Meghalaya: dove i ponti di radici vi portano sulle nuvole
Il Meghalaya, situato su un altopiano nel nord-est dell’India, tra l'Assam e il Bangladesh, è conosciuto come la dimora delle nuvole e, guardandosi intorno, se ne capisce il motivo: nuvole di nebbia fitte come muri, lussureggianti foreste tropicali verde smeraldo, cascate ipnotiche, i famosi ponti di radici e santuari per la protezione della biodiversità istituiti quando questo termine non esisteva ancora.

Nel Meghalaya si trovano anche i due luoghi più piovosi del mondo con una precipitazione media di circa 11 metri di pioggia all’anno: Cherrapunji e Mawsynram. Le foreste subtropicali del Meghalaya fanno parte del più grande hotspot biologico dell’Indo-Birmania e, date le particolari condizioni climatiche di umidità costante, qui trovano casa molte specie endemiche che non sono presenti in nessun’altra parte del pianeta.

La vita degli esseri umani in alcune di queste zone può essere molto sfidante. L’orografia di questi luoghi impone un’arguzia di movimento e costruzioni che altrove non serve. Ne sono un esempio gli affascinanti ponti di radici creati dal popolo Khasi per attraversare torrenti e canyon. L’altissima umidità limita molto i materiali che si possono usare per queste costruzioni. Per esempio, il bambù, pur trovandosi in abbondanza, non va bene perché marcisce molto velocemente. I Khasi, allora, hanno creato questi ponti intrecciando le radici del fico del caucciù (Ficus elastica). Si tratta di strutture che diventano più solide man mano che gli alberi crescono. Gli esemplari più robusti possono arrivare a reggere il peso di 35 persone. Sono oltre settanta i ponti di questo tipo sparsi nelle foreste pluviali montane del Meghalaya.
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In generale, le radici degli alberi sono molto importanti per tutto l’ecosistema del Meghalaya perché contribuiscono a prevenire l’erosione del suolo, soprattutto durante le forti piogge monsoniche, limitando in questo modo anche la sedimentazione degli stagni, un problema frequente in questa parte dell’India. È un processo naturale, ma molto delicato e l’attività antropica, se diventa intensiva, può incidere negativamente sul suo equilibrio, alterandone il funzionamento in modo irreversibile. Quando la copertura forestale è buona, infatti, il sistema si rigenera automaticamente, arricchendo anche i corpi idrici presenti (stagni, bacini, fiumi, ruscelli).

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I boschi sacri del Meghalaya
Si chiamano Law Kyntang o Law Lyngdoh e si crede che queste aree siano la dimora delle divinità silvestri. Il termine italiano boschi può essere un po’ fuorviante: si tratta di vere e proprie porzioni di giungla in cui la vegetazione è fitta e intricata, e la natura selvaggia. I boschi sacri sono il frutto di una lunga tradizione di conservazione ambientale basata sulle conoscenze delle comunità tribali del Meghalaya. Secoli prima che il governo dichiarasse protette alcune porzioni di foresta, le popolazioni indigene del Meghalaya – soprattutto i Khasi, i Garo e i Jaintia – hanno plasmato il proprio rapporto con il divino attraverso la tutela e la conservazione della natura. Alcune parti della foresta sono state così trasformate in Law Kyntang dove è vietato tagliare gli alberi e portar via qualsiasi tipo di prodotto forestale, pena l’ira delle divinità.
Nel Meghalaya ci sono circa 215 Law Kyntang, di questi alcuni sono molto antichi. Per esempio, quello di Mawphlang ha 700 anni. Queste aree protette servono anche come riserva idrica per gli abitanti dei villaggi circostanti. L’acqua che si trova in questi luoghi sacri, infatti, può essere usata per bere e cucinare, ma ne è vietato l’uso per scopi commerciali.
In questi lembi di giungla mantenuti in uno stato relativamente indisturbato trovano rifugio un gran numero di specie endemiche e rare. Il valore di questi luoghi è incommensurabile. In un mondo che sembra sgretolarsi sotto il peso della perdita della biodiversità. Questi templi di biodiversità sono contemporaneamente luoghi spirituali, musei naturali di alberi giganti, dispensari di piante medicinali, banche genetiche di specie rare, laboratori per gli ambientalisti, un paradiso per gli amanti della natura.

Questo stretto rapporto tra esseri umani e natura ha favorito anche una migliore convivenza con la wildlife locale. Nelle foreste del Meghalaya vivono oltre cento specie di mammiferi, tra cui i gibboni hoolock e altri grandi mammiferi come la tigre, il leopardo nebuloso (Pardofelis nebulosa) e l’elefante asiatico. Incontrarli non è difficile, soprattutto per le specie meno schive come i gibboni e gli elefanti – gli incontri con tigri e leopardi, invece, sono più rari – , per cui per la loro tutela è fondamentale che i rapporti tra gli abitanti dei villaggi e la fauna selvatica rimangano armoniosi.
Le minacce, però, sono alle porte anche qui. Recenti studi hanno visto una diminuzione delle precipitazioni a causa delle variazioni della temperatura dell’Oceano Indiano e alla riduzione della vegetazione in quest’area a causa dell’azione antropica volta a una maggiore produzione agricola. Nei luoghi in cui ai valori tradizionali se ne stanno sostituendo altri i Law Kyntang soffrono di degrado e abbandono. Per fortuna sul territorio operano associazioni locali che stanno cercando di ripristinare questa fede nella sacralità della natura e, nel farlo, danno una mano anche a conservare una delle cose più importanti che abbiamo: la biodiversità.