Consigli per mamme che viaggiano da sole
Le donne che viaggiano da sole non destano più troppo stupore, almeno nella maggior parte dei casi. Ma cosa succede se queste donne sono mamme? Paola Scaccabarozzi, giornalista e scrittrice brianzola, ne è un esempio: da anni lascia spesso figli e marito a casa per viaggiare in solitaria verso India, Nepal, Etiopia, Israele e in qualunque altra meta vicina o lontana solletichi la sua curiosità. Perché, come scrive in Ragazzi, la mamma parte! Viaggiare da sola con la famiglia a casa (Giraldi Editore), “il viaggio in solitudine, con una famiglia a casa per scelta, è prima di tutto: aria fresca, la tua”.
La prima volta che Paola mi racconta del suo libro stiamo bevendo un caffè vicino a Stazione Centrale a Milano. “Il tema suscita interesse”, mi dice. “Durante le presentazioni mi fanno sempre molte domande”. Ho il dubbio che quelle domande – ora fatte dai lettori, ma negli anni probabilmente anche da amici, colleghi e conoscenti - siano alimentate in modo più o meno consapevole da un pregiudizio. In una società in cui ancora troppo spesso la maternità coincide con la rinuncia obbligata a ciò che non rientra più nei confini della vita familiare, a partire dal lavoro, l’idea di una mamma che si ritaglia tempo ed energie per coltivare la passione del viaggio in solitaria, magari a parecchi fusi orari di distanza, sospetto possa suscitare in alcuni un certo turbamento. “Il giudizio da parte degli altri, uomini e donne, c’è sempre stato”, conferma Paola. A volte è espresso esplicitamente e a volte resta silente, ma non per questo non si coglie. Il dubbio che fa corrugare la fronte di queste persone è, in parole semplici: che razza di madre è quella che lascia i figli a casa per viaggiare? O ancora: avrà un amante in ogni (aero)porto? E come fa il povero marito, lasciato a casa da solo? Quando Paola me lo racconta ho la sensazione che non sia troppo infastidita né indignata, pur immaginando che in una situazione a parti invertite probabilmente nessuna di queste domande verrebbe posta. Scrolla le spalle, sorride e siamo già oltre.
Senza mai dibattere di empowerment femminile o temi simili, Ragazzi, la mamma parte! riesce con meravigliosa naturalezza ad abbattere l’immagine unica e stereotipata della maternità, aggiungendo un nuovo tassello al mosaico delle scelte di vita possibili. È un libro che sfugge alle definizioni: un po’ guida pratica, perché fornisce alcuni suggerimenti utili alle donne che viaggiano da sole; un po’ chiacchierata con un’amica, perché non c’è la presunzione di insegnare una verità assoluta ma piuttosto il desiderio di condividere delle esperienze; un po’ reportage narrativo, perché “viaggiare da sola cambia la percezione del mondo” e ogni luogo, che sia la Valle dell’Omo in Etiopia o la collina di Montevecchia in Brianza, “è interessante e può costituire un punto di partenza per un viaggio più lungo e impegnativo”. Il libro è anche un piccolo compendio filosofico sul senso profondo del viaggiare, contro quelli che Fosco Maraini chiamava viaggi a vanvera e a favore degli innumerevoli ritorni negli stessi luoghi per “osservare meglio quello che la prima volta avevi solo vagamente intuito”. Oggi i figli di Paola hanno 17 e 19 anni e la passione per i viaggi materna è stata letteralmente una presenza fissa, a casa, per la maggior parte della loro vita. Ne sono stati contagiati?
Non è tanto quello... Hanno le loro inclinazioni e passioni. Ma hanno sicuramente coltivato uno sguardo più ampio, la curiosità.
Il tuo modo di viaggiare è cambiato dopo i figli?
Sostanzialmente no, per niente. Non amo correre, ho sempre cercato di viaggiare con lentezza ed è un approccio che funziona anche con i figli. Avendo un lavoro e una famiglia non posso stare via da casa troppo a lungo, chiaramente, ma essendo abituata al viaggio lento anche solo una settimana o dieci giorni in un posto, o magari in un paio, mi danno molto. Mi sembra un viaggio meno imperfetto rispetto al correre come una disperata cercando di vedere una miriade di cose in pochi giorni. Questo approccio si confà anche al viaggiare insieme ai figli, soprattutto se piccoli: portarli in un tour sfinente sarebbe devastante per tutti.
Sei rimasta vicina ai tuoi figli nei loro primissimi anni di vita e poi, quando hanno raggiunto i tre anni circa, hai ricominciato a viaggiare in solitaria per lavoro e per piacere. Questo desiderio di un viaggio da sola si è ripresentato a sorpresa o è sempre stato con te, ma lo avevi temporaneamente messo da parte per questioni pratiche?
Ho vissuto molto bene la maternità e non mi pesava minimamente stare a casa con i miei figli. Quando erano molto piccoli non avevo l’esigenza di viaggiare, avevo altre priorità: il mio obiettivo era essere presente in maniera costante e seguire la loro crescita, considerando anche il fatto che ho un lavoro che mi consente di essere freelance. Il desiderio di viaggiare è riemerso dopo e l’allontanamento da casa è avvenuto in maniera naturale e spontanea in relazione alla crescita dei miei figli.
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Quando il desiderio di viaggiare è riemerso, è stato difficile comunicarlo a tuo marito e alla famiglia, avere il loro supporto?
Ho sempre impostato molto il rapporto in famiglia sulla comunicazione: chi vive con te sa come sei, non ci sono sorprese. Non c’è stato bisogno di contrattare, insomma: era qualcosa già presente nelle premesse, nelle scelte che sono state fatte in precedenza. La “contrattazione” è stata iniziale, quando io e mio marito ci siamo conosciuti: lui sapeva che tipo di persona sono, per quanto è possibile conoscere un altro essere umano.
Abbini i viaggi in solitaria a quelli in famiglia: le due cose non si escludono a vicenda. Cosa ti danno i primi che non trovi nei secondi, e viceversa?
Il viaggio solitario dà una libertà maggiore e anche un minore senso di responsabilità. Sono sempre molto attenta e non vado a cercare guai, ma il rischio calcolato assume un significato diverso se sono insieme ad altri. Se sono da sola, non mi interessa se vado a dormire alle due e mi devo svegliare alle quattro, se salto i pasti, se ci sono 40 gradi. Quando sono stata a Mumbai da sola ho visitato luoghi difficili in cui non porterei i miei figli, perché credo che per vederli si debbano avere un’età, delle conoscenze e un’esperienza di vita che non sono quelle di due ragazzi. Anche se faccio cose controllate e non pericolose, l’istinto di protezione c’è. Certamente viaggiare con la famiglia, soprattutto adesso che i figli sono più grandi, ha il vantaggio della condivisione e porta a un confronto significativo e arricchente.
Nel libro non tralasci gli aspetti difficili di qualunque viaggio, che nel tuo caso includono anche il fatto che quando sei via ti manca la tua famiglia.
Un viaggio solitario ha enormi vantaggi, tra cui la percezione di una libertà di scelta assoluta, ma comporta anche una difficoltà emotiva. Ad esempio, quando ceno in un posto meraviglioso (nonostante le cene da soli regalino altri aspetti) se vedo una famiglia a un tavolo penso che mi piacerebbe essere lì con la mia. Poi c’è lo sconforto: un conto è quando le cose vanno bene, ma se c’è una rogna bisogna gestirla da soli sia dal punto di vista psicologico che pratico.
Come hai scritto, di solito il giorno della partenza vorresti allo stesso tempo tornare a casa dai figli e rimanere in viaggio ancora per mesi. Come vivi questa sorta di contraddizione?
Penso che le contraddizioni siano il senso profondo della vita: forse è il motivo per cui amo così tanto l’India, uno dei paesi più contraddittori che esistano. Comunque, trovo che questa contraddizione sia estremamente vitale: serve a poco metterci sopra delle sovrastrutture, perché alla fine bisognerà fare comunque i conti con le grosse difficoltà che a volte vivere comporta. Sopire le emozioni sul breve periodo è comodo, ma alla lunga è deleterio.
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Quali consigli daresti per normalizzare l’idea di una donna che viaggia da sola con la famiglia e i figli a casa?
Credo che la prima cosa utile sia fare una scelta di viaggio – itinerario, luogo, tempi... – che sia in sintonia con sé stesse. Se questa scelta è distonica, lo capiamo noi e lo capiscono gli altri: diventa una forzatura, non viene accettata. Una cosa che ha sempre tranquillizzato molto mio marito, ad esempio, è avere la sensazione che io in un determinato luogo volessi andare davvero, che sapessi come farlo, che per me non fosse una forzatura. Se invece una scelta di viaggio viene vista e vissuta solo come dimostrazione di indipendenza, credo che di riflesso diventi un motivo per gli altri per dire “Forse è meglio che stai a casa”.
Nel libro racconti di esperienze dall’altra parte del mondo, ma anche in Italia, vicino a casa. Per viaggiare in solitaria non bisogna andare lontano, insomma.
Esatto. Qualche tempo fa parlavo con una persona che elencava tutti i paesi in cui era già stata, quelli ancora da visitare, quelli dove sarebbe potuta andare a breve... Personalmente, non so cosa porti questo modo di viaggiare. Dietro i viaggi che faccio c’è molto studio, ma la scelta della meta è fatta anche a pelle, in modo irrazionale, è guidata da fili conduttori nascosti che magari si rivelano solo in un secondo momento... Però non decido mai come se dovessi “timbrare” i paesi esteri che ancora mi mancano da vedere.