Svizzera, c’è (quasi sempre) gioia in un mondo che funziona
Il treno che da Venezia mi porta a Brig, nel mio percorso di avvicinamento all'inizio vero e proprio dell'itinerario del Trenino Verde delle Alpi (che va da Domodossola a Berna, come vi racconterò), è svizzero. Appena salgo noto che sopra il posto a me assegnato un piccolo display luminoso riporta il mio nome, la mia stazione di partenza e quella di arrivo. Lo stesso per gli altri sedili: nome e stazioni degli altri viaggiatori. Sulle prime ritengo quest’abbondanza di informazioni una violazione della privacy. In pochi secondi però realizzo di avere un quadro preciso di chi mi siederà accanto e per quanto tempo. Un consiglio prima di cominciare: dotatevi della carta giornaliera BLS Trenino Verde delle Alpi che vi permette di salire e scendere dai treni e battelli sul lago di Thun per l'intera giornata della data scelta.

Potrò decidere se lasciare il mio zaino accanto a me e sapere quando è il caso di spostarlo. Potrò occupare il mio amato posto corridoio, e non quello finestrino che mi ha assegnato il sistema. E sono già pervaso da una rassicurante sensazione di efficienza, che fa svanire il timore che sempre mi attanaglia quando viaggio in treno, mezzo peraltro che adoro. Quello di ritardi, guasti e discussioni su quale sia il posto mio e quale quello del mio vicino. Discussioni alle quali, per qualche oscura ragione, finiscono per partecipare anche altri passeggeri, passanti, gente in transito tra una carrozza e l’altra, astanti fuori dai finestrini, youtuber muniti di cellulare.

Direzione Brig
Il viaggio fila liscio in un silenzio soporifero che pervade persino il vagone ristorante, nel quale mi concedo una birra con dei würstel, accanto ad altri passeggeri che non fanno rumore nemmeno battendo sui tasti del portatile (di cosa è fatto? di velluto?) mentre fuori scorrono gli ultimi scampoli di ambiente mediterraneo, rappresentati dal Lago d’Iseo.
Arrivato a Brig, le Alpi fino a quel momento sfondo discreto del paesaggio sono imponenti giganti a ridosso delle case, quasi che lo spazio occupato dal paese fosse una concessione che la roccia fa all’uomo. La cittadina, nel luogo di incontro fra mondo germanofono, francofono e italofono, si trova ai piedi del Passo Sempione ed era una delle stazioni del primo Orient Express, quello da Parigi a Istanbul via Venezia. In precedenza, in virtù della sua posizione, era il ‘regno’ del barone Stockalper, padrone dei commerci sul passo nella seconda metà del Seicento. Il barone non solo riportò in auge il percorso, caduto in disuso da 200 anni, riaprendo una mulattiera ancor oggi chiamata Stockalperweg, ma costruì anche una reggia per stipare e proteggere le proprie e altrui merci, un grande castello dalle guglie a cipolla: la Stockalper Schlosse. Oggi alla stazione di Brig passano i treni che da Domodossola percorrono la ferrovia del Trenino Verde delle Alpi e scendono alpinisti ed escursionisti decisi a intraprendere le 5 ore di cammino verso il passo, che iniziano proprio dal centro del paese, in Simplonstrasse.
Brig mi lascia partire regalandomi già un segreto svizzero, quello del barone, e in qualche modo mi ammalia con lo spaesamento dato dal sapere che qui ci passava l’Orient Express. Dominata dal grande castello, Brig risuona di sussurri francesi e chiacchiere turche. Ma sono diretto a Berna e il Trenino Verde delle Alpi mi aspetta. Il binomio treno-Svizzera non è segreto né sconosciuto. È come quello con il cioccolato, la puntualità, le banche: uno stereotipo con un fondo di verità. Quello che è meno noto, e mi fa subito sentire parte di un progetto esemplare, è che il treno sul quale viaggio sia alimentato oltre al 90% con energia idroelettrica. Cerco inutilmente di capire come sia possibile. Ci sono dei circuiti ad acqua? dei sistemi per convogliare l’umidità nella macchina? delle cascate? poi capisco che il treno è semplicemente elettrico e l’energia che utilizza è fornita da centrali idroelettriche. Niente cascatelle interne. Ma l’intera operazione mi ha già cambiato e mi scopro a separare diligentemente piccoli pezzi di plastica e carta, con un’operazione di riciclaggio chirurgico.

Arrivo a Berna
Sono così pronto per l’arrivo a Berna, città deliziosa, con un impianto medievale perfettamente conservato che si interfaccia senza traumi con le parti moderne e si inserisce in un paesaggio verdeggiante. Qui tutto è lindo e funziona. Non ho un trolley, ma se ce l’avessi avuto non avrei dovuto affrontare nemmeno un gradino dal treno al tram. In albergo entro trionfante per aver rispettato al minuto l’orario di arrivo previsto. Eppure nessuno si complimenta per la puntualità. Ci rifletto mentre faccio una quieta passeggiata e mi dico che puntuale e funzionante qui è semplicemente ‘normale’, mentre attraverso il centro medievale, ricostruito nel 1405 dopo un incendio, e perfettamente conservato. Passo accanto alla grande chiesa chiamata Münster, con la sua altissima guglia gotica, mi perdo nelle statue che ornano numerose bizzarre fontane antiche, finché giungo alla celebre Torre del Tempo. Bel nome, penso, ammirando questo grande monumento che scandisce le giornate di Berna da secoli. La guida che mi fa entrare nella torre mi racconta con enorme entusiasmo il complesso meccanismo di figure mobili e diorami, campane, trombette e pupazzetti che contribuiscono al funzionamento dell’orologio e consentono al popolo bernese di dedicarsi alla loro attività preferita: essere puntuali.
Quel che capisco è che c’è gioia in un mondo che funziona. Ne ho conferma nel Museo delle Comunicazioni, dove il curatore allarga enormi sorrisi mentre illustra quanto i mezzi di comunicazione, ma soprattutto l’atto del comunicare, siano importanti e intrecciati con la vita di tutti i giorni, e ride della goffaggine dei vecchi e obsoleti telefonini Nokia esposti nella sezione ‘storica’, come di qualcosa che funzionava, sì, ma ridicolmente male rispetto ad oggi.
Un’altra corsa in tram mi porta al Parco delle Rose (Rosengarten), un grande giardino pubblico, frequentato da famiglie e coppie stese sul prato, ragazzi e pensionati seduti ai tavolini dei caffè, dal quale si può ammirare tutta la città e leggerne perfettamente il tessuto urbano, pervasi dal profumo di oltre 220 varietà di rose. Un luogo di vita che un tempo era il cimitero ed oggi è sempre affollato. Ma trovare un mozzicone per terra, manco morto.
Berna mi riserva ancora il Centro Paul Klee, dedicato al grande artista e alla sua evoluzione pittorica, e ospitato in un edificio progettato da Renzo Piano; le Piscine pubbliche, di accesso libero e gratuito - eppure mantenute in maniera impeccabile - nel cuore della città; un’infinità di birrerie. Scelgo quella ricavata dalla vecchia stazione dei tram, proprio sopra all’area verde dove scorrazzano semiliberi gli orsi di Berna (simbolo della città). Gli orsi, in cattività, furono al centro di una polemica fra animalisti e non, come è naturale. Ma il simbolo della città, legato alla storia di una leggendaria battaglia, poteva essere sfrattato? E Berna poteva vergognosamente costringere degli animali selvatici in condizioni insostenibili? La soluzione fu quella di riservare un ampio parco agli orsi, che all’interno vi costruiscono tane e trovano cibo nascosto da temerari addetti e possono anche fare tuffi nel fiume, in un’area recintata.

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Imbarco a Thun
Lascio Berna per riprendere il Trenino Verde delle Alpi. Questa incursione svizzera deve convincermi che posso viaggiare in treno anche per esplorare un territorio, non solo per spostarmi tra città. Mentre mi dirigo a Thun, sull’omonimo lago, mi domando se a bordo ci sia un bar. Non c’è, ma c’è una area con tavolini attorno ad un distributore di caffè e acqua calda. Accanto si trova una scaffalatura aperta dove sono riposte bustine di tè, altre bevande solubili e, cosa che attira la mia attenzione, bustine di verdure liofilizzate granulari per quell’improvvisa voglia di brodo che può prenderti mentre viaggi tra i monti. De gustibus non disputandum est, quel che mi sorprende è che nessuno si sia già rubato tutto. Qualche bustina di brodo torna sempre utile, e poi si conservano a lungo, dice il diavoletto dentro la mia coscienza, quello che si è fatto fare la maglietta con scritto ‘l’occasione fa l’uomo ladro’. Non lo ascolto e mi rituffo in un paesaggio fatto di tinte di verde che nemmeno conosco, ma Thun è già arrivata.
Quel che devo fare qui è imbarcarmi su un battello, incluso nel biglietto del treno. Nell’attesa raggiungo il fiume Aar perché mi hanno detto che ci sono i surfisti. Scopro che sfruttano le rapide del fiume - qui un grosso torrente - per cavalcate solitarie e mentre li guardo continuo a immaginare infinite sequenze di radiografie di femori di surfisti frantumati dalle rocce del fiume. Ma, almeno durante la mia permanenza, tutti risultano sani e salvi.
Si è fatta l’ora di imbarcarsi e lo faccio su un battello a ruota che avrà cent’anni almeno: bellissimo, sembra uscito da un racconto di Mark Twain ambientato sul Mississippi. Effettuando varie fermate il battello conduce fino a Spiez mentre a bordo una clientela non più giovanissima ma entusiasta vive una giornata da Belle époque, spostandosi negli ambienti di legno del ristorante, mangiando pesce lacustre e passando in rassegna le dimore storiche, i manieri, gli scorci più belli del lago che scorrono fuori dagli oblò, con sfondo di monti. Ci sono anche alcuni escursionisti che riconosco dai vestiti da escursionisti, perché fra questi monti è possibile salire, tramite la funivia. La fermata dell’impianto di risalita è proprio di fronte al pontile e in coincidenza perfetta. Quasi troppo. Alcuni fra i passeggeri meno atletici infatti devono dare fondo alle loro energie per non perdere la corsa e poter salire ad ammirare panorami infiniti e vallate che sembrano semplicemente finte.

Di nuovo a bordo raggiungo Spiez, con il suo vasto e placido porticciolo, il castello a picco sul lago e le viuzze ciottolate. Un comodo autobus collega il pontile della cittadina con la stazione dei treni, dove devo risalire a bordo del Trenino Verde delle Alpi. Manca ancora un po’ perché l’autobus parta e mi siedo per bere qualcosa in uno dei caffè del porto. Ordino quello che scopro essere il soft drink più amato della Svizzera: la Rivella. Un altro segreto svizzero che mi conquista. Il sapore non lo so descrivere. È aspro e dissetante, ma sembra tutto fuorché una bevanda ricavata dal siero del latte vaccino quale è. E così abbiamo anche rivangato il binomio mucche-Svizzera, finora colpevolmente dimenticato. Frutto della rivelazione avuta da Robert Barth nel 1952, questa Coca Cola elvetica dal colore biondo doveva appunto chiamarsi Rivelazione. Ci furono anche tentativi per me inspiegabilmente sfortunati di commercializzare la Rivella all’estero. Mi accontento di berla qui in Svizzera, mentre ancora mi perdo nel blu screziato di monti del Lago di Thun, quando sento arrivare l’autobus. È l’ora! La rassicurante puntualità del mezzo però ha un prezzo. Lui è puntuale, puoi starne certo, ma devi esserlo anche tu. Sembrano dire questo gli occhi dell’autista, dritti nei miei, mentre chiude le porte dell’autobus quando mi manca solo un metro per salire. Non ride, non è beffardo e nemmeno si dispiace. Mi ha semplicemente individuato come un ostacolo al meccanismo e non può far altro che rendermi ininfluente. In pochi secondi realizzo che la stessa puntualità ce l’avrà il treno al quale quell’autobus doveva portarmi. È così il viaggio dell’efficienza diventa un incubo in cui trascino lo zaino in salita di corsa, sfioro le sensazioni del triatleta e riesco all’ultimo secondo a salire a bordo.
Fuori dal finestrino scorrono boschi, vallate, mandrie di vacche che sembrano dipinte e un cielo che si rannuvola e si rischiara con rapidità psichedelica (o forse è la fatica?). Scendo a Kandersteg, un villaggio di legno e pietre, base di partenza per numerose escursioni e raggiungo il mio albergo. Davanti a una birra media, seduto sull’immancabile sedia con un cuore intagliato sullo schienale, mi scopro a consultare l’orario dei treni per pianificare, con la sicurezza che tanto tutto funzionerà alla perfezione, la prosecuzione del mio viaggio. Continuerò ad esplorare la Svizzera per qualche giorno, mi dico. Poi mi assale un terrore e mi scopro a puntare una sveglia per ogni orario di treno.
Ché qui, quello che dev’essere in orario, sono io.