Boracay, l’isola rinata
La storia è nota in tutto il mondo: travolta da un’ormai solito destino, Boracay, l’isola più famosa delle Filippine, è stata chiusa al turismo per sei mesi, a partire da aprile 2018. Una decisione storica che ha consentito al Governo di mettere in opera un piano senza precedenti: due anni di lavori per riparare i danni provocati dal tumultuoso sviluppo di questa icona fatta di palme, mare cristallino e spiagge bianchissime. Siamo andati a vedere i risultati di questa coraggiosa operazione.
Gennaio 2019. Arriviamo a Boracay in un giorno di pioggia e vento, una settimana dopo il passaggio del tifone che, proprio nella notte di Natale, ha spazzato l’isola lasciandola senza luce, acqua e collegamenti telefonici. Questo è un posto piccolo e fragile ma resiliente: la gente del posto cade e poi si rialza, sorridendo. Anche quando non c’è il sole.
Ciò che ha fatto innamorare backpacker e stelle del cinema di Boracay, si chiama White Beach, una delle spiagge filippine più belle: 4 chilometri di sottilissima sabbia bianca e una cortina di palme, di fronte al mare più trasparente che ci possa essere. La spiaggia è tornata a essere un sogno a occhi aperti, ora che c’è un sistema fognario adeguato e un controllo severo sulle attività commerciali. Tutto il litorale è uno spettacolo sempre più raro, purtroppo, in Asia come in Europa, nei mari del sud come nel Mediterraneo: lettini, sdraio, ombrelloni, chiringuito, venditori abusivi di paccottiglia, tutto ciò che qui stazionava a meno di 25 metri dalla riva del mare è stato rimosso. Davanti a noi ora c’è solo spiaggia immacolata. Il numero di turisti ammesso oggi è ben controllato e non può superare una quota massima e chiunque arrivi deve (finalmente!) rispettare nuove, semplici regole: niente bottigliette di plastica, sigarette, alcol e feste in spiaggia.
La strada è trafficata, il caos è quello tipico di qualunque angolo dell’Asia. Protagonista assoluto è il risciò filippino: un piccolo sidecar con tettuccio fissato a una motocicletta. Rumoroso. Inquinante. Destinato a essere sostituito dall’E-trike, la versione elettrica che qui sta prendendo il sopravvento: silenzioso, elegante. Comodo. Ci lasciamo trasportare, orgogliosi di muoverci senza recare danno.
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Orientarsi sull’isola di Boracay è facile, basta sapere che la spiaggia si divide, da nord verso sud, in Station 1, 2 e 3: sono i nomi che corrispondono alle tre ex stazioni dei traghetti. Coloro che cercano sistemazioni economiche, troveranno un’ampia offerta nell’area di Station 3 mentre la tranquilla Station 1 ospita diversi hotel di categoria superiore. La nostra preferenza va a The Lind non solo perché è il più elegante, con la sua infinity pool vista mare al quinto piano; ma soprattutto perché ha bandito la plastica in tutta la struttura.
A Boracay, le giornate scorrono lente, tra bagni di sole, gite alla vicina barriera corallina e pigri sonnellini all’ombra di una palma. I più sportivi si cimentano con kitesurf e windsurf sulla spiaggia di Bulabog, situata sul versante orientale. A White Beach, per contro, non c’è molto da fare ma questo è il suo punto forte. Infatti, moto ad acqua, banana boat e altre fastidiose forme di intrattenimento sono state trasferite su una piattaforma a diverse centinaia di metri dalla riva.
Ma Boracay non è solo White Beach. Per quanto incredibile possa sembrare, su questa piccola isola ci sono altri placidi angoli di paradiso. La parte più verde e selvaggia è la zona nord occidentale, dove si nascondono i resort più esclusivi: Crimson, Shangri-La e Movenpick dispongono di spa, infinity pool, deliziosi ristoranti e una spiaggia immacolata interamente riservata agli ospiti. Non a caso, è proprio qui che assistiamo allo schiudersi delle uova di decine di tartarughe che poi goffamente guadagnano il mare. Sul versante opposto, la piccola e selvaggia Puka beach, conserva il fascino della spiaggia da naufraghi, essendo del tutto priva di qualsiasi tipo di costruzione.
Tutti però, pigri vacanzieri o adrenalinici sportivi, coppie in luna di miele o irrequieti backpacker, si ritrovano in riva al mare ad ammirare il tramonto che qui possiede il richiamo dei grandi fenomeni della natura. Sulla tavolozza chiara di White Beach, la luce del sole che s’immerge all’orizzonte, assume colori irreali mentre in acqua, decine di coloratissimi paraw (la tradizionale piccola imbarcazione a vela con bilanciere) accompagnano gli ospiti per la più romantica delle escursioni.
Questa è Boracay, oggi. Le Filippine sono un arcipelago composto da oltre settemila isole: lasciare che il turismo le possa consumare, una dopo l’altra, abbandonandole dopo averle devastate, è quanto di peggio si possa fare. La sfida consiste nel proteggere ciò che ancora è intatto, recuperare ciò che abbiamo danneggiato, limitare il nostro impatto, darsi delle regole. Come in questo caso. C’è ancora molto da fare prima di raggiungere il traguardo ma questa ci sembra la strada giusta.
Angelo ha viaggiato in collaborazione con Philippines Department of Tourism. I collaboratori di Lonely Planet non accettano gratuità in cambio di recensioni positive.