Otranto, la città più a oriente d’Italia
È molto suggestiva l’antica città dei martiri. Lo è in inverno, quando è silenziosa e quieta, si sentono riecheggiare i propri passi tra le mura dei bastioni e si passano ore indisturbati a decifrare i simboli del mosaico della cattedrale. E lo è in estate, quando fiumane di turisti si aggirano per il centro storico con i piedi imbiancati di sabbia, i dehors dei ristoranti pullulano di avventori e la cittadina più a est d’Italia diventa una delle mete predilette del turismo balneare. Ecco il meglio di Otranto, una delle perle della Puglia.
Castello Aragonese
Proteso verso il mare, ma con il corpo centrale rivolto verso terra, questo maestoso castello quattrocentesco era una vera e propria macchina da guerra, aggressiva e inespugnabile. Fatto costruire tra il 1485 e il 1498 da Alfonso d’Aragona con pianta pentagonale e modificato nel corso del secolo successivo con un bastione a forma di punta di freccia, è un susseguirsi di saloni, gallerie, cunicoli e grandi terrazze che dominano il mare, e si innestava nel complesso sistema murario della città. Durante l’estate, i suoi ambienti ospitano esposizioni e mostre temporanee di alto livello, e se viaggiate con bambini non dovete perdervi la visita dei sotterranei. Muniti di lampada e caschetto protettivo, scenderete nelle sue viscere alla scoperta degli angoli più nascosti e misteriosi, dove si dice che aleggi lo spirito di una nobildonna la cui morte fu tutt’altro che naturale.
Ex Chiesa dell’Immacolata
Nell’attraversarla per scendere verso il porto, non ci si rende conto subito che in passato queste scenografiche rovine erano una chiesa. E invece è proprio così: intitolata alla Vergine Immacolata, fu edificata nel XVIII secolo e, tra l’umidità del mare, le infiltrazioni d’acqua e altre disavventure, non ha mai avuto vita facile. Fino a che, appunto, non è caduta in rovina; oggi di essa restano gli altari laterali, quello maggiore e le pareti. Un tempo al suo posto c’era la Porta di Mare, l’ingresso più importante della città, da cui passarono i prigionieri condotti al martirio nel 1480.
Torre Matta
Proprio accanto all’ex Chiesa dell’Immacolata, questa robusta torre cilindrica inglobata nelle mura ha recentemente riaperto in tutta la sua splendente potenza dopo lavori di restauro che sembravano interminabili. Il suo bizzarro nome non deriva da qualche personaggio strampalato che ci ha vissuto dentro (o che vi è stato rinchiuso), bensì dal fatto che si diceva che essa avrebbe dovuto maar el conquistador, ‘uccidere il conquistatore’ in spagnolo. Al suo interno si tengono interessanti mostre d’arte (e in questo caso si paga il biglietto), però vale la pena di scendere con l’ascensore fino alla sua base e ammirarne i dettagli costruttivi. Se soffrite di vertigini farete bene a non affacciarvi alla ringhiera dell’ingresso, sotto la quale si apre il vuoto.
Chiesa di San Pietro
È quasi un miracolo che questa minuscola chiesetta con pianta a croce greca, dagli esterni in carparo e pietra leccese graffiati dal tempo e dalla salsedine, sia sopravvissuta per oltre 1000 anni e abbia superato indenne conquiste, distruzioni, guerre e ricostruzioni. Secondo alcuni storici, che datano la sua edificazione in un periodo compreso tra il IX e l’XI secolo, questa che oggi si trova nel punto più alto del centro storico fu la prima cattedrale tarantina. Vista da fuori è difficile immaginare che il suo interno custodisca uno dei cicli di affreschi bizantini più stupefacenti che potrete incontrare nel Salento. Certo, ampie porzioni sono andate perse, soprattutto lungo le pareti e sulla volta, tuttavia la quasi totalità dei dipinti è perfettamente leggibile. Guardate l’Ultima cena, con Giuda (l’unico senza aureola) dall’altra parte del tavolo rispetto a Cristo e agli apostoli, disposti in ordine d’importanza e di grandezza; poi spostate lo sguardo sulla Lavanda dei piedi, sulla Pentecoste e infine, nella folla di santi e altre figure, cercate il ritratto di Maria: è accompagnata da una scritta in arabo.
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La Cattedrale
Costruita dai normanni nell’XI secolo, e in seguito rimaneggiata un paio di volte, la magnifica cattedrale è costituita da una selva di sottili colonne con capitelli intagliati che poggiano sulla principale attrattiva di Otranto: l’ardito mosaico pavimentale, opera del giovane monaco Pantaleone (XII secolo), che ricopre tutta la superficie dell’edificio con il suo Paradiso, il suo Inferno e il suo bizzarro sincretismo di religione e superstizione. Più che la rappresentazione dei due mondi celesti, quel che sorprende ancora di più è il carattere assolutamente naïf dei soggetti, che con i loro grandi occhi bianchi e le proporzioni creative sembrano cartoni animati. Lo schema che Pantaleone (che evidentemente tutto era tranne che un mosaicista) usò per la sua opera è quello dell’Albero della vita, i cui rami sinuosi fanno da sostegno a scene tratte dalle sacre scritture, mostri, animali, figure mitologiche e raffigurazioni dei mestieri. È divertente individuare gli elementi riconoscibili come la Torre di Babele, Noè e la sua arca, la dea della caccia Diana, re Artù e perfino Alessandro Magno. E più si sale verso la cima dell’albero, più le immagini si fanno esoteriche. Nel coro, per esempio, appare una serie di medaglioni, alcuni con iscrizioni latine e arabe, che sono impossibili da decifrare, anche se alcuni studiosi e appassionati ipotizzano che si tratti di una cosmogenesi medievale.
Uno dei grandi misteri che custodisce è il motivo per cui è rimasto intatto fino ai giorni nostri, considerato che i turchi usarono la cattedrale come stalla, mentre erano impegnati a decapitare i martiri di Otranto su una pietra che ora è conservata nell’altare della cappella al fondo della navata destra e che, in sette teche di vetro, custodisce i teschi dei malcapitati.
Torre Alfonsina e mura
Ai piedi della collina su cui sorge il centro storico, coronata dalla Chiesa di San Pietro, si apre la scenografica Porta di Terra, una delle due attraverso le quali un tempo si accedeva alla città. A spalleggiarla c’è questo torrione che, come il castello, venne fatto erigere nel 1481 da Alfonso d’Aragona. Da qui si possono ammirare le mura, che ricalcano il primo impianto risalente all’età messapica e romana. Nonostante ciò, nel corso dei secoli vennero ricostruite varie volte, prima dai bizantini, quindi da Roberto il Guiscardo nel 1081, da Federico II nel 1228, dagli Angioini alla fine del Quattrocento e infine dai viceré spagnoli, che ne fecero un efficiente modello di architettura militare. La parte forse più suggestiva è quella che volge a levante, sopra il porto turistico, e prende il nome di Bastioni dei Pelasgi, su cui sorgono numerosi palazzi un tempo residenze dei nobili del luogo.
Spiagge
Gli ombrelloni e i lettini degli stabilimenti balneari occupano quasi interamente ogni metro quadrato del litorale cittadino. Però, poco lontano dal centro, accessibile percorrendo il piacevole Lungomare Kennedy, si apre la Spiaggia degli Scaloni, dove è possibile stendere l’asciugamano senza dover pagare. In alternativa bisogna accontentarsi della bassa scogliera che si sviluppa sia a nord sia a sud del golfo. Ma è meglio attrezzarsi con un materassino su cui sdraiarsi.
Katër i Radës
Il 28 marzo 1997 la Katër i Radës, una ex nave militare albanese rubata dagli scafisti per traghettare i migranti in Italia, fu speronata nel Canale di Otranto dalla Sibilla, corvetta della Marina Militare che cercava di bloccarne il viaggio verso l’Italia. L’urto fu tremendo: 81 migranti morirono, 24 furono dispersi, 34 si salvarono. Oggi, al porto, il relitto della nave è stato tra sformato dall’artista greco Costas Varotsos in un monumento alla memoria, chiamato L’Approdo. Opera all’Umanità Migrante, con l’intento di rendere omaggio a quella che fu subito chiamata la ‘Strage del Venerdì Santo’. Un po’ di manutenzione non gli farebbe male, ma resta comunque un monito purtroppo attualissimo.