Hubei: viaggio (immaginario) dove tutto è iniziato

Redazione Lonely Planet
8 minuti di lettura

Prima che il mondo scoprisse il coronavirus, ovvero prima di gennaio, anche lo Hubei - la regione di Wuhan- come gran parte della Cina centrale, era conosciuto soprattutto per la cintura industriale, oppure semplicemente sconosciuto. Passava inosservata la bellezza dei suoi lussureggianti paesaggi fatti di parchi monta­ni e pianure caratterizzate da fiumi, laghi e siti sacri taoisti, ma siamo andati a scoprirla ed ecco il nostro viaggio immaginario nel luogo più chiacchierato del momento.

Un tempio sulle montagne del Wudang, Hubei ©Katoosha/Shutterstock
Un tempio sulle montagne del Wudang, Hubei ©Katoosha/Shutterstock
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Le Tre Gole, a cavallo del confine, sono spettacolari, mentre nella zona montuosa occidentale si in­nalzano le sacre vette del Wǔdāng Shān, in un’atmosfera da film di arti marziali, con i villaggi abbarbicati sui monti an­cora saldamente legati alla disciplina del taichi e alle virtù taoiste. Il Parco Nazionale di Shénnóngjià accoglie gli escur­sionisti con i colori tenui dei suoi incontaminati paesaggi. 

Ora che dobbiamo stare chiusi a casa per un po’ e che sicuramente, anche potendo, non sceglieremmo proprio la regione da cui si è propagato il coronavirus, abbiamo deciso di visitare virtualmente Wǔhàn e lo Húběi, perché conoscere vuol dire viaggiare.

Il Wǔdāng Shān, Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO e luogo di nascita della nobi­le arte del taichi ©Bamboome/Getty Images
Il Wǔdāng Shān, Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO e luogo di nascita della nobi­le arte del taichi ©Bamboome/Getty Images

1. Wǔdāng Shān, dove è nato il taichi

Non ci sono molti posti al mondo come il Wǔdāng Shān, Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO e luogo di nascita della nobi­le arte del taichi. Una foschia bassa avvolge i cortili delle scuole taoiste dove, in un’aura mistica, i maestri e i loro allievi si esercita­no in perfetta sincronia con movenze fluide e i viaggiatori affrontano in una sorta di ri­verente stordimento la salita di tre ore lungo l’antica scalinata in pietra. La ‘Montagna tao­ista n. 1 del Regno di Mezzo’ è però più di un semplice luogo di pellegrinaggio, poiché sul­le sue pendici crescono piante officinali dal­le quali si ricavano rimedi naturali vendu­ti a ogni angolo e i panorami che si aprono dall’alto dei suoi versanti non hanno eguali in tutta la Cina. Allontanandovi dall’edificio e dai venditori, incontrerete sentieri non se­gnati che vi condurranno a templi ricoper­ti di muschio tra paesaggi naturali dalla bel­ lezza eterea. Non dovrete fare altro che ral­lentare il passo e respirare a pieni polmoni. 

Sa­lendo sul Wǔdāng Shān si incontrano perso­ne di tutti i tipi: monache taoiste con lo zai­no in spalla, operai che trasportano pietre da lastrico o sacchi di riso, uomini d’affari con il tablet e ottuagenari dallo sguardo vispo che procedono a passo spedito. La salita è este­nuante, ma lo spettacolo del paesaggio vale ogni singolo passo; lungo il percorso trovere­te numerosi templi taoisti (dove potrete fer­marvi a meditare e riposare), ma anche tumuli di pietre e alberi adorni di nastri scarlatti con piccoli sassi legati alle estremità. Sulla via del ritorno vedrete che qualcuno scende cammi­nando all’indietro! 

La nascita del Taichi

Zhang San Feng, un monaco semileggendario vissuto sul Wǔdāng Shān tra il X e il XIII secolo, è ritenuto il fondatore dell’arte marziale del tàijíquán (letteralmente ‘boxe della suprema polarità’) o taichi. Insoddisfatto delle tecniche ‘cruente’ della boxe shàolín, Zhang era alla ricerca di qualcosa di più ‘delicato’ ed elusivo. Un giorno, seduto nel portico di casa, ebbe l’ispirazione osservando il combattimento tra un grosso uccello e un serpente. Con i suoi movimenti fluidi e sinuosi, il rettile riusciva sempre a sfuggire agli attacchi, finché l’uccello, esausto, volò via. Il taichi è strettamente legato al taoismo e sul Wǔdāng Shān molti sacerdoti praticano quest’arte marziale. 

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Lo Húběi sfoggia un’enorme bellezza natura ©bleakstar/Shutterstock
Lo Húběi sfoggia un’enorme bellezza natura ©bleakstar/Shutterstock

2. Sulle tracce dell’uomo selvaggio a Shénnóngjià

Lo Húběi sfoggia tutta la sua bellezza natura­ le nella parte nord­orientale della provincia, e in particolare nel Parco Nazionale Yāzikǒu, situato nella regione di Shénnóngjià. Raggiungibile percorrendo (preferibilmente in autobus) una spettacolare strada tutta in salita, è attraversato da un percorso escursionistico con ben 3000 gradini ed è il regno del leggendario yěrén (‘uomo selvaggio’), che si aggirerebbe tra i ruscelli, i precipizi e la fitta vegetazione che ricopre le alture del parco. In basso scorre il fiume Yangzi, che erode inesorabilmente le pareti rocciose ai suoi lati, mentre dà sostentamento ai rinopitechi dorati e alle salamandre che popolano la foresta. 

Piccolo ma ben organizzato dal punto di vista turistico, con alberghi, ristoranti e ne­gozi di generi di prima necessità, il villag­gio di Mùyú è il principale punto di partenza per andare alla scoperta del parco. 

Gli stranieri possono accedere a una sola delle quattro zone del parco Yāzikǒu, cioè quella di Yāzikǒu, che comunque è abbastan­za grande per fare delle belle escursioni fermandosi anche a campeggiare. Xiǎolóngtán, a circa 10 km dall’ingresso, offre buone probabilità di vedere le scimmie, men­ tre Shénnóngdǐng, a 20 km dall’in­gresso, è la vetta più alta del parco (3105 m).

3. Wǔhàn, il polo culturale dell’Húběi

Wǔhàn nasce dalla fusione di tre città minori che, espandendosi a dismisura, hanno forma­to un centro industriale e commerciale con diversi siti culturali di pregio, tra cui spicca­no la Torre della Gru Gialla e un fantastico museo. Con un turbolento passato che copre circa 2000 anni di storia.

In mezzo al traffico e allo smog lo Yangzi regala un po’ di respiro alle strade densa­mente urbanizzate, passando nel suo corso tra parchi ondulati, laghi e un’area ricreati­va risalente all’epoca delle concessioni nel distretto di Hànkǒu, la migliore delle tre cit­tà, con un’economia in forte crescita. Non è un posto da souvenir a buon mercato, bensì la quintessenza della Cina urbana, ma è pro­prio per questo che vale la pena di scoprirla. 

La torre della gru gialla di Cui Hao

Scritto nell’VIII secolo da Cui Hao, grande poeta della dinastia Tang, il poema rievoca la partenza di un uomo, forse verso l’immortalità, sul dorso di una gru gialla. Nel punto da cui spiccò il volo sorge oggi l’omonima torre. 

Torre della gru gialla

Tanto tempo fa un vecchio se ne andò sulla Gru Gialla; quel luogo ora è vuoto, tranne che per la Torre della Gru Gialla. 

Prese il volo la Gru Gialla e non fece più ritorno; da 1000 anni quiete e lievi solo le bianche nuvole si librano in cielo. 

Ad Hànyáng gli alberi sfilano lungo le limpide acque del fiume e l’erba profumata cresce folta sull’Isola dei Pappagalli. 

Dov’è al crepuscolo la soglia della mia casa? La foschia cala sull’acqua increspata del fiume e io mi rattristo. 

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Le Tre Gole, sul fiume Yangtze©View Stock/Getty Images
Le Tre Gole, sul fiume Yangtze©View Stock/Getty Images

4. Da Yíchāng alle Tre Gole

Yíchāng è una città compatta in cui arrivano molte delle crociere alle Tre Gole. Attraversare questa formazione geologica così par­ticolare è un’esperienza unica, che per mol­ti rimane il ricordo più bello del viaggio in Cina. A Yíchāng non c’è molto per cui valga la pena di fermarsi (se non per prepararsi o riprendersi dal viaggio in nave), ma il qua­dro complessivo non è male, con lo Yangzi a fare da sfondo a un ambiente urbano sen­za pretese pieno di bancarelle di street food. 

La gigantesca Di­ga delle Tre Gole è la più grande al mondo per lunghezza (2,3 km), ma non per altezza (101 m) e, se anche non è la più spettacolare, merita comunque una visita. Non la si può percorrere a piedi, ma a nord c’è un’area pa­noramica. Da sud, però, la vista è più o me­no la stessa e in più non si paga. 

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5. In bicicletta alla scoperta dei resti antichi di Jīngzhōu

Facilmente raggiungibile con i treni veloci da Wǔhàn, Jīngzhōu è un’affascinante città storica, che fu la capitale del regno di Chu du­rante la dinastia dei Zhou Orientali. Le testimonianze delle sue antiche origini sono rac­chiuse all’interno della cinta muraria, una delle più belle di tutta la Cina. Oltre a diver­si templi antichi, Jīngzhōu vanta uno stre­pitoso museo in cui è conservato il corpo di un uomo hàn di 2000 anni fa. Sparsi nella fertile campagna intorno alla città si trova­ no diversi antichi siti di sepoltura, il più fa­moso dei quali è Xióngjiā Zhǒng, che costi­tuisce il più grande insieme di tombe del re­gno di Chu mai scoperto finora. 

La parte di Jīngzhōu racchiusa entro la cin­ta muraria si estende per circa 3,5 km da est a ovest e per 2,5 km da nord a sud, con im­ponenti porte d’accesso in corrispondenza di ciascun punto cardinale e una serie di altri varchi minori. La prima cinta muraria di Jīngzhōu, risalente all’epoca degli Han Orien­ tali, era costituita da mura in argilla compattata, rivestite poi di pietra durante le Cinque Dinastie e i Dieci Regni. 

Le parti più antiche giunte fino a noi, che si trovano intorno al­la Porta Meridionale, sono di epoca Song, mentre il resto è databile in gran parte alle dinastie Ming e Qing. La Por­ta Meridionale, con la relativa zona fortifica­ta, conserva ancora oggi un po’ del sapore della Jīngzhōu medievale, brulicante com’è di indovini taoisti, artigia­ni e venditori di verdura. 

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Cina
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