Salé, la città immobile del Marocco

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Il cimitero islamico di Salé si trova in un luogo insolito, eppure perfetto. Davanti al mare, nella zona più suggestiva e privilegiata della città. È una questione di tutela della memoria, quel cimitero, in quella posizione. Come se gli abitanti di Salè, abituati agli arrivi e alle partenze, legati al destino del mare con un passo di corda nodosa, volessero riservare ai defunti lo spettacolo più seducente della loro città. 

Salè Marocco
Il profilo di Salé, Marocco
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Una distesa di lapidi maestosa, una collinetta che scende fino a riva e consegna alle anime il doppio lascito di approfittare di questo scenario e di vigilare sul destino dei vivi. 

Salé custodisce con cura e deferenza il proprio retaggio di storia, racconti e tradizioni. Lo fa a costo di mimetizzarsi dietro l’ingombrante ruolo della sua città gemella - Rabat - che dall’altra parte del fiume Bou Regreg si anima e si sviluppa facendo leva sul proprio status di capitale, di centro amministrativo nevralgico, di metropoli del Magreb del futuro. 

Per Salé è diverso. Quelli che vivono a Rabat parlano della gente di Salé come hayihmaqu fi-l-asr, colloquialmente: “coloro che impazziscono all’ora della preghiera”. Eppure, camminando per la città ed entrando nella medina da Bab Bou Haja, la porta che si apre nelle mura di sud-ovest e si affaccia in Place Bab Khebaz, queste fibrillazioni fondamentaliste non si avvertono.

Il cimitero islamico di Salé © Valerio Corzani
Il cimitero islamico di Salé © Valerio Corzani

Da Rabat a Salé cambia il mondo

È pur vero che Salé, a differenza di Rabat, ha resistito alla modernizzazione e ancora oggi presenta lo stesso modello di base composto di vicoli tortuosi tra mura prive di finestre, bazar, moschee, bagni pubblici, ombrose sale da tè, fontane in piastrelle blu e bianche. Traffico ripartito tra automobili e asini, come nel centro di Fès. Umori forti, odori di spezie, legna da ardere, carne macellata ed esposta: il tutto accarezzato da una brezza incessante e salmastra che porta il sapore del mare. Questo è l’ambiente, cambiato meno di altri negli ultimi secoli, che ci troviamo ad attraversare. Il suo stato di conservazione architettonico, spirituale e umano è anche il termometro del suo fascino.

Salé ha una medina di novanta ettari piena di anfratti curiosi, un suq ricco e vivace, una moschea costruita durante l’epoca almohade e una medersa del 1300 che è un capolavoro dell’arte merinide e che regge il confronto con la Bou Inania di Fès. Poi c’è lo stupefacente cimitero, un acquedotto antico come la moschea, un ospizio sufi. C’è insomma la memoria di un passato glorioso che i suoi abitanti conservano gelosamente. Il primo a ricordarci quel passato è un ex immigrato. 


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La medersa  di Salé © Valerio Corzani
La medersa di Salé © Valerio Corzani

Chiacchiere da suq

Aziz attacca bottone a chiunque passi nei pressi della piccola stamberga in cui tesse i suoi teli di stoffa, un loculetto incastonato nella zona centrale del suq di Salé. “Dei” suq bisognerebbe dire, perché i suq di Salè in realtà sono tre, uno incastonato nell’altro:

- Souq el-Ghezel, il mercato della lana.

- Souq el-Merzouk, dove si fabbricano e vendono tessuti, oggetti in vimini, gioielli, pelletteria.

- Souq el_Kebir, dove si scoprono distese di abiti di seconda mano e utensili. 

La gente che si incontra qui è gentilissima e disponibile. I mercanti ci invitano a fare foto, fanno domande, raccontano.

Aziz ha fatto il muratore a Palau fino all’anno scorso e nel suo italiano meticcio rimbalzano spesso degli ehia, il certificato di una permanenza sarda pluriennale. La Sardegna ce l’ha nel cuore, a Salé è ripiegato dopo essere stato espulso dall’Italia perché da noi non è mai riuscito ad ottenere il permesso di soggiorno. È un fiume in piena e la prima cosa che segnala sono i suoi avi corsari. “Sai cos’è un marabut? – mi chiede – è un santo! – aggiunge senza aspettare risposta - uno che ha un tempio a lui dedicato. Ebbene al-Ayyashi era un grande pensatore sufi, ma era anche un corsaro, nonché, per qualche anno, il governatore della Repubblica di Salé”. Lo guardo un po’ scettico, cercando di capire dove vuole andare a parare. Aziz continua a parlare e intanto muove le fila del suo telaio artigianale. “Io sono uno dei suoi discendenti, ma questo non c’è scritto nei libri di storia. Quel che c’è scritto è che al-Ayyashi era un comandante che si stabilì proprio in questo quartiere di Salé e che per molti anni governò con grande saggezza una città che era piena di marinai, rinnegati, andalusi, berberi, bucanieri e pirati...”.


I suq di Salé © Valerio Corzani
I suq di Salé © Valerio Corzani
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Utopia pirata

Di tutti gli stati barbareschi (gli stati della costa berbera che nel XVI secolo vivevano di scorrerie) Salé è stato l’unico nel quale i corsari ottennero l’indipendenza. Algeri, Tunisi e Tripoli erano protettorati, ma Salé, per qualche decennio durante la prima metà del diciassettesimo secolo fu governata da un Divan, o consiglio di capitani corsari. Fu una vera “utopia pirata”, come l’ha definita Peter Lamborn Wilson nel suo studio sui corsari mori: la Repubblica di Bou Regreg, la Repubblica pirata di Salé. 

“Non devi pensare ai corsari come a una colonia di delinquenti. Alcuni di loro erano dei religiosi ferventi, altri semplici lavoratori. Certo, tra i pirati c’erano anche dei farabutti – chiosa Aziz che nel frattempo ci ha portato a degustare un tè speziato al Cafè Chawasimu Lemsissa, andando a ritroso all’ingresso del suq - ma perlopiù era gente che combatteva contro lo strapotere commerciale degli imperi e lo faceva con coraggio e grande abnegazione. Come al-Ayyashi che non è solo un mio avo è anche l’eroe di tutti in questa città”. 

In realtà il tempio, situato proprio dietro la grande moschea, è dedicato al maestro sufi Sidi Abdallah, santo patrono di Salè venerato da molti viaggiatori. Del pirata al-Ayyashi che pure è esistito, che di Abdallah è stato allievo e che ha avuto un ruolo nella storia di questa enclave, non ci sono vestigia architettoniche. Ci sono passi nei libri di storia marocchina e c’è il tam tam di Aziz, che pure, basta e avanza.

Chissà se ha degli avi tra i bucanieri anche l’insistente faux guide, che incontriamo nei pressi della medersa, dove prova ad accompagnare i turisti in cambio di una lauta mancia. In realtà non c’è nessun bisogno di una guida nel suq di Salé, né nella medersa che è presidiata da un guardiano al quale si devono pagare pochi diram, nulla più. In passato gli studenti islamici occupavano tutte le piccole celle situate intorno alla galleria damascata. Oggi mi arrampico solitario lungo una stretta scala che conduce a un tetto terrazzato sopra le celle. Di allievi non ce ne sono più, di turisti neanche l’ombra: si può girare indisturbati per la medersa Bou Inania e bearsi di scorci mozzafiato. 


Salé ha una lunga tradizione legata al mare
Salé ha una lunga tradizione legata al mare

La moschea, gli gnaoua e il cimitero vista oceano

Per la moschea è diverso, ma in quel caso interviene Aziz che mi regala un lasciapassare davvero prezioso per poter entrare all’interno, fare qualche foto veloce e tornare fuori. Agli infedeli non è concesso perlustrare la moschea, ma quel che ho visto è bastato a lasciarmi senza fiato e a benedire il momento in cui ho deciso di superare i clichè turistici e venire a Salé. Quattro signore chiacchierano in un salotto all’aperto e dalle loro espressioni sembrano intente a sviscerare un pettegolezzo con tutti i crismi. 

Il suono metallico delle raqs, le nacchere arabe, ci riporta per le strade del suq. Alcuni musicisti di una confraternita sufi sta celebrando la propria processione quotidiana che è per metà una questua porta a porta, per metà uno spettacolo di strada. Hanno gli occhi stravolti dalla trance e suonano una musica dal forte connotato ritmico. Il piccolo show della confraternita mi accompagna fino al limitare della strada che costeggia il cimitero.

Nel frattempo, Aziz è venuto a dare una mano a certi suoi conoscenti che stanno ricostruendo la tomba di un parente. 

Aziz mi vede e mi saluta con un roboante Ahiò! In questo contesto, va da sé, suona come un’esclamazione piuttosto esotica. Ma è pur vero che da queste parti, in epoca corsara e per molti secoli, si è parlato anche il sabir, una specie di esperanto che metteva insieme idiomi del mediterraneo, dialetti nordafricani, slang marinaro, per cui anche il dialetto sardo può trovarvi cittadinanza senza problemi. Aziz si sfila dal gruppo e ricomincia il suo pirotecnico inno alla pirateria, aggiungendovi stavolta anche un tributo all’oceano: “Il miglior sermone del cadì non potrebbe mai uguagliare la bellezza di questa scena”. Aziz è davvero un entusiasta, ama l’Italia, e vede la mia visita a Salè come un’occasione per ricambiare l’ospitalità ricevuta in Sardegna. E come un modo per far vedere a un italiano le bellezze della sua città natale.  

Insiste per portarmi a pranzo da certi suoi parenti che hanno un terrazzo adibito a locanda proprio di fronte al cimitero. Cerco di fargli capire che non è esattamente il panorama che prediligo per assaggiare yogurt all’aglio e tajines speziate di carne e frutta, ma naturalmente non c’è niente da fare. 

“Vedi – mi dice Aziz mentre più tardi scendiamo verso la spiaggia per provare a digerire le 12 porzioni di pietanze che ci hanno offerto i suoi cugini – la vita dei pirati era una manna. Avevano la mentalità del “lavoro zero”: cinque o sei mesi in panciolle nei caffè moreschi, poi una crociera estiva su un bell’oceano azzurro, poche ore di sforzo, la razzia, e in men che non si dica ecco finanziato un altro anno di pigrizia. Io fatico quando lavoro nel suq o faccio il manovale. Loro no. Loro progettavano bagordi”. 

Siamo in spiaggia davanti a un oceano che borbotta le sue intemperanze come un vecchio bucaniere. Devo dire che visto da qui, in quest’ora del meriggio, il discorso di Aziz non fa una piega. Sto pensando di fermarmi un’altra notte a Salé, avremo modo di approfondire altri punti di vista, pirateschi e non, prima che arrivi la sera. 

A proposito, una delle poche opportunità di pernottamento in città lo assicura il Camping de la Plage. Pochissima ombra, tutto sommato sicuro, il campeggio è aperto tutto l’anno, costa solo 40 diram a persona (poco più di 4 euro) per un duplice panorama: quello cangiante dell’oceano e quello immutabile del cimitero islamico. Nel caso, non fatevi suggestionare. Dopo un po’ le spoglie terrene della gente di Salé e lo spirito dei corsari che scorrazzavano qua intorno vi diventeranno familiari e complici. 


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