Asinara, cosa fare nell’isola-carcere diventata un’oasi naturale
Arrivando al Porto di Fornelli, l’Asinara appare come una piana scottata dal sole dominata dal Castellaccio, ovvero ciò che resta di una fortezza medievale arroccata su una modesta collina rocciosa. Voltandosi verso il mare si intravede ancora Stintino, il punto di partenza. È un paesino che non esisteva fino al 1885, quando si è deciso che l’Asinara, terza isola della Sardegna per grandezza, sarebbe diventata prima un lazzeretto e poi un carcere. Gli isolani sfrattati – pescatori e pastori, poco meno di cinquanta famiglie – non hanno avuto altra scelta che andarsene e si sono stabiliti nel punto più vicino possibile, sull’ultimo lembo di terra sarda che, come una pennellata, si allunga verso nord.

Il primo sguardo all’Asinara rivela una pianura piatta e senza segreti, dicevo, ma con una promessa: una strada che dal porticciolo della costa meridionale si inoltra nell’isola, verso nord, scomparendo quasi subito alla vista. Seguiamola, allora. Tirando una linea retta fino alla punta più settentrionale conteremmo solo diciassette chilometri, ma il tracciato asfaltato se la prende molto più comoda. Abbandonata la piana erbosa, si addentra in un paesaggio sempre più irregolare e selvaggio dove la roccia – prima granito, poi scisto – si confonde con la macchia mediterranea, tra il verde del lentisco e dell’olivastro e il rosa dell’Euforbia arborea.

In parte la strada segue la linea frastagliata della costa, anche costringendo i visitatori a resistere a qualche tentazione, come moderni Ulisse. Nel ruolo delle Sirene c’è Cala Sant’Andrea: osservata dalla strada o, a distanza ancora più ravvicinata, dal Sentiero del granito, uno dei trekking dell’isola, è una mezzaluna di sabbia candida bagnata dal mare turchese che pare non essere mai stata toccata dall’uomo. In qualche modo è vero, visto che questo tratto di costa è una delle zone interdette del Parco Nazionale e dell’Area Marina Protetta dell’Asinara. Altrove sull’isola ci si può tuffare senza remore, ma questo angolo di paradiso, come altri, resta un piacere solo per gli occhi - e non è poco. Per avere una vista panoramica sia sul “mare di dentro” sia sul “mare di fuori”, come vengono chiamati qui, bisogna raggiungere invece il punto visivamente più stretto: Stretti, questo il nome, è il "corridoio" di terra e roccia oltre il quale l’isola torna ad allargarsi. Secondo la leggenda, Ercole avrebbe strappato a forza una propaggine di terra a nord-ovest della Sardegna e questa zona centrale dell’Asinara, che da una costa all’altra conta solo poche centinaia di metri, sarebbe il punto in cui l’eroe greco avrebbe stretto più vigorosamente la presa.

Leggi anche:
Sardegna Outdoor: 6 guide gratuite per scoprire le migliori attività all’aperto
Un secolo di chiusura: gli anni del supercarcere, dai prigionieri di guerra a Falcone e Borsellino
La strada per lo più asfaltata si fa spazio tra la vegetazione bassa passando accanto a muretti a secco e strutture abbandonate, ma anche edifici già recuperati e destinati a un nuovo uso. Sono un’eredità degli oltre cento anni in cui quest’isola è stata preclusa a tutti i visitatori. Unica eccezione: detenuti e carcerieri. I primi segni di presenza umana su questa piccola terra emersa risalgono addirittura al Neolitico, come dimostra il ritrovamento di una domus de janas, tipica tomba sarda scavata nella roccia del periodo pre-nuragico. Ma per entrare nel vivo della storia dell’Asinara bisogna avvolgere rapidamente il nastro fino alla seconda metà del XIX secolo, quando il Governo italiano decide di sfrattare i pochi residenti per creare una stazione sanitaria per i malati di tubercolosi e una colonia penale agricola. I tempi cambiamo in fretta, però, e bisogna tenere il passo della Storia. All’inizio della Prima Guerra Mondiale qui vengono relegati i prigionieri austro-ungarici; negli anni Trenta, in seguito alla Guerra di Etiopia, tocca ai deportati etiopi, tra cui la figlia del Negus, la principessa Romane Worq. Dagli anni Sessanta inizia invece la fase del carcere di massima sicurezza, forse la più famosa, e all’Asinara arrivano i brigatisti, i terroristi e i mafiosi, tra cui Raffaele Cutolo e Salvatore Riina.
Iscriviti alla nostra newsletter! Per te ogni settimana consigli di viaggio, offerte speciali, storie dal mondo e il 30% di sconto sul tuo primo ordine.

Gli edifici che ancora oggi si incontrano percorrendo la strada che attraversa l’Asinara sono tutte diramazioni dell’ex carcere o strutture a esso connesse, come le case in cui abitavano le guardie penitenziare, spesso con tutta la famiglia. Se i reclusi potevano arrivare a essere cinquecento o settecento, molti dei quali erano detenuti comuni che trascorrevano la giornata lavorando come agricoltori o pastori e tornavano in cella solo per dormire, il personale residente sfiorava le trecento unità. Una piccola comunità autonoma, insomma, ma separata – metaforicamente e letteralmente – dal mondo. Oggi alcune strutture dell’ex carcere sono ancora abbandonate. È il caso della diramazione di Fornelli, la prima che si incontra risalendo l’isola da sud: qui c’era il supercarcere vero e proprio, in cui sono stati reclusi esponenti delle Brigate Rosse, dell’Anonima sequestri e i condannati per mafia. Altre strutture sono state recuperate: l’ala che ospitava i condannati per violenza sessuale, ad esempio, oggi è la sede di un osservatorio faunistico.

L’unico residente fisso dell’Asinara oggi è Gianmaria Deriu, ex guardia penitenziaria: arrivato quando aveva vent’anni, è rimasto anche dopo che il carcere ha chiuso definitivamente i battenti permettendo la nascita, nel 1997, del Parco Nazionale dell’Asinara. Memoria storica dell’isola, è lui a raccontarci degli ex detenuti che sono tornati a trovarlo da uomini liberi o anche di quando, pochi mesi prima del Maxiprocesso di Palermo, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si sono stabiliti qui per motivi di sicurezza, nell’edificio che oggi ospita la caserma del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale. Gli unici altri residenti fissi dell’isola, se così vogliamo chiamarli, sono gli animali impiegati per decenni nella colonia agricola penale e nelle ore di lavoro esterne al carcere che poi, con la nascita del Parco Nazionale, si sono inselvatichiti. Oggi in libertà ci sono centinaia di capre, cavalli, mufloni e gli immancabili asini, come promette la toponomastica. Quelli bianchi, particolarmente sensibili al sole, passano le ore più calde in cerca di ombra e solo nel pomeriggio è facile trovarli vicini alla strada, pacificamente impegnati a brucare qualche arbusto.

Leggi anche:
Viaggio in Sardegna, come arrivare e cosa vedere all’Asinara
Attraversare l’Asinara è un viaggio a tappe nella storia del Novecento a cui si somma il piacere di scoprire la bellezza selvaggia di quest’oasi naturale. Una volta raggiunta l’isola via mare (oltre ai servizi privati, c’è il collegamento marittimo pubblico da Porto Torres), ci si può spostare sull’unica strada noleggiando bici o auto elettriche. Per raggiungere gli angoli più incontaminati dell’isola è però meglio procedere a piedi sulla modesta rete di sentieri escursionistici, da affrontare quando le temperature non sono eccessivamente alte data l’assenza di ombra e acqua. Più suggestivo ancora è fare la conoscenza di quest’isola dal mare. Oltre alle escursioni in canoa, all’Asinara vengono organizzate anche esperienze di swimtrekking, che, come suggerisce il nome, consistono nel nuotare ogni giorno lungo un tratto di costa: i prossimi appuntamenti in programma sono ad agosto 2024. Per chi vuole semplicemente rilassarsi sulla sabbia e al massimo esplorare i fondali mediterranei, invece, le spiagge in cui è consentito fare il bagno sono quelle di Fornelli, cala Stagno Lungo, Trabuccato, cala Murighessa e Punta Sabina.

La maggior parte dei visitatori lascia l’Asinara in giornata, ma chi vuole fermarsi più a lungo può pernottare nell’Ostello-Ristorante o nella Locanda del Parco: entrambi si trovano a Cala d’Oliva, un piccolo agglomerato di edifici, nella parte settentrionale dell’isola, in cui oltre un secolo fa, prima degli anni del carcere, viveva una comunità di pescatori liguri di Camogli. Tra le cose da fare sull’isola c’è anche la visita alla sede dell’associazione Crama, che si occupa del recupero di animali marini. Negli anni sono state curate e rilasciate una tartaruga verde e circa centocinquanta tartarughe caretta rimaste impigliate in fili di lenza, ferite dallo scontro con le eliche delle barche o, più frequentemente, in grave difficoltà a causa dell’ingestione accidentale di plastica. Al centro, che si trova vicino a Cala Reale (dove c’è anche un Centro Visite), si accede accompagnati dai volontari. Per saperne di più sulla storia recente dell’isola c’è invece l’Osservatorio della Memoria: inaugurato nel 2017 nell’ex Diramazione Centrale di Cala d’Oliva, è un piccolo percorso espositivo sulla vita nella colonia penale.
