A tu per tu con il Conero: nelle Marche tra natura, borghi e i grandi vini di Umani Ronchi
Il Conero è uno dei tratti della Costa Adriatica più incantatI e segretI d’Italia. Immediatamente a sud di Ancona – la città nella quale a luglio s’è tenuto l’Ulisse Fest, l’unico festival Lonely Planet al mondo – ecco l’angolo di Marche in cui la costa cambia inclinazione. Il Monte Conero – 572 metri sul livello del mare, deve il toponimo forse alla parola greca kòmaros, corbezzolo – dà il nome al parco istituito nel 1987, che si estende su quattro comuni: Ancona, di cui fa parte la splendida baietta di Portonovo, Sirolo, Numana e Camerano.

Superato il capoluogo, arrivare qui significa entrare in un incanto: la strada si srotola tra le colline, alberi e filari d’uva (di vino parleremo tra poco), traversa i grappoli di case colorate e degrada fino alle spiaggette, in fronte a uno dei pochi tratti adriatici in cui il fondale cresce velocemente, l’acqua è blu, la fauna abbondante (c’è anche un mitile tipico, il mosciolo di Portonovo, una piccola, gustosa cozza). Oltre alle spiagge, a Portonovo ecco la Chiesa di Santa Maria di Portonovo, il Fortino Napoleonico, la Torre Clementina; a Sirolo dal centrale Piazzale Marino – una terrazza affacciata sul Mediterraneo – si possono raggiungere la Chiesa di San Nicola di Bari e quella del Rosario (e a Sirolo c’è il centro visitatori del Parco); l’attrazione di Numana è la Costarella, la scenografica gradinata fiancheggiata da case di pietra che conduce alla Torre del Pincio; Camerano offre le celebri grotte.

Il Conero è il posto giusto da scoprire in bicicletta – le strade son panoramiche (e si può fruire dei servizi di Marche Bike Hospitality; informazioni al centro visitatori di Sirolo) – e anche a piedi, percorrendo ad esempio il sentiero dell’Anello di Portonovo. Ma quale sia il mezzo, uno dei luoghi più suggestivi per godere della vista d’insieme è salire al Monte Conero. Proprio quassù, un anno fa, il più apprezzato produttore di vino marchigiano, Umani Ronchi (cantina dell’anno per il Gambero Rosso nel 2024) ha rilevato l’hotel Monteconero, immerso tra i corbezzoli, i lecci e i pini. Luogo di enorme suggestione: qui dove millenni fa già c’erano dei romitori, le grotte in cui ci si ritirava dal mondo, nel Mille i Benedettini cominciarono la costruzione di un monastero, passato poi ai Camaldolesi. Andati via i monaci, gli edifici furono trasformati in struttura ricettiva, senza però violarne la natura: tutt’ora s’arriva in una piazzetta sulla quale affacciano la Badia di San Pietro – ancora consacrata, ci si fanno funzioni e matrimoni – e le costruzioni che ospitarono i frati e ora i viaggiatori. Superata la piazza, si può raggiungere il Belvedere Nord, che affaccia sui 15 chilometri di spiaggette alle quali si arriva solo via mare.

“Siamo al centro della zona della denominazione del Rosso Conero (minino 85% di Montepulciano) – racconta Michele Bernetti, figlio di Massimo, novantenne proprio in questo 2025, fondatore della cantina Umani Ronchi (Bernetti tenne il nome del primo proprietario Gino Umani Ronchi, che aveva varato una piccola azienda agricola nel 1957) –, qui le condizioni sono ideali: il territorio è calcareo, la zona è protetta dal monte. Mio padre riteneva da tempo di aver bisogno di un grande rosso per i mercati internazionali e negli anni ’90 si avvalse della consulenza del grande enologo Giacomo Tachis, padre del Sassicaia.”
Così nacque il Pelago, il vino che avrebbe poi ottenuto i maggiori riconoscimenti internazionali. Bernetti racconta questo aneddoto sulla terrazza dell’hotel Monteconero, dove c’è un ristorante di cucina confortevole e pure un cocktail bar con bistrot appena avviato ma ricco d’identità. Un cocktail si chiama “Le due sorelle” ed è dedicato ai due faraglioni qua davanti, è costituito da tequila, mezcal, cordiale al lime e pepe, vermouth extradry e tonica: non di solo vino vive il viaggiatore.

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Ma prima del rosso, le Marche del vino sono fortissimamente quelle del Verdicchio, il più celebre vitigno della regione, un tempo associato alle grandi quantità (chi ha più di cinquant’anni ricorda la tipica bottiglia ad anfora), oggi uno dei bianchi più riconosciuti d’Italia. Proprio con il Verdicchio iniziò Umani Ronchi a Cupramontana, nel cuore dell’area del Verdicchio Classico, dove la famiglia tutt’ora ha le vigne ma pure, a Moie – una frazione del vicino comune di Maiolate Spontini – Villa Bianchi, che nonostante il nome altisonante è un’accogliente casa di campagna, con il giardino, le rose (curate dalla madre di Michele), i vecchi arredi e un grande tavolo conviviale per accogliere gli ospiti. Da qui partono i safari tour tra i vigneti e anche, in occasioni speciali, si assaggiano i prodotti del territorio – siano un piatto di pasta (Mancini, naturalmente, grande produttore locale) con il tartufo o le squisite pesche Saturnia del Monte Urano – e si brinda con un calice di La Hoz, il Metodo Classico intitolato a Giuseppe La Hoz, valoroso generale ai tempi della Repubblica Cisalpina ucciso a tradimento poco più che trentenne tra Osimo e Ancona e oggi sepolto a Loreto.

Se Villa Bianchi è per chi ha voglia di viaggiare tra le vigne, tornati a Osimo – alle spalle del Conero, tra Ancona e Loreto – gli appassionati di enoturismo trovano la sede principale dell’azienda: dietro il basso fabbricato si fa una passeggiata tra i settanta ettari della Proprietà San Lorenzo, dopodiché si scende nella bottaia dall’architettura contemporanea, disegnata da Marco Vignoni, dove si può partecipare a una degustazione di tutti i vini di Umani Ronchi: non solo Verdicchio (speciali il Vecchie Vigne e l’Historical, da filari impiantati negli anni Settanta) o il Marche Rosso (come il succitato e pluripremiato Pelago) o il Conero Riserva Campo San Giorgio, ma anche i Metodo Classico – lo producono dal 2008 –, gli altri autoctoni delle Marche (ad esempio il Vigor, che è Marche IGT Passerina) o i vini d’Abruzzo, dove i Bernetti hanno acquistato una tenuta nel 2000, tra il Gran Sasso e l’Adriatico.
La magia del Conero è insostituibile, ma la cantina ne porta almeno i profumi ad Ancona, nei calici del Wine Not, l’elegante ristorante-vineria (che si avvale della cura sapiente dello Chef Leonardo Castaldi) innestato nel Grand Hotel Palace, un “boutique e wine hotel” di charme nel centro del capoluogo, affacciato sul mare. Una cena al Wine Not è un buon modo per arrivare o salutare le Marche: un compendio di prodotti tipici – dalle olive all’ascolana al ciauscolo (un salume tipico), dal pescato ai vincisgrassi (le lasagne tipiche della regione) fino ai paccasassi (il finocchio marino) – ma trattati sempre in modo contemporaneo e alleggeriti (la cucina marchigiana tradizionale abbonda in golosità). Naturalmente pasteggiando con un buon bicchiere di Verdicchio.