La storia di Anna Maria: come una pizzeria a Kathmandu ti salva la vita
Ti stringe la mano con eleganza, e la sua raffinata dolcezza è tutto ciò che non ti aspetteresti valicando la soglia di una pizzeria a migliaia di chilometri dall’Italia. Anna Maria Forgione veste i tailleur Coco Chanel ma tra i tavoli di Fire and Ice indossa sempre una camicia bianca su pantaloni neri. Un taglio sbarazzino le cade con perfetta grazia sullo sguardo sorridente di ragazza nata nel 1951, e nella voce risuona il fascino mescolato d’un accento di nascita napoletano, il matrimonio inglese, gli anni vissuti ovunque nel mondo, e la rinascita precisa a Kathmandu. Così, mentre ci offre un profumato succo di tangerine, Annamaria rivela come il Nepal le abbia salvato la vita.
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Una guarigione nel silenzio e nei colori
Già, perché Fire and Ice è il simbolo del punto a capo della sua vita qui, dove giunse nel 1988 accompagnando suo marito, che aveva ricevuto l’incarico di insegnare inglese nella capitale di un paese «che a malapena sapevo dove si trovasse sulla cartina». La verità è che Anna Maria doveva dare una svolta radicale alla sua vita: «mentre vivevamo a Londra, improvvisamente il mio corpo si paralizzò. Non riuscivo più a muovermi, non si capiva cosa avessi, forse qualcosa legato allo stress, a uno stile di vita intenso per il tanto lavoro e gli impegni familiari, visto che sono anche madre di cinque figli».
E dunque il 16 settembre 1988 atterrò a Kathmandu. «Ero ridotta così male che non riuscivo a scendere nemmeno dalla scaletta dell’aereo, ma quell’arrivo mi fece subito capire che mi aspettava qualcosa di speciale: ad accogliermi alle sette del mattino, tutt’intorno mi abbracciava una cintura di montagne straordinarie. Il cielo era fresco, terso, crispy, e quella visione mi commosse profondamente». Qualcosa cambiò dentro Anna Maria e in un paio di anni guarì completamente. La sua ricetta di salute fu genuinamente a base di pace e silenzio, alimentata dalle premure dei familiari. «Apprezzavo così tanto il Nepal di allora, le vaste risaie, il verde su cui mi affacciavo dal terrazzo di casa, e soprattutto quelle donne che con i loro sari scintillavano colorate in lontananza. Suscitavano in me una tale gioia, immaginarle farsi belle come vestite da sera, anche solo per andare a piantare del riso come ogni mattina. Le ammiravo, e già capivo che erano loro a portare avanti le sorti di questo Paese: le donne nepalesi svolgono i lavori più pesanti e rappresentano il nucleo di una comunità in cui, purtroppo, gli uomini si esprimono ancora con antico maschilismo».
Il gusto delle proprie origini
È passata più di un’ora dall’inizio del racconto di Anna Maria, ma è ancora mattina presto: la squadra di Fire and Ice, composta da una sessantina di collaboratori, sta finendo di preparare le centoquaranta sedute per le colazioni che accolgono quattrocento ospiti di media, seicento nei giorni più pieni. «Perché questa non è solo una pizzeria, ma un locale aperto dalle otto a tarda sera».
Dalle pareti ci scrutano i volti degli attori italiani più noti, mentre un’aria pucciniana diffonde nel locale l’inconfondibile voce di Pavarotti. Alla spremuta agrumata intanto si è aggiunto un cappuccino, come non se ne trovano altrove in città. D’altronde Fire and Ice è il tempio dei sapori italiani, dove si servono piatti della nostra tradizione, che accostano verdure, farine, spezie e altri prodotti a chilometro zero all’olio evo, alla pasta e al parmigiano importati dall’Italia. «Anche la mozzarella la produciamo qui: pian piano ho insegnato ai miei ragazzi a sentire italiano. Gli ho raccontato del cinema, della nostra cultura, del modo di stare a tavola, tanto che Fire and Ice è in realtà un ritrovo apprezzato in particolare dai nepalesi, dove venire a scoprire un cibo semplice ma diverso dalle ricette locali».
Un progetto nato nel 1994, incoraggiato dall’esperienza maturata al fianco del primo marito: «un banchiere con cui ho girato il mondo, per il quale ero abituata a preparare da sola cene per quaranta persone intorno al tavolo». Poi il periodo di apprendistato a Parigi per capire come tirar su un locale che funzioni e i frequenti viaggi a Napoli per comprendere a fondo i segreti della vera pizza italiana. «Si tratta di piccoli dettagli, come l’equilibrio tra impasto e guarnizioni, per un risultato che sia leggero e fragrante». Ma soprattutto Anna Maria sottolinea che «l’ingrediente fondamentale è l’amore per il cibo, per il ricordo di chi siamo, da dove veniamo, per il mangiare onesto, dove anche l’accoglienza è italiana al cento per cento. Dove, appena entri, già ti senti a casa».
Il terremoto, una ruspa e un grande curry
E venne il 25 aprile 2015, il giorno del terremoto che ha scosso la città e i suoi dintorni con una magnitudo 7.8 sulla scala Richter. «Un momento terribile, in cui tutto quello che ho potuto fare è stato restituire un piccolo contributo al paese che tanto mi aveva donato». Alle 11:30 di quella mattina, Anna Maria disse alla cassiera che sarebbe andata a casa a farsi una doccia, quando d’un tratto trasalì: «non ho fatto colazione, mi si muove la terra sotto i piedi!». Poi il panico: come ogni sabato, il ristorante era pieno di bambini, ma per fortuna l’edificio ha tenuto bene. «La gente in strada si muoveva lenta e stralunata.
Mettemmo fuori le nostre panchine e le caraffe d’acqua, in molti avevano bisogno di cibo, così cucinammo un grande curry con gli avanzi disponibili e poi andammo avanti per giorni consumando tutte le nostre scorte, mentre i mercati erano chiusi. La luce mancò per almeno 48 ore, ma grazie a un generatore potevamo ospitare chiunque avesse bisogno di ricaricare il telefonino. Ben presto mi resi conto che c’erano però cose ancora più importanti da fare: visitando i villaggi intorno capii che bisognava togliere di mezzo tonnellate di macerie. Così affittai una ruspa e un camion, e per oltre un mese ci impegnammo a ripulire alcuni villaggi nella zona di Harisiddhi Sankhu».
In fondo il Nepal in ginocchio di tre anni fa sembrava come uscito da una guerra, «uno scenario non troppo diverso dall’Italia in cui nacqui io. E allora penso che questo cibo che piace a tutti, alla portata di tutti, dalla forma rotonda e senza punte, intorno ai cui spicchi ci riuniamo, senza che ci sia un primo né un ultimo, rappresenta davvero il piatto perfetto». Dunque è proprio vero, come disse la BBC in un servizio dedicato a Fire and Ice, che sì: pizza makes the world go round. È la pizza che fa girare il mondo.
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Da quando è nata a Roma nel 1976 ne ha fatte tante, perché c’è troppo da vivere per scegliere. Così Valentina Lo Surdo è conduttrice radiotelevisiva, pianista classica con anima rock, trainer di comunicazione, ma pure presentatrice, speaker e attrice. Oltre che reporter, autrice di viaggi in cammino e in solitaria, all’ascolto del mondo.