In Mongolia a cavallo: in viaggio da sola tra steppe e montagne
Un viaggio a cavallo, attraverso la Mongolia, in solitaria: Paola Giacomini ci racconta un’avventura a passo lento, fatta di paesaggi sconfinati, incontri e poesia. Nove mesi tra le steppe, i villaggi e le montagne di una terra ricca di fascino: il suo viaggio mette al primo posto i cavalli, suoi compagni di avventura, e la natura, ricordandoci cosa significhi viaggiare, senza la necessità di vedere qualcosa, ma vivendo un pezzo di mondo, esperienze indimenticabili e momenti da dimenticare.
Siamo tre esseri in viaggio da nove mesi: due cavalli e una persona, loro si chiamano Custode e Tgegheré, io Paola e li ho coinvolti in questa avventura perché non potevo fare a meno di loro. Siamo partiti il dieci giugno dalla Mongolia e un passo dopo l'altro siamo arrivati qui, lungo il Don.
Stiamo portando a Cracovia una freccia mongola che ci ha affidato il sindaco di Kharakhorin, l'antica capitale della Mongolia, il giorno della partenza. Mi piacerebbe che fosse un messaggio di pace, spero che i cavalli siano d'accordo.
La Mongolia è così lontana e sono cambiate così tante cose, che ripensarci adesso mi sembra quasi irreale.
Il viaggio è cominciato a Kharakhorin, l'antica capitale di questa gente, ma l'avventura è cominciata a Tsetserleg, cinque giorni dopo, quando Eenee, un uomo della mia età con la stessa sintonia con i cavalli, ha benedetto questo viaggio regalandomi un taccuino su cui mi aveva preparato un piccolo frasario in mongolo per chiedere alla gente indicazioni di vario genere. In mezzo, su due pagine a caso, ha scritto l'intenzione del mio progetto in mongolo, concludendo che il mio viaggio era nel nome di tutti gli amanti dei cavalli. Mentre ci salutavamo, mi ha consigliato di accamparmi vicino alle tende ogni volta che ce ne fossero state.
- Se starai vicino alle famiglie, loro ti proteggeranno e vicino agli accampamenti ci sono sempre buona erba e buona acqua.
Era estate, le giornate erano lunghe, i pascoli erano animati di mandrie al pascolo e ogni sera ci accampavamo vicino a una gher. Le gher sono le case di feltro in cui abitano ancora i pastori. La vita cittadina sta svuotando le campagne, lì come in ogni parte del mondo, ma per ora c'è ancora qualcuno che vive la circolarità degli alti pascoli. Sono stati i pastori a permettermi di entrare nel cerchio del loro campo insegnandomi ogni giorno qualcosa in più su un mondo che ha girato nello stesso modo per migliaia di anni. I pastori mongoli hanno addomesticato la modernità per alleggerire il carico di certi lavori e rimanere nella steppa. La macchina da cucire non manca mai, la macchina per tirare la pasta è di marca Imperia in molte tende, sulla copertura delle gher sono sempre appoggiati e accuditi i pannelli solari che alimentano le batterie per vivere in tenda con tutti i comfort della tecnologia. Mischiato a questo c'è il mondo antico: i cavalli per condurre il bestiame all'abbeverata o alla mungitura, il latte e la carne essiccati, una ritualità precisa e piena di rispetto per tutto quello che viene dagli animali allevati e le famiglie come centro.
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I cavalli sapevano già tutto, loro sono nati lì e molto lo ho capito grazie a loro. Certe volte per due o tre giorni non vediamo persone, se c'era una tenda da qualche parte, i cavalli erano i primi a fiutarla e si mettevano al passo volenteroso di chi sta andando a casa. I villaggi gli piacevano molto meno e anche a me, facevo in modo di raggiungerli in giornata, se dovevo fare spese, ma il campo preferivo montarlo al largo. Nei villaggi girano belle persone, ma anche quelle pessime, ho avuto modo di assaggiarle e ogni brutto ricordo di questa parte del viaggio è legato al nome di un villaggio, ma non c'è niente di divertente e preferisco dimenticare.
La Mongolia delle montagne non è così, è fatta di musica, quella delle mandrie di yak che guadano i fiumi per tornare all'accampamento a farsi mungere, del latte che sprizza nei secchi, dei bambini che galoppano come il vento sotto un immenso cielo blu.
Ogni tenda ha aggiunto una nota alla piccola canzone che sono riuscita a cogliere di questa sinfonia, ma la storia più straordinaria che mi è capitato di vivere è successa in mezzo alle montagne. Quel giorno avevo incontrato una tenda sola ed era da due giorni che non ne vedevo. Mi sono fermata a chiedere precisazioni sul colle dove stavo andando, ma non sapevano niente. Sono andata avanti lo stesso e la strada era facile e chiara, quando è venuta la sera, mi sono accampata in un bel pascolo con un ruscello canterino. C'erano tracce di un vecchio accampamento e mentre cercavo un palo per montare il telo, ho trovato un corno di cervo. Tra il fuoco per preparare qualcosa di caldo e il tè, è diventato buio. I cavalli brucavano sereni. Stavo per infilarmi nel sacco a pelo, quando mi è arrivato un canto dolce e potente che rimbalzava da una vetta all'altra della piccola valle. Sembrava che arrivasse dal colle da cui eravamo scesi. Silenzio per qualche minuto. Ricomincia il canto, stavolta più vicino e poi di nuovo, ancora più vicino. Zoccoli di un cavallo al galoppo sul sentiero e i cavalli hanno smesso di brucare e hanno alzato la testa. Ecco materializzarsi la creatura che mi aveva donato questo canto: un cavaliere vestito di blu su un cavallo sauro si è fermato davanti alla tenda. Gli avevano detto che chiedevo informazioni e mi ha spiegato la strada, poi è ripartito nel buio e ha ancora cantato cinque volte, sempre più lontano. Al mattino mi sono messa in pista sulle sue tracce e ogni bivio era in un posto da cui mi era arrivata la voce del cavaliere vestito di blu.
Ogni giorno è stato speciale e un po' magico, finché non siamo arrivati alla frontiera e la frontiera è anche peggio dei villaggi, ma per fortuna l'abbiamo passata.