L’Irlanda delle Isole Aran è fatta di roccia e di mare
Aspre, drammatiche, spazzate nel corso dei secoli da implacabili venti oceanici che ne hanno plasmato conformazione e carattere. Rocce sbriciolate nel mare e pianori pietrosi, quadrettati da muretti a secco a proteggere porzioni di prati scintillanti d'umidità e minuscoli cottage dal tetto in paglia. Tendendo l'orecchio, ancora si può udire la lingua del sogno e della nostalgia, il gaelico irlandese che altrove sta scomparendo ma che qui, invece, è ancora vivo e vibrante. Siamo nelle Isole Aran, lembi di dura pietra color del ferro gettati al largo della costa di Galway come ancestrali ponti di roccia ed erba tra l'Isola di Smeraldo e l'infinito dell'Oceano Atlantico: una tenace catena di tre isole che l'uomo nel corso del tempo ha testardamente strappato al mare, e che nonostante il recente avvento del turismo, hanno mantenuto intatta la propria ruvida ed esigente autenticità.

Laddove il tempo pare fermarsi
Le Isole Aran (Oileáin Árann in gaelico) sono terre del confronto, incessante e perpetuo, tra l’essere umano e una natura ostile. Site al largo della Galway Bay, appartengono giuridicamente all’omonima contea, nell’Irlanda dell’ovest, sebbene da un punto di vista geologico siano legate alla regione del Burren (contea di Clare). Le compone infatti la medesima roccia calcarea, che ne determina anche il paesaggio spoglio e lunare, surreale, da sogno o da incubo a seconda dei punti di vista: lastroni pressoché piatti, dirupati tra i flutti dell’oceano e completamente privi di alberi, che già dall’antichità gli abitanti lavorarono con pazienza radente la follia, levando le pietre, coltivando tra le fessure delle rocce, spargendo alghe a mo’ di fertilizzante e costruendo fitti reticolati di muretti a secco per proteggere quei pochi prati stentati.
I muretti in lastre di pietra sovrapposte e la merlettatura squadrata di prati pietrosi sono ancora oggi la cifra distintiva di queste isole e uno dei motivi che ne giustificano il fascino. Gli altri sono, senza dubbio, la prepotenza di un paesaggio brullo e spoglio e la sensazione, seppur per qualche ora, di essere soli al mondo e di doversi misurare con forze naturali fuori dal controllo umano. E se questo sentire si affievolisce in parte sull’isola maggiore, Inishmore (Inis Mór in gaelico), la più popolata e frequentata delle tre, di certo è invece ancora vivissimo e presente sulle due più piccole, la mediana Inishmaan e la minuscola Inisheer (rispettivamente, in gaelico, Inis Meáin e Inis Oírr), sulle quali il tempo pare fermarsi, farsi più denso e pregnante, lontane come sono dalla frenesia di altrove.

Inishmore, Inishmaan, Inisheer
Inishmore, dicevamo, è la più grande dell’arcipelago, nonché la più occidentale e la più popolata, e con la sua forma allungata si protende dell’oceano come ultimo baluardo prima di spiccare il volo nell’immenso blu-grigio di queste acque gelide. Al molo di Kilronan attraccano la maggior parte dei traghetti in partenza da Rossaveal, scaricando i turisti che in giornata desiderano visitare l’isola, a piedi, in bicicletta oppure con uno dei calessi messi a disposizione dagli abitanti del luogo. In alternativa, ci sono anche piccoli bus turistici che accompagnano nei principali luoghi di attrazione e riportano poi al porto, in tempo per l’ultima corsa di traghetto verso la terraferma. Il sito più importante dell’isola è il Dún Aengus, il forte preistorico in pietra a pianta semicircolare e affacciato su una scogliera a picco sul mare: datato al I millennio a.C. e costruito durante l’Età del Bronzo, è anche il meglio conservato dell’arcipelago. A qualche chilometro di distanza c’è poi il Dún Dúchathair (Black Fort), altra struttura simile ma peggio conservata, dove tuttavia è possibile ammirare un enigmatico piccolo labirinto proprio nel mezzo. Se invece alla preistoria preferite la natura, non potrete perdervi la spiaggia di Kilmurvey (tropicale nei colori, un po’ meno nelle temperature), la vicina colonia di foche (portate un binocolo!) oppure le spettacolari scogliere del Poll na bPeist o “Wormhole” scavate dalle forza dell’oceano.
La mediana dell’arcipelago è Inishmaan, ed è anche la meno turistica. Di conseguenza, rimane quella più tranquilla e autentica, e quella dove l’uso del gaelico si è preservato maggiormente: la si raggiunge dal porto di Rossaveal.
Quanto invece alla più piccola, Inisheer, è caratterizzata dalla presenza di interessanti reperti medievali, come il castello O’Brien o i ruderi di antiche chiese: ma una visita la merita senza dubbio anche il centro principale, il Fromna Village, con i suoi cottage tradizionali dal tetto in paglia. Inisheer è raggiungibile dalla terraferma anche partendo dal piccolo porto di Doolin, ai piedi delle celeberrime Cliffs of Moher.

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Scrittori, pesca e maglioni
Della malia di queste isole – selvagge e ribelli, aspre e accoglienti – scrisse anche John Millington Synge che, su consiglio di William Butler Yeats, nel 1897 vi trascorse diverse settimane, raccogliendo di isola in isola testimonianze di vita che si possono trovare ancora oggi: come la tradizione dei maglioni delle Aran, oppure la pesca con le imbarcazioni tipiche, i curragh. I maglioni dell’arcipelago sono probabilmente il suo prodotto di artigianato più celebre, la cui fama ha travalicato i confini pietrosi delle isole e si è sparsa un po’ ovunque. Il merito è probabilmente della loro eccellente fattura, ma anche del significato di cui sono custodi: caldissimi e realizzati in pesante lana grezza, i maglioni delle Aran sono caratterizzati dalla presenza di disegni verticali a treccia. Ciascuna famiglia di pescatori aveva un suo intreccio caratterizzante, così che in caso di tempesta i corpi dei pescatori riportati a riva fossero facilmente riconoscibili in base proprio alla fantasia presente sul maglione. Lugubre? Forse, ma esemplificativo di cosa significasse vivere in questi territori esigenti. Insieme ala pesca e al turismo, la produzione e la vendita dei maglioni è oggi una delle principali economie dell’isola.