Pesca sul ghiaccio con gli inuit sull'isola di Baffin

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Nella parte più settentrionale e fredda del Canada, le comunità locali hanno da tempo scoperto che vivere all’aperto con temperature sotto lo zero è una forma d’arte. La nostra autrice Carolyn Heller si è cimentata in questa pratica e qui ci racconta questa esperienza davvero estrema e, al contempo, in grande sintonia con la natura.

Baffin, nella parte più settentrionale e fredda del Canada  ©Dolzhenkov Pavel2/Shutterstock
Baffin, nella parte più settentrionale e fredda del Canada ©Dolzhenkov Pavel2/Shutterstock
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Procediamo a sobbalzi sullo stretto di Cumberland gelato, rannicchiati in un qamutik, la tradizionale slitta inuit che assomiglia a una lunga vasca da bagno attaccata a due pattini di legno. La motoslitta di un pescatore della comunità di Pangnirtung, sull’isola di Baffin, nel Nunavut, tira la mia slitta sul ghiaccio.

Sto lottando per stare al caldo sotto una malconcia incerata verde oliva che continua a sbattere al vento: la mimetica non serve un granché in questa vasta superficie radicalmente bianca e blu di ghiaccio e neve contro il cielo di aprile senza una nuvola. In due su ogni qamutik, il nostro piccolo gruppo di avventurieri sta raggiungendo il territorio di pesca dove la nostra guida, Peter Kilabuk, getta la lenza sotto la coltre di ghiaccio della baia in cerca di rombi. Ci stiamo avventurando fuori con -10°C per imparare qualcosa sulla pesca nel ghiaccio ma, spero, anche per saperne di più sulla cultura inuit.

Circa l’85% dei 40.000 residenti del Nunavut è inuit, disperso in una vasta regione che va dal Nord Atlantico e dalla baia di Hudson al Mar Glaciale Artico. Il vicino più prossimo del Nunavut, al di là dell’angusto stretto di Nares, è la Groenlandia. Staccatosi dai Northern Territories, solo nel 1999 è entrato a fa parte della confederazione canadese.

Un volo di tre ore porta nella capitale del territorio, Iqaluit, i viaggiatori che arrivano da Ottawa o, in stagione, da Montréal, ma non esistono strade che lo colleghino al resto del paese, né tra le 25 comunità che compongono il Nunavut, in lingua inuktitut ‘la nostra terra’. Dopo aver caricato sulla nostra carovana di gatti delle nevi e slitte borse termiche, attrezzatura da pesca e utensili, ci avviamo sull’acqua gelata spolverata di neve fresca. Lasciata Pangnirtung, viaggiamo per più di 30 km, circa un’ora. Ci fermiamo accanto alla capannuccia fatta con legno e carta catramata che Kilabuk e suo figlio hanno eretto diversi mesi fa per designare la loro zona di pesca per la stagione. Kilabuk spiega che ogni famiglia di pescatori rivendica il proprio territorio invernale portando semplicemente la tenda nel luogo prescelto. “Ci sono discussioni sui luoghi di pesca?”, chiedo. Kilabuk scuote la testa e indica con la mano la vasta superficie di ghiaccio. C’è pesce per tutti.

Il qamutik, la tradizionale slitta inuit ©GROGL/Shutterstock
Il qamutik, la tradizionale slitta inuit ©GROGL/Shutterstock

Ex membro del parlamento del Nunavut, Kilabuk ha rappresentato Pangnirtung nel governo locale dalla creazione del territorio fino al 2008. Anche se oggi gestisce una società di logistica, la Peter’s Expediting & Outfitting Services, la pesca ha sempre fatto parte della sua vita.

Kilabuk e suo figlio hanno già trapanato il ghiaccio fuori dalla capannuccia per ricavarne un buco. Con l’aiuto di altri tre pescatori che, come Kilabuk, hanno radici inuit, stende una lenza sulla neve così da poter caricare gli ami posti a intervalli regolari con l’esca, bocconcini di salmone. Kilabuk lega un’estremità della lenza a un ‘aquilone’ – un pezzo di metallo che assomiglia a un vassoio per dolci in argento piegato a metà per formare una grande V. Indirizzando l’aquilone nel buco per la pesca, lui e i suoi soci guidano la lenza nell’acqua, facendola lentamente scivolare fino al fondale del Sound.

I rombi sono pesci da fondali, spiega Kilabuk, quindi deve spingere la lenza più profondamente possibile. “Prima beviamo un caffè. Poi peschiamo”, annuncia quando ha finito di sistemare la lenza. Ci dice che dovremo attendere almeno due ore prima che ci siano abbastanza pesci attratti dall’esca. Stringiamo i nostri corpi rivestiti di parka sulla panchetta fuori dalla tenda e Kilabuk riscalda dell’acqua su un fornellino da campeggio, offrendo una tazza di caffè istantaneo. Pensavo che gli inuit pescassero in questo modo da generazioni, ma Kilabuk ci spiega che un gruppo di groenlandesi giunse a Pangnirtung negli anni ’80 per confrontare le tecniche di pesca dei rombi e negli ultimi quarant’anni questo è diventato il metodo preferito dagli inuit.

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La distesa del mare ghoacciato ©GROGL/Shutterstock
La distesa del mare ghoacciato ©GROGL/Shutterstock

Come molti popoli nativi, gli inuit hanno avuto una storia complicata con il resto del Canada. Dalla fine dell’Ottocento fino agli anni ’90 il governo canadese ha sottratto alle loro famiglie i bambini nativi – compresi gli inuit – per farli studiare in collegi religiosi, con l’obiettivo di cancellare la loro cultura tradizionale. Non sorprende quindi che il parere degli inuit sull’inclusione del territorio nella federazione sia ambivalente.

Mentre continuiamo ad aspettare che i pesci abbocchino, ci sentiamo abbastanza caldi da tentare una passeggiatina scivolando sul ghiaccio. Solo una piccola dorsale ricoperta di neve interrompe la vista che spazia in tutte le direzioni. Alla fine, Kilabuk indossa un paio di sgargianti guanti arancione e comincia a tirare su la lenza dal buco, chiedendoci di indovinare quanti pesci abbiamo catturato. Il pessimista del gruppo azzarda ‘tre’; l’ottimista ‘34’. Sganciando ogni piatto pesce argentato dall’amo, Kilabuk li getta in una pila. Tira su, getta, tira su, getta. Alcuni pesci sotto misura li ributta nell’acqua; quelli che tiene sono lunghi più di 45 cm. L’equipaggio conta i pesci: 47 rombi, tra i 90 e i 135 kg, stima Kilabuk.

La pesca è finita e ci si affretta a caricare le slitte per il viaggio di ritorno. Dopo aver tenuto una piccola quantità per il consumo famigliare, venderanno i rombi alla fabbrica conserviera locale che ne spedirà la maggior parte in Giappone. Rannicchiata di nuovo nel qamutik mentre corriamo sul ghiaccio, penso al pesce che da questa isolata comunità inuit arriva sulle tavole di tutto il mondo.

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