Ancona, toccare la bellezza al Museo Tattile Statale Omero
Alla figura iconica del grande poeta cieco, che da millenni ispira la letteratura e il viaggio (oltre che il nome del nostro festival) è dedicato il Museo Tattile Statale Omero di Ancona. Ospitato dal 2012 alla Mole Vanvitelliana, si sviluppa su quattro piani, tra spazi dedicati alla collezione, agli uffici e ai laboratori didattici, ed è a ingresso gratuito, a parte un modico biglietto per la collezione Design. Al suo interno, vi aspettano non solo copie di molti dei più celebri capolavori dell'arte, ma anche sculture originali contemporanee, modelli architettonici e oggetti di design: tutti fruibili al tatto, per far capire che la bellezza può essere apprezzata indipendentemente dalla vista.
Per farvi conoscere questa realtà, nata nel 1993 e ancor oggi così innovativa, nonché unica al mondo e piena di stimoli e suggestioni anche per i visitatori vedenti, abbiamo intervistato Aldo Grassini fondatore e attuale presidente del Museo.

Dottor Grassini, al Museo Tattile Statale Omero di Ancona il visitatore incontra una straordinaria collezione di capolavori: il Discobolo, la Nike di Samotracia e la Venere di Milo si affiancano al modello in scala del Partenone, e non mancano la Lupa capitolina e un modello del Pantheon. Sono tutte riproduzioni, vero, ma si tratta di un grande viaggio nell’esperienza estetica pensato per le persone prive di vista. Vuole raccontarci come nasce il progetto di questo Museo unico in Italia?
Il nostro museo, che nasce da un’idea mia e di mia moglie risalente all’ormai lontano 1985, è il risultato prima di tutto di una reazione di rabbia, quella che abbiamo spesso provato di fronte all’indicazione “Vietato toccare” che si incontrava all’epoca (e ancora oggi) in molti musei del mondo. Per noi, entrambi ciechi, quel divieto ha rappresentato a lungo una specie di trauma, un limite insormontabile e assurdo: se un museo è in qualche modo di tutti, perché dovrebbe essere a priori vietato toccare?
Oltre a questo, diciamo al di là di questa reazione irosa, c’è la consapevolezza che l’esperienza estetica non passi solo attraverso la vista, ma che abbia origine dal coinvolgimento di tutti i sensi. Non tutte le forme d’arte, per altro, si rivolgono agli occhi. La musica parla all’udito e all’anima. La poesia, che nasce come forma orale, va prima di tutto ascoltata. Così, ispirati da queste riflessioni, cercando di puntare in alto ma tenendo sempre i piedi a terra, abbiamo deciso di fondare il Museo.

In che cosa consiste e come si sviluppa la visita al Museo?
Alla base del percorso di visita c’è la consapevolezza che se la natura ci ha dotati di cinque sensi significa che l’esperienza della fruizione artistica deve tenerne conto. Quindi, al centro del museo abbiamo collocato il tema della multisensorialità, nella convinzione che questo sia il modo più naturale per avvicinare le cose. Nelle sale del museo, che si sviluppa su quattro piani dedicando agli spazi espositivi circa 1400 mq, il visitatore incontra, ed è invitato a toccare, riproduzioni di opere dell’arte classica, ma anche lavori originali nella galleria dell’arte contemporanea, con sculture di Arturo Martini, Marino Marini, Giorgio De Chirico, Michelangelo Pistoletto. Senza dimenticare l’area che abbiamo dedicato al Design, l’unica per la quale è previsto il pagamento di un modico biglietto. La visita, quindi, si sviluppa attraverso l’incontro tattile con le opere, una forma di fruizione e di esperienza artistica fondamentale per i ciechi, ma in grado di ampliare la prospettiva sensoriale anche per chi vede.

Il Museo ’parla’ solo ai ciechi o si rivela un’esperienza interessante per tutti?
Creando il museo, abbiamo pensato a un’esperienza per tutti, non solo per i ciechi: ogni visitatore, ci siamo detti, avrebbe dovuto condurre la visita secondo le proprie esigenze. Abbiamo lavorato, e continuiamo a farlo, nel nome dell’integrazione, proponendo un’esperienza inclusiva. In questi 30 anni abbiamo capito che la tattilità è un valore per tutti. Il tatto, infatti, è in grado di restituire un’emozione che la vista non dà e questo vale anche per i vedenti. Non a caso, quando si ama qualcuno o qualcosa si desidera toccarla. Il tatto, ancora, elimina la distanza, mentre la vista ha bisogno che in qualche modo ve ne sia una. Uno dei nostri motti è che si ama con gli occhi e con le mani. Tutto questo, mi piace ripeterlo, vale anche per chi vede.
In che modo la ricerca che lei ha condotto nell’ambito dell’approccio tattile alle arti può essere d’aiuto quando si viaggia?
Da appassionato di viaggi, mi sono spesso imbattuto nella domanda disarmante: perché un cieco dovrebbe viaggiare? Nel porla c’è un pregiudizio, perché l’immagine e l’esperienza di un luogo non sono solo visive. In un viaggio a me piace raccogliere anche odori e suoni, girando a piedi il più possibile. Camminando riesco a costruire una mappa mentale di un luogo, come mi è capitato a Parigi, della quale ho un’idea ben precisa frutto di lunghe passeggiate con un amico. Anche le sale da concerto sono luoghi che consiglio. Ricordo l’emozione che ho provato a Bayreuth ascoltando Wagner o alla Sydney Opera House. In India, poi, mi ha affascinato tutta l’esperienza uditiva legata alla pratica del contrattare. Quindi, possiamo dire che l’approccio tattile è fondamentale anche in viaggio, per avere un’esperienza a tutto tondo di un luogo, per tornare con impressioni e memorie legate a tutti i sensi e per evitare il pericolo di ridurre l’esperienza di un viaggio a una raccolta di immagini anonime sul computer.
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Qual è lo stato dell’arte dei musei italiani in relazione a questo tema? Il museo fa parte di una rete?
Il nostro museo sta per compiere 31 anni ed è l’unico in Italia. La sensibilità per l’approccio tattile si sta diffondendo, con lentezza, ma ad oggi il Museo Omero resta l’unico nel nostro Paese. Non si può, per altro, parlare di una rete di musei tattili, perché non ne esiste una dal punto di vista formale. Possiamo parlare, piuttosto, della lenta diffusione di una sensibilità. Noi siamo da sempre aperti a collaborare con altri musei per trasferire la nostra esperienza. Per esempio con il Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Qui è possibile esplorare tattilmente le riproduzioni delle opere pittoriche "Movimento d’Uccello" di Fortunato Depero e "Le Figlie di Loth" di Carlo Carrà.

E nel resto del mondo? Dove si trovano altri esempi di musei tattili?
In giro per il mondo, i musei dedicati alla tattilità sono molto pochi. Vorrei citare il Museo Tiflologico di Madrid (dal greco typhlós ’cieco’), dedicato ai principali monumenti nazionali ed internazionali, ma anche alla promozione di artisti ciechi o minorati della vista. A parte questa realtà, possiamo dire che anche ampliando la prospettiva oltre i confini nazionali il cammino da percorrere sia ancora lungo.

Sappiamo che lei è un grande viaggiatore: in quale Paese ha incontrato maggiore accoglienza e quindi anche facilità negli spostamenti e nell’abbattimento delle barriere architettoniche...
Diciamo che nel nord dell’Europa si è più avanti riguardo agli aspetti architettonici, nel sud un po’ meno, ma diciamo anche che il senso di accoglienza che si ha nei paesi del sud non ha eguali. Sentirsi accolti è la cosa principale, forse più ancora che trovare un ambiente progettato nel modo corretto e senza barriere. Per citare un Paese, direi senza dubbio l’India. Qui la più alta espressione artistica è la scultura e per un cieco è bellissimo toccare i monumenti e scoprirli con il tatto. Facendo sempre attenzione, però, a non violare i luoghi più sacri. Un’esperienza un po’ respingente, invece, ci è capitata in Egitto, a Karnak. Io e mia moglie ci siamo avvicinati a un obelisco, che giaceva al suolo in apparente stato di abbandono. Non abbiamo resistito a toccarlo, per capire come fosse fatto, ma siamo stati subito ripresi da una guardia!
Nel suo libro Per un’estetica della tattilità (Armando Editore, 2019) lei ha condotto un’ampia riflessione sulla natura delle arti visive. Quali conclusioni ha potuto trarre in relazione al viaggio e al turismo?
Nel mio libro ho voluto mostrare che la bellezza non si percepisce solo con gli occhi e questo spiega perché anche i ciechi possano fruire dell’arte, in un approccio basato sulla multisensorialità. Il lavoro è una riflessione ampia sul concetto di arte visiva, ma ha implicazioni interessanti anche per il viaggio. Perché, come abbiamo detto in questa intervista, è proprio coinvolgendo tutti i sensi che l’incontro con l’opera d’arte può essere completo e appagante, non solo per i ciechi, ma per tutti i visitatori di un luogo, sia esso un museo, una città o un paesaggio.