Le tante storie del Taj Mahal Palace di Mumbai

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Ogni hotel racconta due storie: la sua e quella dei numerosi ospiti che da lì sono passati. Poi ci sono alberghi che ne narrano così tante, straordinarie e clamorose, da diventare loro stessi “leggenda”. Basta osservarlo dall’esterno, il Taj Mahal Palace di Mumbai, per rendersene conto.

Il Taj Mahal Palace di Mumbai ©Lars Ruecker/Getty Images
Il Taj Mahal Palace di Mumbai ©Lars Ruecker/Getty Images
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La storia del Taj Mahal Palace

Il suo nome ne è l’emblema. Il rimando ovvio a una delle sette meraviglie del mondo, il mausoleo di Agra (India Settentrionale), costruito nel 1632 dall’imperatore moghul Shan Jahan in memoria della moglie Arjumand Banu Begum, conosciuta come Mumtaz Mahal. Simbolo romantico per antonomasia, il Taj Mahal di Agra è in grado di attirare milioni di visitatori ogni anno. Il Taj Mahal Palace di Mumbai è anch’esso luogo di enorme richiamo, tanto da costituire una tappa imperdibile all’interno di un itinerario della città, capoluogo dello stato del Maharashtra, sorte assai rara per un hotel.

Aperto nel 1903, noto semplicemente, come The Taj, sorge fiero e imponente nel quartiere di Colaba di fronte al Mar Arabico e a quello che sarà poi il Gateway of India, eretto qualche anno dopo, in occasione della visita di Re Giorgio V del 1911. La sua costruzione, commissionata da Jamsetji Tata, uno degli uomini più potenti dell’India e, definito da molti, il padre dell’industria del subcontinente; si prestò sin da subito a congetture di varia natura.  Pareva infatti che la scelta di Tata dipendesse dai reiterati rifiuti di ingresso al Watson’s Hotel, riservato esclusivamente agli europei. Molto più probabile invece, come sostenne lo scrittore britannico Charles Allen, che il Taj fosse stato costruito grazie alle sollecitazioni dell’editore di The Times of India, desideroso di un hotel davvero degno di Bombay (solo nel 1995 la città cambia nome e diventa Mumbai).

L’interno del Taj ©Paola Scaccabarozzi / Lonely Planet Italia
L’interno del Taj ©Paola Scaccabarozzi / Lonely Planet Italia

Nacque così un hotel Heritage, cinque stelle lusso e con un fascino unico e irraggiungibile. Il progetto del The Taj era stato affidato inizialmente all’architetto più famoso della città. Si chiamava Frederick William Stevens e fu l’uomo che nel 1887 disegnò la stazione ferroviaria di Mumbai, Chhatrapati Shivaji, altra icona di Mumbai e dal 2004 patrimonio UNESCO. Ma nel 1900 Stevens contrasse la malaria e morì. I lavori proseguirono comunque senza tregua e il progetto fu completato da un ingegnere inglese, WA Chambers.

Il diktat era chiaro e inequivocabile: il Taj avrebbe dovuto essere l’albergo più affascinate del pianeta, il più romantico, il più pregiato e il più tecnologicamente avanzato. Non a caso, quando spalancò le sue porte al pubblico, il 16 dicembre 1903, il Taj Mahal Hotel mostrò tutto il suo splendore e, insieme, la sua modernità. Fu il primo in India ad avere elettricità, a disporre di ventilatori americani, ascensori tedeschi, bagni turchi e maggiordomi inglesi. I marmi dei pavimenti e delle decorazioni, sparse qua e là, provenivano dall’Italia, armadi e cassettoni da altre zone dell’India. Ogni oggetto, anche il più piccolo, costituiva un raffinato esempio di arte, cultura e ricerca innovativa.

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E soggiornare al Taj divenne da subito una specie di sogno, tra intarsi, mobili laccati, tessuti di pregio, capolavori lignei, pagode e archi. Un luogo fiabesco, frequentato da regnanti di ogni parte del pianeta, attori, avventurieri ed esploratori. Un ambiente così distante dalla povertà che caratterizzava e denota ancora buona parte dell’India, un apparente e fortissimo ossimoro, che ha dato però la possibilità a molti di trovare lavoro e sostentamento per le proprie famiglie. I dipendenti del Taj Palace sono moltissimi, più di mille e cinquecento per la gestione di un hotel che dispone di 560 camere, 44 suite (da sogno) e due strutture: il Taj Mahal Palace e la Torre, realizzata in seguito e aperta al pubblico nel 1972.

Newton D’Souza ha lavorato 42 anni al Taj ©Paola Scaccabarozzi / Lonely Planet Italia
Newton D’Souza ha lavorato 42 anni al Taj ©Paola Scaccabarozzi / Lonely Planet Italia
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I protagonisti del Taj

La storia di ognuno di loro meriterebbe un libro a sé. A cominciare da quella di Newton D’Souza, attualmente in pensione dopo quarantadue anni di appassionato servizio, una qualifica di manager food and beverages presso il Taj e memoria storica dell’hotel. Proveniente da una famiglia non certo agiata, figlio di un elettricista di Bombay e con otto fratelli, a diciotto anni rispose a un annuncio, tra i numerosi comparsi sul giornale. Riguardava un posto vacante al Taj. Dopo un meticoloso colloquio, fu assunto e assegnato alla pasticceria del prestigioso hotel. Fiero, non solo di aver trovato lavoro, ma di varcare quotidianamente la porta dell’albergo per antonomasia di Bombay, si rese presto conto che quell’incarico lo gratificava moltissimo.

La sua creatività gli permise, in breve tempo, di fare carriera, fabbricando candele originali e allestendo elaborati banchetti. Il Taj gli aveva dato da vivere e lui, a quel mondo pazzesco era immensamente grato. Aveva imparato a conoscerne ogni dettaglio, ogni singola storia.

Così mi racconta di quando, durante la Seconda Guerra Mondiale, i biglietti della compagnia aerea Air India (recentemente riacquisita dalla famiglia Tata) venivano conservati in un meraviglioso armadio intarsiato proveniente dal Rajasthan situato al piano terra dell’hotel.

Sorride, rammentando di un ospite che entrò in hotel con una tigre al guinzaglio. Mi narra dei Beatles, di Neil Armstrong, delle numerose star di Hollywood che lì avevano soggiornato. Una galleria immensa di volti e personalità era passata dal “The Taj”: dallo scrittore Somerset Maugham al direttore d’orchestra e compositore Duke Ellington, dall’ammiraglio Lord Mountbatten agli ex presidenti degli USA, Bill Clinton e Barak Obama. Da Lady Diana ad Angelina Jolie e Brad Pitt, ai tanti viaggiatori, desiderosi di respirare, almeno per un istante, la magia di quel luogo. Ma ciò che lo ha emozionato di più in tutti quegli anni fu l’opportunità di stringere le mani minute e rugose di Madre Teresa di Calcutta.

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Il mobile in cui, durante la Seconda Guerra Mondiale, i biglietti della compagnia aerea Air India ©Paola Scaccabarozzi / Lonely Planet Italia
Il mobile in cui, durante la Seconda Guerra Mondiale, i biglietti della compagnia aerea Air India ©Paola Scaccabarozzi / Lonely Planet Italia

Gli attentati di Mumbai

Poi ci furono quelle giornate durissime e sconvolgenti che ognuno di noi ricorda, anche a distanza di tempo, seppure fossimo magari fisicamente lontani. La serie di attacchi terroristici che mise sotto assedio Mumbai dal 26 al 29 novembre del 2008. Ore terribili che provocarono 195 vittime, circa 300 feriti e un sanguinoso blitz per la liberazione degli ostaggi proprio presso l’hotel Taj Mahal. Durante i giorni dell’attacco, Newton D’Souza era a casa con la moglie Veronica. Appena seppe della situazione, corse all’ospedale di Mumbai, dove la moglie era direttrice della sala operatoria principale. Per tre giorni, la coppia non tornò a casa, lavorando instancabilmente per cercare di salvare quante più vite possibile. Il loro contributo lo ricordano ancora tutti. Così alcuni degli chef del Taj, rimasti feriti dagli spari, inviano regolarmente lettere. Quando il Taj ha spalancato le sue porte per la prima volta dopo l’attacco terroristico, al termine di un lungo e costoso restauro, Newton e Veronica furono tra i mille ospiti presenti all’hotel. Era il 15 agosto (Giornata dell’Indipendenza dell’India) del 2010.

Particolare attenzione, oltre che ai lavori di ristrutturazione, è stata dedicata alla sicurezza. Sono stati introdotti un nuovo sistema di telecamere a circuito chiuso e un cordone di protezione esterno che impedisce alle auto di parcheggiare. Il Taj è diventato così fonte di ispirazione per registi e reporter che ne hanno raccontato lo splendore e documentato il dolore. Il film Attacco a Mumbai – Una vera storia di coraggio (Hotel Mumbai), diretto da Anthony Maras con protagonista Dev Patel, ha ricostruito l’attacco terroristico e le vicende umane di coloro che l’hanno vissuto in prima persona.  

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Il Taj oggi

Intanto il Taj è tornato alla sua antica gloria, quella che racconta anche del primo bar con licenza della città, il primo ristorante indiano aperto tutto il giorno e la prima discoteca indiana, Blow Up. La leggendaria ospitalità del Taj è rimasta intatta e l’hotel è uno dei pochissimi al mondo che usufruisce del servizio personalizzato di conciergerie Golden Keys. La Society of the Golden Keys, nota anche come Les Clefs d’Or, è una società esclusiva per i concierge fondata nel 1929 a Parigi che conta solo undici concierge in tutto il mondo. L’hotel vanta alcuni dei più rinomati ristoranti della città come il Masala Kraft per la cucina indiana classica e moderna, il Wasabi di Morimoto per i piatti giapponesi, il Souk on the Tower per quanto concerne la cucina del Mediterraneo e Medio Oriente, il Golden Dragon per quella asiatica e la caffetteria, Shamiana con menu internazionale. 

Newton D’Souza, nel frattempo continua ad accompagnare ospiti e visitatori lungo i corridoi e la celeberrima scalinata del Taj. È un pescatore, un ballerino provetto e un pittore su vetro. Le sue opere sono state esposte al Taj Palace e in numerose altre importanti gallerie. Il ricavato è devoluto alla ricerca sul cancro. Ha anche vinto un premio per il volo degli aquiloni dal Governo statale e fa anche il giocoliere con il fuoco.

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