Prima volta in Eritrea, viaggio tra bellezza e senso di colpa

L’Eritrea è un piccolo stato situato nel corno d’Africa di cui, se ci pensate un attimo, avrete sentito parlare di fretta a scuola, in quanto ex colonia italiana. È anche lo stato da cui, dopo la Siria, scappano più migranti per raggiungere la salvezza in Europa, poiché ha vissuto tre generazioni di guerre ed è correntemente sotto dittatura. Infine, è anche una nazione dalle bellezze naturali e architettoniche strabilianti. Questi tre fattori si uniscono su livelli diversi e sono al contempo un ottimo motivo per visitare il paese e la ragione per cui questo viaggio vi toccherà nel profondo e lascerà tracce indelebili. Ora che vi abbiamo avvisati, siamo pronti a partire per due settimane tra altipiani, isole deserte e savana, nell’Eritrea finalmente in pace.

Le montagne sullo sfondo sulla strada per Barentù ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
Le montagne sullo sfondo sulla strada per Barentù ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
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Si può andare in Eritrea?

Un viaggio in Eritrea non è semplice e non è per tutti, diciamolo subito. Le difficoltà stanno nelle piccole cose di tutti i giorni, a cui si sommano quelle della sfera della moralità e dell’emotività.

Ma partendo dall’inizio, l’Eritrea esce da un periodo di guerra che, in diversi modi, ha coinvolto tre generazioni. Dapprima c’è stata la più lunga lotta d’indipendenza d’Africa (durata dal 1961 al 1991), seguita da un periodo definito di “guerra non guerra” con l’Etiopia durato 20 anni e conclusosi con una pace firmata l’8 luglio 2018, celebrata con gran clamore e poi arenatasi nell’onda lunga di una dittatura sorda alle spinte di cambiamento richieste da (pochi) giovani rimasti. Gli effetti più visibili e difficoltosi per i viaggiatori stanno nella difficoltà organizzativa, di spostamento e nella mancanza di strutture ricettive conformi agli standard europei.

La spiaggia di Gurgussum, nei pressi di Massaua ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
La spiaggia di Gurgussum, nei pressi di Massaua ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia

Come organizzare il viaggio

È possibile, e consigliabile, affidarsi a un’agenzia che si occupi della richiesta dei permessi e dell’organizzazione dei trasporti. Noi abbiamo viaggiato con AfroNine che ci ha fornito un furgoncino con un autista, Mussi, in grado di scorrazzarci tra diluvi improvvisi, buche lungo la strada e che sapeva sempre dove trovare un luogo di ristoro e dell’acqua fresca. Per tutto il viaggio siamo stati accompagnati da una preparatissima guida dall’italiano forbito e dall’ottima conoscenza della storia e dell’arte locale. Bereket ci ha accuditi e si è preso carico di ogni nostra esigenza, non per ultima la necessità di comunicare con l’Italia. In Eritrea, infatti, non è possibile acquistare una SIM card e la connessione a internet è pressoché assente anche negli internet point. Tuttavia se saprete guardare a questa possibilità di disconnettervi dal mondo come un’occasione per affrontare il famoso detox digitale senza distrazioni, ne trarrete vantaggio. Vi aspetta lo spettacolo che cambia fuori dal finestrino, anziché sul feed di Istagram: la luce madreperla dell’altopiano che illumina le valli verdi per le piogge estive; una savana di terra rossa che impolvera villaggi, greggi e donne solitarie che camminano solitarie in mezzo al nulla; il calore torrido e immobile di Massaua.

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Il pesce appena pescato sulla spiaggia, nelle isole Dahlak  ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
Il pesce appena pescato sulla spiaggia, nelle isole Dahlak ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia

D’altra parte c’è chi preferisce la libertà e l’indipendenza alla comodità. Seppur la libertà, anche per i viaggiatori, non sia garantita (è probabile che qualcuno sappia sempre e comunque dove vi trovate e con chi, per lo meno nell’attuale contesto politico), è possibile viaggiare in modo indipendente. I backpacker dovranno procurarsi i permessi necessari agli spostamenti presso il Ministero del Turismo: senza di questi non vi sarà possibile uscire da Asmara, la capitale. 

Una volta avuto il via libera del governo, dovrete decidere come spostarvi: il metodo più economico sono i bus di linea, che però non raggiungono tutte le destinazioni. È sempre meglio prenotarli per assicurarsi un posto ed evitare di aspettare ore alla stazione dei bus. Se scegliete un mezzo di trasporto privato, invece, i prezzi aumenteranno notevolmente, a voi la scelta. Se avete intenzione di godervi un po’ di mare alle isole Dahlak sarete costretti a rivolgervi a un’agenzia, poiché sulle isole non è presente acqua, nonché nessuna struttura ricettiva. Le agenzie vi forniranno una barca guidata da un capitano in grado di destreggiarsi tra la barriera corallina delle 126 isole, il necessario per il campeggio e volendo anche un cuoco che preparerà il pesce pescato durante le uscite di snorkelling. 

Pescatori di etnia afar nelle isole Dahlak ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
Pescatori di etnia afar nelle isole Dahlak ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
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Senso di colpa, un bagaglio extra

Ma la vera preparazione da fare, prima di un viaggio in Eritrea è quella mentale. Decidere di visitare, come viaggiatori, un paese che ha attraversato tanti conflitti e vive in una situazione di stallo, dalla quale un gran numero dei suoi abitanti è fuggita, non è una scelta scontata.

A questo si aggiunge il passato di colonia italiana, che accoglie i visitatori con una carezza che pian piano si fa ruvida. L’impressione generale è di una grande nostalgia per il passato italiano, per quel momento storico in cui, negli anni ’30, il paese era conosciuto e durante il quale si costruiva in Asmara l’utopia della “Piccola Roma”, con i marmi e gli architetti che arrivavano dall’Italia a scolpire un futuro dalle forme futuriste. Ma passeggiando all’ombra di quegli stessi palazzi, che hanno ottenuto lo status di Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, viene da pensare che gli italiani piacciono così tanto, proprio perché non ci sono più. Gli eritrei passeggiano la domenica vestiti a festa lungo la via centrale di Asmara, bevono un macchiato nei vecchi caffè Roma o Impero, ognuno vicino a un cinema in cui si proiettano partite del campionato di calcio inglese. Si dicono "Buongiorno" o "Buonasera" e poi continuano la loro discussione in tigrino. Sono finalmente quello che non potevano essere quando il loro paese non gli apparteneva, durante l’apartheid italiana.

Il mercato delle spezia di Asmara ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
Il mercato delle spezia di Asmara ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia

Dal 1922 al 1941, infatti, in Eritrea e in Etiopia ci fu un sistema di discriminazione molto simile all’apartheid del Sudafrica. I bambini locali e italiani venivano educati in scuole diverse, con libri di testo diversi e gli eritrei potevano frequentare la scuola soltanto fino alla quarta elementare. Gli adulti eritrei non potevano imparare alcun mestiere o aprire esercizi commerciali: il loro ruolo era quello di lavorare come domestici per gli italiani.

Sugli autobus o nei cinema gli italiani sedevano davanti, mentre la gente del luogo era costretta a sedere nelle ultime file. Una legge proibiva i matrimoni misti e i trasgressori rischiavano fino a cinque anni di carcere. Secondo un decreto del 1940, i figli di coppie miste non erano considerati italiani, motivo per cui ancora oggi le persone considerate “meticce” spesso non hanno informazioni sulla loro identità. Migliaia di eritrei furono sfrattati con la forza dalle loro case e trasferiti in riserve, lontano dai luoghi dove risiedevano gli italiani. 

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Il paesaggio che si incontra scendendo dall’altopiano di Asmara ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia
Il paesaggio che si incontra scendendo dall’altopiano di Asmara ©Giulia Grimaldi/Lonely Planet Italia

Ancora oggi è possibile vedere le tracce di questo passato nella struttura stessa della città: la zona dei villini dove vivevano gli italiani, fresca di buganvillee e jarcande, arriva in tutto il suo splendore art déco, futurista e razionalista fino alla via principale, Harnet Avenue. Da qui si entra in quella che veniva definita la ”zona mista”, ovvero quella dei mercati, dove bancarelle ordinate sotto coperture razionaliste si affiancano a un ricamo colorato fatto di venditrici di pannocchie arrostite sul carbone, tappeti di banane, papaye e arance. Passeggiando sotto i portici del mercato delle spezie e dei semi ci si spinge infine nella zona “indigena”, dove la città si fa meno da cartolina, ma più piena e vissuta. Fino ad arrivare ad Abu Shauul, un quartiere che se si trovasse in un altro contesto sarebbe un’impenetrabile bidonville, ma nella stremata e solare Asmara diventa lo specchio della società, con i bambini che giocano a nascondino, una moschea accogliente, mura semplici decorate di scritte che invocano la pace.

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