piccola fattoria nel deserto, dove con la sua famiglia tiene degli animali (tacchini, anatroccoli, galline, porcellini d’india) e dopo aver badato agli animali, pianta un albero. Gli chiedo perché pianti alberi nel deserto, e mi risponde che lo fa perché un giorno, tra vent’anni, faranno ombra. Non lo fa per profitto, ma per dare un contributo e rendere quel punto minuscolo un po’ meno desertico.

Tra tutte le storie che hai incontrato e le esperienze vissute, qual è stata la più sorprendente?
L’India è sicuramente il paese più sorprendente, un teatro a cielo aperto in cui ti basta camminare per vedere scorrere attorno a te cani, mucche, gatti, chi è nudo e cosparso di burro, chi è avvolto in collane di fiori. Ma non è una sorpresa solo positiva: ti rendi conto che nei film tutto sembra bello, ma è perchè nei film si racconta solo parte della verità.
Un momento che ricordo come negativo è stato mentre camminavo nella campagna dell’Uttar Pradesh. Erano le ultime ore della giornata e cercavo un posto dove campeggiare, quando vedo che mi insegue un motorino. Mi raggiunge e ne scende una ragazza. Innanzi tutto, sono rimasto un po’ shockato perché erano tre mesi che ero lì e quella era la seconda donna che mi parlava, cosa che mi ha reso un po’ imbambolato. Gentilmente invita a essere ospite della sua famiglia. Mi dice che si chiama Puja, che ha 22 anni. Si occupa del padre e dei fratelli da quando la madre è morta. Le chiedo cosa voglia fare nella vita, quali siano i suoi sogni. Lei mi guarda come se avessi fatto una domanda stupida. Le piace cucinare, magari potrebbe aprire un ristorante, ma il suo compito è occuparsi del padre. “Sono una donna, le donne non sono un asset, nessuno investirebbe su di me, neanche mio padre”, mi dice con una rassegnazione pacata, facendomi sentire incredibilmente occidentale.
Ci sono stati inconvenienti e come li hai affrontati?
Mi sono fatto male un po’ di volte, ma mai nulla di serio, a parte un morso di cane (in India), ma questo mi ha insegnato semplicemente che in un cammino così lungo devi dare per scontato che qualcosa succederà e semplicemente organizzarti per affrontarlo, che si tratti dell’assicurazione medica, o di un telefono satellitare con tasto di emergenza. Soprattutto, te lo devi aspettare e in quel momento ti devi ricordare di stare tranquillo. Nei nostri paesi c’è una propensione al rischio molto bassa, che ti impedisce di mollare la presa su quello di cui non hai controllo per vedere cosa succedere. In 4 anni poteva succedere di tutto ma con tanto buon senso e un profilo basso mi è sempre andata bene.
Quali tappe mancano e quale non vedi l’ora di fare?
Ora la direzione è verso Atene, per poi risalire la costa balcanica , seguendo la Via Dinarica: conto di tornare a casa verso settembre, chiudendo il giro con 5 anni di camminata. Tra i luoghi che mi incuriosiscono di più ci sono Itaca e il Monte Athos.
Quel che non vedo l’ora di fare una volta arrivato a casa, è assolutamente niente! In questi anni ho fatto momenti di stop, ma sei sempre lì con la testa. Ora sono fermo a Sofia, ma studio il percorso per la Grecia, mi occupo dei social, mi alleno: c’è sempre da fare, quindi in realtà magari non cammino, ma non stacco mai, e questa per me è la difficoltà più grande. I primi anni ero più fresco, ma ora ogni chilometro si somma a quelli precedenti.
In generale, sta andando come pensavi?
Adesso lo pagherei il biglietto per guardare la mia vita, penso di avere qualche storia da raccontare.