L’arte salverà Coimbra? Una riflessione sul turismo, l’arte e i luoghi che li coinvolgono

Sono arrivata a Coimbra in una giornata di pioggia, con le nuvole che crescono a sud e il vento che le spazza da nord. All’indirizzo indicato per l’hotel si apre un cortile immenso, con vialetti interni, una specie di ponte e poi un enorme portone attorno a cui si erge, con tutta l’imponenza dell’Inquisizione, il Seminario Major, uno degli istituti ecclesiastici più antichi e prestigiosi del Portogallo. Salire le scalinate di marmo, trovare in camera la bibbia, un enorme crocifisso e un panorama che si affaccia sul fiume Mondego. Fino a questo punto non si direbbe che sono qui per una mostra di arte contemporanea.

Il cortile dell’università di Coimbra, la più antica del Portogallo @Roaming Pictures/Shutterstock
Il cortile dell’università di Coimbra, la più antica del Portogallo @Roaming Pictures/Shutterstock
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Eppure si tratta di The Factory of Shadow, una grande mostra che porta i lavori del duo canadese Janet Cardiff & George Bures Miller in Europa, al Monastero di Santa Clara-a-Nova fino al cinque luglio. Un’altra struttura religiosa penso, mentre il giorno è arrivato senza che i fantasmi dei monaci venissero a tirarmi i piedi e il piano terra del Seminario si anima di un grande mercatino dell’artigianato. Nel grande refettorio dagli interni in legno, faccio colazione in silenzio, come i preti in pensione e i ricercatori universitari che risiedono qui e inizio ad abituarmi alla preziosità di queste contaminazioni, di come un luogo così austero possa diventare il fulcro di vita nuova e creatività.

Ancora non ho idea di quanto questo sarà il tema fondante di questo viaggio, quando arrivo in cima all’altra collina, al Monastero di Santa Clara-a-Nova. Mi avevano avvertita che si trattava di uno spazio che non lascia indifferenti, ed eccomi ora al cospetto di questo imponente edificio barocco, costruito nel XVII secolo per sostituire il vecchio monastero di Santa Clara-a-Velha, soggetto a frequenti inondazioni che minacciavano la tomba della regina Santa Isabel, figura molto venerata in Portogallo. Importante simbolo storico e religioso, è ora il cuore della Biennale di Arte Contemporanea Anozero Coimbra e, negli anni in cui non c’è la Biennale, viene offerto ad artisti internazionali che possono così cimentarsi con i grandi spazi, i silenzi, i vuoti e i segreti di questa grande struttura.

L’esterno del Monastero di Santa Clara-a-Nova a Coimbra © Jorge das Neves. Courtesy of Anozero – Bienal de Coimbra
L’esterno del Monastero di Santa Clara-a-Nova a Coimbra © Jorge das Neves. Courtesy of Anozero – Bienal de Coimbra

Ecco, quindi, che entrando sarete accolti dalle luci tremolanti che vibrano dietro una tenda di seta nera posizionata proprio sopra la storica roda dos enjeitados (ruota dei trovatelli), a indicare l’inizio di questo viaggio tra le ombre. Verrete attratti dalle fiamme che ardono in House Burning, vi perderete tra gli spazi in penombra che nascondono i tentativi di trovare un equilibrio di George (Imbalance.6 jump, Imbalance.1 wings). Spesso sarà un suono specifico ad attirarvi verso una stanza buia, come The Cabinet of Curiousness, una vecchia cassettiera di legno racconta una storia sonora ogni volta che se ne apre un cassetto. Difficile prepararsi all’emozione di trovarsi davanti a The Infinite Machine, un’installazione così grande e complicata che è stata riprodotta qui per la prima volta dopo la sua creazione, nel 2015: qui Cardiff e Bures Miller hanno sviluppato un paesaggio sonoro tratto dalle sonde Voyager della NASA, con suoni che sembrano prendere forma nello spazio che ci avvolge, alterato dal movimento continuo di specchi e del loro luccicare nel buio. Anche l’ambiziosa opera di Janet, The Forty Part Motet, una rivisitazione di Spem in Alium che ripropone la composizione rinascimentale di Thomas Tallis con 40 diverse casse che ripropongono le 40 tracce dell’opera, non ha mai avuto una così perfetta esecuzione, dice Janet.

Il merito è anche di questo spazio, immenso e vuoto, che è stato prima luogo di culto, poi di armi (fu usato come caserma per più di un secolo), poi lasciato all’arbitrio della natura e ora è un importante centro di arte e di turismo.

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L’opera The Forty-Part Motet nella mostra The Factory of Shadows: Janet Cardiff & George Bures Miller Courtesy of Anozero – Bienal de Coimbra, 2025.
L’opera The Forty-Part Motet nella mostra The Factory of Shadows: Janet Cardiff & George Bures Miller Courtesy of Anozero – Bienal de Coimbra, 2025.

Eppure, le sue sorti non sembrano ancora definite, perché il progetto di trasformarlo in un hotel a 5 stelle è in agguato, arrivando a porgerci uno dei tanti quesiti sul turismo: è più importante salvaguardare un luogo di arte (storica e contemporanea) o creare un nuovo centro per il turismo di élite? Ne ho parlato con Carlos Antunes, curatore della mostra, architetto e direttore del Círculo de Artes Plásticas de Coimbra.

Quali sono le problematiche attuali del Monastero di Santa Clara Nova?

Il monastero è diventato l’epicentro della Biennale e tra i due si è sviluppato un legame profondo. La Biennale ha portato una visibilità significativa a Coimbra e al Portogallo, assicurando un posto di tutto rispetto sulla scena artistica internazionale. Tuttavia, c’è il rischio imminente che il monastero venga trasformato in un hotel a cinque stelle. Se questo dovesse accadere senza un’alternativa credibile, potrebbe mettere a rischio la continuità della Biennale.

Quali di queste hanno un impatto diretto sulla prossima edizione della Biennale e quali sono?

La prossima edizione della Biennale si svolgerà ancora al monastero, ma è urgente trovare una soluzione a lungo termine che possa dare stabilità al progetto.

Chi propone di costruire un hotel a 5 stelle all’interno della struttura e chi sostiene questa idea? Sappiamo chi sarà il responsabile del progetto?

L’hotel è stato proposto nell’ambito di un’iniziativa nazionale - il Programma REVIVE - che mira a convertire le proprietà sfitte in hotel a cinque stelle. Tuttavia, il monastero che attualmente ospita una biennale internazionale non è né sfitto né abbandonato.

L’installazione Blue Hawaii Bar  © Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
L’installazione Blue Hawaii Bar © Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
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Quale è la vostra posizione nei confronti di questo progetto?

La soluzione ideale per la Biennale sarebbe quella di continuare le nostre attività in questo luogo. Facciamo eco ai sentimenti di Ragnar Kjartansson, Janet Cardiff, George Bures Miller e di molte altre figure di spicco del mondo dell’arte contemporanea: il monastero è uno spazio unico nel suo genere, capace di trasformare e sfidare gli artisti e il loro lavoro. Perdere la possibilità di utilizzare il monastero sarebbe una tragedia, che però possiamo ancora evitare.

È chiaro quali lavori saranno necessari per trasformare questo sito in un albergo? Quali aspetti del convento andranno persi?

Non esiste uno studio specifico che giustifichi l’opzione di costruire un hotel. C’è solo questa determinazione generale del governo, che è il programma REVIVE. La vastità dell’intervento richiesto per l’installazione di un hotel a cinque stelle, in particolare per le sue infrastrutture, ne de-caratterizzerebbe gravemente le caratteristiche morfologiche e tipologiche, trasformando inoltre l’edificio e il suo recinto monastico in un luogo di esclusione, come necessariamente sarà un hotel a cinque stelle. Oggi una Biennale, e questa Biennale in particolare, è un luogo di inclusione per tutti gli strati sociali della città e del Paese, e un luogo unico nella città per imparare ed esercitare la democrazia e la cittadinanza a tutto tondo.

Quanto costerebbe mantenerla così com’è?

Il suo mantenimento per l’arte contemporanea richiede costi di manutenzione relativamente bassi. L’evidenza dei segni della sua storia sui muri è molto attraente per gli artisti; quindi, potremmo considerarlo un processo di riabilitazione delicato, totalmente in linea con gli standard ecologici che dovremmo promuovere. Un albergo, invece, oltre a escludere un’enorme fetta di popolazione, richiede investimenti decine di volte superiori.

La statua del re Joao III, nel cortile dell’Università  © Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
La statua del re Joao III, nel cortile dell’Università © Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia

Del resto, nessuno dice di non fare hotel a cinque stelle, ma di onorare la memoria del luogo seguendo l’idea che fu alla base del progetto originario. All’inizio era infatti prevista una nuova ala, che non fu mai costruita, ma per cui ci sarebbe tutto lo spazio. Carlos Antunes suggerisce di prendere come esempio il Il MACAM - Museu de Arte Contemporânea Armando Martins di Lisbona, che espone la collezione privata e include nel suo spazio un hotel grazie ad un lavoro che ha preservato gli spazi originali e ha costruito una nuova ala.


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